L’OSA: un cadavere vivente

Hugo Mercado Moldiz http://www.cubadebate.cu

La pace e la democrazia sono minacciate in America Latina. Di ciò non c’è il minimo dubbio. Il rischio concreto che la regione si converta in una zona politicamente instabile e socialmente convulsiva non proviene da gruppi sovversivi, come li chiamerebbe l’establishment USA, ma dalle azioni intraprese -senza la minima attinenza agli scopi formalmente stabiliti né alla sua lunga istituzionalità costruita, ma sì coerente con la sua lunga storia- dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e dal suo attuale segretario generale, Luis Almagro.


La decisione della Repubblica Bolivariana del Venezuela di uscire dall’OSA non è la conferma della “tendenza autoritaria” del governo di quel paese, che è accusato di aver violato persino la sua costituzione, ma piuttosto è una dimostrazione di quanto male versi l’organismo regionale costituito nel dopoguerra, nel 1948, come la più chiara espressione dell’egemonia conquistata dall’imperialismo USA. La OSA si sta inabilitando -anche dentro dei suoi stretti margini storicamente formulati- come spazio di concertazione e di risoluzione dei conflitti. E forse è quest’ultimo -l’egemonia- ciò che nuovamente è in gioco nella regione dove, dal 1998, si è acuita la contraddizione tra emancipazione e la dominazione.

La natura dell’OSA si è posta in evidenza in diversi momenti della storia del continente: essere uno strumento degli interessi imperiali nella regione o, come disse il ministro degli esteri cubano Raul Roa Bastos, un Ministero delle Colonie degli USA. Ma i livelli a cui è giunto negli ultimi due anni, in pieno XXI secolo, è qualcosa che non sarebbe venuto in mente neppure al migliore dei futuristi o al più grandi dei pessimisti.

E sebbene gli individui non cambino da se stessi, il carattere delle istituzioni, si possono spogliare, nascondere o perfezionare la loro natura. E questo è ciò che fa il suo attuale segretario generale, che svela chiaramente le ragioni geopolitiche e politiche che ha la borghesia imperiale e la destra continentale per distruggere la rivoluzione venezuelana e qualsiasi tentativo di progetto riformista o di emancipatore in America Latina. La sfumatura che si aggiunge alla linea formulata a Washington, è l’ossessione personale -che neppure può essere trascurata al momento dell’analisi politica- che l’uruguaiano ha accumulato contro il presidente Nicolás Maduro e la Rivoluzione Bolivariana, nonostante che del Venezuela si servì per giungere all’organismo regionale. In modo ora grossolano Almagro non spreca qualsiasi evento politico né rinuncia a qualsiasi spazio per ottenere sostegno alla sua proposta di attivare la Carta Democratica Interamericana, che nel linguaggio comune è un appello a che gli USA intervengano nella nazione sudamericana.

Almagro vuole che il dibattito si focalizzi intorno al Venezuela, quando in realtà la situazione è molto più complessa e pericolosa per la regione. Lo “schierarsi” dell’uruguaiano, -un passato di sinistra, a cui si attribuisce come sue più grandi debolezze la ricerca permanente del potere e della fama, oltre la sua tendenza per alcol- non dà adito a dubbi quando si tratta di fatti oggettivamente verificabili. L’OSA sotto il suo comando ha fatto tutto quanto in suo potere, nonostante le resistenze di diversi paesi (Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, El Salvador e altri), per abbassare d’intensità informativa e politica la denuncia del “golpe congressuale” contro la presidentessa del Brasile Dilma Rousseff, nel 2016. Almagro neppure ha sostenuto alcuna commissione o proferito alcun giudizio dopo che la realtà comprovava che dietro il colpo di stato in Brasile c’era una vera e propria rete di corruzione dell’ora presidente Temer.

Ma se d’inazione si parla, è il silenzio complicità del segretario generale dell’OSA sulla situazione della democrazia in El Salvador, dove sì ci sono più di una dozzina di sentenze che confermano il ruolo golpista della Corte Costituzionale contro il governo del presidente Salvador Sánchez Ceren.

Perciò, il Venezuela non può rimanere isolato. Questo è quello che cerca il Segretario generale dell’OSA. La reazione dei paesi contro questo piano non solo deve essere motivata dalla solidarietà con un Paese che ha notevolmente contribuito alla rinascita dello spirito latinoamericanista, la cui unica espressione, fino a prima della vittoria di Chavez a fine del XX secolo, solo rimaneva a livello di stati mediante Cuba, una Rivoluzione che eroicamente resiste da 57 anni ad un criminale blocco USA, nonostante che per ventiquattro volte consecutive l’Assemblea generale ONU abbia approvato risoluzioni che chiedano la fine del cosiddetto embargo commerciale e finanziario.

I paesi dell’America Latina devono reagire prima che sia troppo tardi. La posta in gioco non è solo i governi progressisti e rivoluzionari (poiché non è serio parlare di fine del ciclo progressista, come non fu serio parlare della fine della storia o delle ideologie dopo il crollo dell’URSS e del campo socialista). Ciò che si sta ponendo in pericolo è la democrazia -con le sue diverse tonalità- e la stessa America Latina come zona di pace.

Lungi dall’esprimere forza, ciò che fa Almagro con le sue turpi ed ossessive azioni è mettere in evidenza la crisi di egemonia USA e l’esaurimento del Sistema Interamericano dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Sin dalla sua fondazione nel 1948, all’influenza della “dottrina Monroe” (America per gli americani), l’OSA non ha mai smesso di essere lo strumento con cui gli USA hanno cercato di “camuffare” i propri potenti interessi nella regione: nel decennio 60 attraverso l’Alleanza per il Progresso e l’espulsione di Cuba per motivi ideologici, negli anni ’80 con il consenso di Washington e nel 90 con l’Accordo di Libero Commercio delle Americhe (ALCA) ed i Trattati di Libero Commercio (TLC). Un meccanismo creato per dare ossigeno alla deteriorata egemonia USA nella regione è stato “Il vertice delle Americhe” sostenuto da Clinton nel 1994 a Miami.

Se ben rimangono nel ricordo il silenzio complice dell’OSA davanti alle invasioni militari USA del Guatemala (1954), Repubblica Dominicana (1965), Granada (1983), Panama (1989) e Haiti (1994), ci sono altri fatti che confermano l’esaurimento della OSA e il sistema inter-americano: la violazione del territorio ecuadoriano da parte del forze armate della Colombia con l’obiettivo, raggiunto, di assassinare il capo dei ribelli delle FARC nel marzo 2008; i colpi di stato contro il presidente Manuel Zelaya dell’Honduras nel giugno 2009 e contro Fernando Lugo del Paraguay nel 2012; i falliti colpi di stato contro Hugo Chávez in Venezuela (2002), Evo Morales della Bolivia nel 2009 e Rafael Correa in Ecuador nel 2010. A questa lunga lista possono aggiungersi altri fatti, come ad esempio l’inutilità che ebbe tale organismo regionale ed il suo meccanismo il TIAR per difendere l’Argentina nella guerra delle Malvinas nel 1982.


La OEA: un cadáver viviente

Por: Hugo Mercado Moldiz

La paz y la democracia están amenazadas en América Latina. De eso no cabe la menor duda. El riesgo real de que la región se convierta en una zona políticamente inestable y socialmente convulsiva no procede de grupos subversivos como los llamaría el establishment estadounidense, sino de las acciones adoptadas -sin el menor apego a los fines formalmente establecidos ni a su larga institucionalidad construida, pero si congruente con su larga historia-, por la Organización de Estados Americanos (OEA) y su actual Secretario General, Luis Almagro.

La decisión de la República Bolivariana de Venezuela de salirse de la OEA no es la confirmación de la “tendencia autoritaria” del gobierno de ese país, al que se lo acusa de haber violado hasta su propia Constitución, sino más bien es una demostración de lo mal que está el organismo regional constituido en la pos guerra, en 1948, como una expresión muy clara de la hegemonía conquistada por el imperialismo estadounidense. La OEA se está inhabilitando –aún dentro de sus estrechos márgenes históricamente formulados- como espacio de concertación y de resolución de conflictos. Y quizá sea esto último –la hegemonía- lo que nuevamente está en juego en la región, donde desde 1998 se ha agudizado la contradicción entre emancipación y dominación.

La naturaleza de la OEA se ha puesto en evidencia en varios momentos de la historia del continente: ser un instrumento de los intereses imperiales en la región o, como dijo el canciller cubano Raúl Roa Bastos, un Ministerio de Colonias de los Estados Unidos. Pero, los niveles a los que ha llegado estos dos últimos años, en pleno siglo XXI, es algo que no se le habría ocurrido ni al mejor de los futurólogos o al más grande de los pesimistas.

Y si bien los individuos no cambian, por sí mismos, el carácter de las instituciones, si pueden desnudar, ocultar o matizar la naturaleza de las mismas. Y esto es lo que hace su actual Secretario General, quien desvela con claridad las razones geopolíticas y políticas que tiene la burguesía imperial y la derecha continental para destruir la revolución venezolana y cualquier intento de proyecto reformista o emancipador en América Latina. El matiz que le agrega a la línea formulada en Washington, es la obsesión personal –que tampoco puede descuidarse al momento del análisis político- que el uruguayo tiene acumulado contra el presidente Nicolás Maduro y la Revolución Bolivariana, a pesar de que de Venezuela se sirvió para llegar al organismo regional. De manera ya grosera, Almagro no desaprovecha ningún hecho político ni renuncia a ningún espacio para lograr respaldo a su propuesta de activar la Carta Democrática Interamericana, que en lenguaje común es un llamado a que Estados Unidos intervenga en la nación sudamericana.

Almagro quiere que el debate se focalice entorno a Venezuela, cuando en realidad la situación es mucho más compleja y peligrosa para la región. La “toma de partido” del uruguayo –un otrora izquierdista al que le se atribuye como sus mayores debilidades la búsqueda permanente del poder y la fama, además de su tendencia por el alcohol-, no da lugar a las dudas cuando se trata de hechos objetivamente verificables. La OEA bajo su mando hizo todo lo que está a su alcance, a pesar de las resistencias de varios países (Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, El Salvador y otros), por bajar de intensidad informativa y política a la denuncia de “golpe congresal” contra la presidenta de Brasil, Dilma Rousseff, en 2016. Almagro tampoco impulsó ninguna comisión ni pronuncio ningún criterio luego que la realidad comprobara que detrás del golpe en Brasil estaba una verdadera red de corrupción del ahora presidente Temer. Pero si de inacción se habla, es el silencio cómplice del Secretario General de la OEA sobre la situación de la democracia en El Salvador, donde si hay más de una decena de sentencias que confirman el papel golpista de la Sala Constitucional contra el gobierno del presidente Salvador Sánchez Cerén.

Por eso, Venezuela no puede quedar aislada. Eso es lo que busca el Secretario General de la OEA. La reacción de los países contra ese plan no solo debe estar motivada por la solidaridad con un país que ha contribuido mucho al renacimiento del espíritu latinoamericanista, cuya única expresión hasta antes del triunfo de Chávez a fines del siglo XX solo se mantenía viva a nivel de estados a través de Cuba, una revolución que resiste heroicamente desde hace 57 años un criminal bloqueo estadounidense, a pesar que durante veinticuatro veces consecutivas la Asamblea General de la ONU ha aprobado resoluciones que piden el fin del denominado embargo comercial y financiero.

Los países de América Latina deben reaccionar antes que sea tarde. Lo que está en peligro no es solamente los gobiernos progresistas y revolucionarios (pues no es serio hablar de fin del ciclo progresista, como no fue serio hablar del fin de la historia o de las ideologías tras el colapso de la URSS y el campo socialista). Lo que se está poniendo en peligro es la democracia –con sus diferentes tonos- y a la propia América Latina como zona de paz.

Lejos de expresar fortaleza, lo que hace Almagro con sus torpes y obsesivas acciones es poner en evidencia la crisis de hegemonía de los Estados Unidos y el agotamiento del Sistema Interamericano de la Organización de Estados Americanos (OEA). Desde su fundación en 1948, al influjo de la “Doctrina Monroe” (América para los Americanos), la OEA nunca ha dejado de ser el instrumento por el cual Estados Unidos ha pretendido “camuflar” sus poderosos intereses en la región: en la década de los 60 a través de la Alianza para el Progreso y la expulsión de Cuba por razones ideológicas, en los 80 con el consenso de Washington y en los 90 con el Acuerdo de Libre Comercio para las Américas (ALCA) y los Tratados de Libre Comercio (TLC). Un mecanismo creado para darle oxígeno a la deteriorada hegemonía de los Estados Unidos en la región ha sido “La Cumbre de las Américas” impulsada por Clinton en 1994 en Miami.

Si bien quedan en el recuerdo el silencio cómplice de la OEA ante las invasiones militares estadounidenses a Guatemala (1954), República Dominicana (1965), Granada (1983), Panamá (1989) y Haití (1994), hay otros hechos que confirman el agotamiento de la OEA y el Sistema Interamericano: la violación de territorio ecuatoriano por las fuerzas armadas de Colombia con el objetivo, logrado, de asesinar el jefe rebelde de las FARC en marzo de 2008; los golpes de estado contra el presidente Manuel Zelaya de Honduras en junio de 2009 y contra Fernando Lugo del Paraguay en 2012; los fracasados golpes de estado contra Hugo Chávez en Venezuela (2002), Evo Morales de Bolivia en 2009 y Rafael Correa de Ecuador de 2010. A esta larga lista se pueden sumar más hechos, como la inutilidad que tuvo ese organismo regional y su mecanismo el TIAR para defender a la Argentina en la guerra de las Malvinas en 1982.

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