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Il 49,77% dei colombiani ha votato Sì, mentre il 50,22% ha votato No nel referendum per avallare gli accordi di pace firmati dal Governo e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo (FARC-EP), dopo quattro anni di negoziati.
Negli stati di confine, dove il conflitto armato ha maggior impatto da oltre 52 anni, il Sì ha vinto. Ma gli stati dove il conflitto ha provocato meno incidenti hanno definito il risultato del plebiscito.
Il governo non era obbligato a sottoporre l’accordo al voto, avrebbe potuto in maniera legale firmarlo e attuarlo, ma ha deciso di realizzare la consultazione per dare legittimità politica all’accordo di fronte a una società divisa tra differenti concetti di pace e la guerra.
Cosa succede adesso?
La prima cosa da notare è che il plebiscito era politicamente vincolante, ma non legalmente. La sentenza della Corte Costituzionale sul referendum osserva che «davanti al rifiuto del popolo» (nel referendum), è possibile indire una nuova consultazione, «con condizioni diverse da quelle pattuite e risultato di una rinegoziazione del precedente Accordo o la sottoscrizione di uno nuovo, anche con gruppi armati illegali diversi dalle FARC».
Cosa significa questo?
L’accordo deve essere rinegoziato, ma in nessun caso il presidente in quanto massima autorità in materia di pace e di ordine pubblico nel paese, può essere privato a provare un nuovo approccio.
La sentenza sottolinea che le norme già approvate per un plebiscito come quello di questa domenica, con lo stesso quorum, possono essere nuovamente applicate se sarà raggiunto un nuovo accordo e il governo sceglie di sottoporlo a referendum.
«Se il plebiscito non viene approvato, perché non si raggiunge il quorum o i cittadini votano per il ’No’, l’effetto è l’impossibilità legale di applicazione dell’accordo finale», spiega la sentenza.
Dopo la vittoria del No, il Governo e le FARC-EP potranno cercare altri sbocchi giuridici per salvare l’accordo.
Il Governo e le FARC-EP garantiranno la pace
Il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha assicurato che manterrà il cessate il fuoco bilaterale e definitivo, circostanza che evita il riprendere delle ostilità.
Il capo dello Stato colombiano ha confermato che invierà a L’Avana il capo negoziatore e l’Alto Commissario per la Pace a informare i negoziatori delle FARC-EP.
«Adesso dobbiamo decidere il cammino da prendere affinché la pace sia possibile ed esca rafforzata», ha dichiarato Santos.
Mentre le FARC-EP hanno ribadito la loro volontà di usare la parola come arma di costruzione e assicurato al popolo della Colombia che la pace trionferà nonostante questi risultati avversi.
(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)
Referendum in Colombia: vince l’oligarchia di Uribe e da domani ricomincia la guerra civile
di Attilio Folliero, Caracas 02/10/2016
La maggioranza dei colombiani nell’odierno referendum si è espressa contro gli accordi di pace sottoscritti fra il Governo e la FARC; gli accordi mettevano fine ad oltre 50 anni di guerra civile. Il 50,22% ha votato per il NO a tali accordi.
Ha dunque vinto l’oligarchia rappresentata da Alvaro Uribe, il narcotrafficante numero 82 più ricercato al mondo, l’unico ad essersi apertamente schierato contro tali accordi.
E adesso? La FARC-EP, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo, si ritrova con un pugno di mosche. Oltre 4 anni fa la FARC accettò l’invito lanciato dal Presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, di sedersi al tavolo delle trattative per porre fine al lungo conflitto che affligge la Colombia. Il conflitto armato più lungo del continente americano è iniziato ufficialmente nel 1962, quindi da 54 anni; in realtà ha un antecedente nelle violenze scoppiate in tutto il paese alla fine degli anni quaranta e proseguite per tutta la decada degli anni cinquanta. Praticamente la guerra civile in Colombia è iniziata il 9 aprile del 1948, giorno dell’omicidio di Jorge Eliecer Gaitan Ayala, candidato liberale alla presidenza del paese.
L’omicido di Gaitan produsse grandi proteste popolari in tutto il paese, proteste che presero il nome di Bogotazo, termine che deriva dalle violenti proteste scoppiate a Bogotà, capitale della Colombia e le susseguenti repressioni poliziali.
Alle violenze della guerra civile non dichiarata, a partire del 1962 si passa ad un vero e proprio conflitto armato, in cui all’esercito regolare si contrappone l’esercito della FARC, costituitosi ufficialmente nel 1964 per volontà di Pedro Antonio Marín, conosciuto come Manuel Marulanda Vélez o Tirofijo. Fin dalla sua fondazione, la FARC è stata diretta da una segreteria collettiva di 7 membri, comandata da Manuel Marulanda Vélez dalla sua formazione e fino al giorno della sua morte per cause naturali nel marzo del 2008.
Dopo la morte di Marulanda, il massimo leader della FARC diventa Guillermo León Sáenz, conosciuto come Alfonso Cano. Cano morirà in combattimento il 4 novembre del 2011. Il 15 novembre la FARC comunica che il nuovo capo supremo è Rodrigo Londoño Echeverri, conosciuto col nome di battaglia “Timochenko” o “Timoleón Jiménez”.
Pochi minuti fa, subito dopo aver appreso del risultato negativo, il Presidente Santos ha dichiarato: “Non si illudano, adesso non si ritorna a negoziare; ritorniamo alla guerra. Questa è la verità”. Quindi, ha fatto sapere che da domani si attivano i protocolli per smontare il processo di pace e quindi il ritorno dei guerriglieri alla montagna, il che implica la ripresa della guerra.
La Colombia, dopo aver raggiunto l’indipendenza dalla Spagna, grazie all’azione liberatrice di Simon Bolivar, non ha mai trovato pace. In effetti l’attuale conflitto armato, iniziato praticamente nel 1948, è solo l’ultimo di una lunga serie di conflitti e guerre civili: Guerra fra Federalisti e Centralisti (1812-1815); Guerra dei Supremi (1839-1841); Guerra civile del 1851; Guerra civile del 1854; Guerra civile del 1860-1862; guerra civile del 1876-1877; guerra civile del 1884-1885; Guerra civile del 1895; Guerra dei mille giorni (1899-1902). Il ventesimo secolo non è stato altro che un lungo interminabile conflitto. Infatti, dopo la fine della guerra dei mille giorni, che tra l’altro condusse alla separazione dalla Colombia di quei territori che conformeranno lo stato di Panama, l’intolleranza tra i due principali partiti (Liberali e Conservatori) era talmente forte da sfociare in conflitti armati: il conflitto del 1930. eufemisticamente denominato “Piccola violenza” per distinguerlo dal periodo de “La violenza”, susseguito all’omicidio di Gaitan, antecedente dell’attuale conflitto armato che si trascina ufficialmente dal 1962.
Perché questi due secoli di conflitti armati e guerre civili in Colombia? Ovviamente le cause sono varie, ma sicuramente i principali motivi di questi conflitti si devono alle ambizioni dei dirigenti e dei partiti politici che vedevano nella guerra lo strumento per arrivare al potere; la mancanza di volontà e l’incapacità dei dirigenti di dirimere le controversie e le differenze politiche, ideologiche e religiose con il dialogo. Il principale motivo alla base di questi conflitti è sicuramente la profonda ingiustizia politica e sociale esistente in Colombia, con una classe oligarchica dominante a cui poco è interessato lo stato di povertà in cui versa la maggioranza della popolazione, soprattutto nelle zone rurali e più emarginate.
Inoltre c’è da aggiungere che certi settori della classe dominante colombiana, appoggiati dalla grande industria bellica mondiale, traggono enorme beneficio economico dai conflitti armati e quindi hanno tutto l’interesse che continuino.
Il referendum di oggi è un esempio lampante di questi interessi in bilico con la pace: dietro l’appoggio al NO ai trattati di pace, come abbiamo visto, c’era Uribe, rappresentante proprio di quella oligarchia che trae i suoi guadagni fondamentalmente dalla guerra, oltre che dalla produzione e distribuzione di droga. Il paramilitarismo di Uribe si giustifica con la guerra in atto; con la pacificazione del paese cesserebbe la necessità del paramilitarismo. Con la pace gli unici a poter disporre delle armi sarebbero i militari, l’esercito regolare del paese. Ovviamente con la pace verrebbe anche a mancare la principale motivazione che spinge alla produzione di droga, i cui introiti servivano per l’acquisto di armi e sostenere i vari attori del conflitto, dai guerriglieri, ai paramilitari.
Bisogna infine aggiungere il ruolo di Hugo Chavez, che ha voluto fortemente che la Colombia giungesse alla pace. Nella visone geopolitica di Chávez la Colombia aveva un ruolo fondamentale. Chávez sapeva bene che nel continente Latinoamericano esiste lo strapotere dell’oligarchia brasiliana, quella stessa che per anni si è opposta all’ingresso del Venezuela nel Mercosur, quella stessa che alla fine ha di fatto impedito la nascita della “Banca del sud”, con una moneta indipendente dal dollaro. Il vero motivo del colpo di stato di cui fu vittima Chavez nel 2002 e l’avversione subita durante tutta la sua gestione si deve fondamentalmente al fatto che Chávez chiedeva l’abbandono del dollaro, come principale moneta utilizzata nei commerci internazionali e particolarmente del petrolio.
Ovviamente chi tocca questo aspetto è destinato a morire: è stato fatto fuori Saddam Hussein; è stato ucciso Hugo Chávez; è stato tolto dalla scena politica mondiale e francese Dominique Strauss Khan, all’epoca Segretario del Fondo Monetario Internazionale, che aveva appunto proposto l’abbandono del dollaro. A tal fine, vedasi i nostri fondamentali articoli: “Il dollaro, l’euro, il petrolio e l’invasione nordamericana” e “Verso il tramonto del dollaro: anche Dominique Strauss-Kahn, segretario del FMI, chiede l’abbandono del dollaro“.
Chávez sapeva che l’unificazione dell’America Latina, la nascita della “Banca del Sud” (che avrebbe comportato il trasferimento delle riserve internazionali dei paesi dell’America del sud, conservate nelle grandi banche del nord), la nascita del “Sucre”, la moneta comune latinoamericana e l’abbandono del dollaro da parte del continente latinomaericano avrebbe incontrato oltre all’avversione naturale degli USA, anche l’avversione interna dell’oligarchia brasiliana, che comanda nel paese più grande dell’emisfero, il Brasile appunto.
Chávez sapeva che per avere una possibilità di successo contro lo strapotere dell’oligarchia brasiliana era necessaria l’azione congiunta di tutti gli altri paesi dell’America del Sud, a partire dal più grande dopo il Brasile, la Colombia.
Chávez al momento del suo arrivo al potere, nel 1999, a parte la possibile alleanza di Cuba e Nicaragua, è totalmente solo. Inizia la sua azione politica per unificare il continente e quindi necessariamente ha bisogno di tutti i piccoli paesi (in termini di popolazione), ma soprattutto dei due più grandi dell’America del Sud: Colombia e Argentina.
La Colombia però internamente è lacerata da sempre, come abbiamo visto, da una guerra civile; per cui per poter disporre dell’aiuto fondamentale di questo paese è necessario prima di tutto arrivare alla fine del conflitto storico. Di qui il suo impulso alle trattative di pace in Colombia. E’ Chávez il principale artefice dell’avvio dei negoziati di pace di Colombia.
Brasile con i suoi circa 200 milioni di abitanti ed un PIL di oltre 1.500 miliardi poteva incontrare un contrappeso solo nell’unione di tutti gli altri paesi del continente a partire dai tre più importanti dopo il Brasile, ovvero Colombia (46 milioni di abitanti e circa 350 miliardi di PIL), Argentina (40 milioni e 400 miliardi di PIL) e Venezuela (30 milioni di abitanti e circa 300 miliardi di PIL).
Chávez è morto; in Brasile l’oligarchia filo statunitense ha ripreso anche il potere politico, dopo il colpo di stato parlamentare contro Dilma Rousseff; in Argentina con l’avvento di Macri imperversa il neoliberismo e la politica filostatunitense; in Colombia col referendum odierno viene annullato il processo di pace e dimenticate le centinaia di migliaia di morti.
* Pubblicato su gentile concessione dell’Autore