Il 4 agosto di quest’anno, mancando solo tre giorni perché Juan Manuel Santos consegnasse la presidenza della Colombia a Ivan Duque, si è realizzato un tentato assassinio contro il Presidente venezuelano Nicolas Maduro.
A poche ore dall’attentato, le prime indagini hanno condotto in Colombia ed il Presidente Maduro ha pubblicamente segnalato la responsabilità del presidente uscente Santos.
Non sarebbe la prima volta che Santos compie atti di guerra violando territori di paesi vicini alla Colombia, poiché si ricorda che è stato lui, come ministro della difesa, ha dirigere il bombardamento contro il territorio ecuadoriano, nel 2008, come parte della “Operazione Fenix“.
Juan Manuel Santos è sembrato intrappolato tra due eventi storici: la fine del suo mandato, la prima settimana di agosto, e l’annuncio di nuove misure economiche da parte del Presidente venezuelano, l’ultima settimana di luglio.
Una delle decisioni che ha causato più trambusto nei media colombiano è stato l’annuncio di nuovi prezzi e normative sulla vendita di benzina, la cui prima vittima saranno gli interessi economici delle mafie colombiane legate al contrabbando di estrazione di combustibili dal Venezuela. Ma anche ne soffrirebbe tutto lo stato colombiano che ha istituito meccanismi per beneficiarsi direttamente di questa attività illecita e smorzare, con essa, la debacle socio-economica in cui ha sottomesso i popoli del confine con il Venezuela e soprattutto quello di Cucuta, capitale del dipartimento del Nord di Santader e la più grande delle città che confinano con il nostro paese, la cui economia si attiva, principalmente, parassitando l’economia venezuelana.
Quasi 40 anni di contrabbando di combustibile dal Vzla verso la Colombia
Il contrabbando di estrazione di benzina dal Venezuela non ha origine con l’avvento al potere del Comandante Hugo Chavez, al contrario, è in questo periodo che ha iniziato ad essere denunciato ed affrontato persino dalle sue complicità interne.
Secondo una pubblicazione della Banca della Repubblica di Colombia, questa attività è riuscita a permanere, a partire dai primi anni ’80, sostenuta da due elementi: i sussidi che in materia di combustibili ha dato il governo del Venezuela ed i margini di profitto che ha offerto il business. Si sottolinea inoltre che la sua attività economica si concentra, principalmente, nella città di Cúcuta.
Già per l’anno 1999, ad esempio, le stime dello stesso governo colombiano dichiaravano che il 70% dei conducenti cucuteños riempivano i serbatoi dei loro veicoli nei luoghi di vendita del Venezuela o con benzina venezuelana ottenuta da circa 5000 pimpineros (distributori illegali) per le strade di Cucuta, che, in media, tutti i giorni vendevano tra i 20 ed i 25 litri ciascuno, vale a dire che si commercializzavano, ogni giorno, oltre 100 mila galloni di combustibile venezuelano, in Cucuta, prodotto dal contrabbando.
Uribe, la legalizzazione del contrabbando di estrazione ed il paramilitarismo
L’ex presidente della Colombia, Alvaro Uribe Velez, il cui merito più grande è stato la legalizzazione del paramilitarismo e dei suoi affari in quel paese, è anche il mentore della legalizzazione del contrabbando di estrazione dal Venezuela verso la Colombia.
Nel 2006, terminato il suo primo mandato, Uribe decise di legalizzare il combustibile che entra irregolarmente nel paese sotto l’eufemismo della “formalizzazione”. Il “prospero affare” di quasi quattro decenni, aveva, per quell’anno, 12 mila famiglie che vi partecipavano, solo nella città di Cúcuta, secondo i dati del Ministero delle Finanze del Nord di Santander. La “formalizzazione” di questo business è consistito nell’autorizzare alcuni luoghi chiamati “Punti di Raccolta”, dove si autorizza l’acquisto della benzina proveniente dal Venezuela.
Da qui il combustibile passa ad alcuni siti noti come Centri di Raccolta, dove la benzina si marca con alcune sostanze chimiche, per evitare che si distribuisca all’interno del paese e la Direzione delle Imposte e Dogane (DIAN) le legalizza ed incassa le tasse di rigore, il che aumenta il suo valore.
Quindi il prodotto passa alle stazioni di servizio, che alla fine lo distribuiscono all’utente finale. Questo modello è stato posto in opera a La Guajira, Arauca e, naturalmente, a Cúcuta. Il paradosso è che se la benzina viene venduta nei punti di raccolta, non è illegale, ma se si commercializza per strada, è contrabbando.
Questo business si è convertito in una fonte di guadagni per i paramilitari colombiani che fanno parte delle stesse mafie che controllano gli assassini e le estorsioni nello stato di Táchira. Con questo business, e con il riciclaggio di denaro che ciò consente, si alimenta anche l’invasione paramilitare del Venezuela dal 2002.
Questa misura è una delle tante che sono state denunciate dal Venezuela su come lo stato colombiano ha creato meccanismi per sfruttare il contrabbando di estrazione col doppio scopo economico e politico.
Il lucroso affare “formale” del contrabbando di combustibile
Al riparo di questa risoluzione uribista nascono cooperative come la Cooperativa Multiattiva Pimpineros del Nord (COOMULPINORT), che è registrata presso la Camera di Commercio di Cucuta ed, ironicamente, si definisce come un’entità senza scopo di lucro.
Questa cooperativa possiede inoltre un impianto che ha una capacità di immagazzinare 800000 galloni di combustibile e permette che i cosiddetti pimpineros associati facciano entrare nel mercato formale il prodotto del contrabbando, a condizione che questo entri in unità inferiori a 20 galloni.
Così il combustibile che si ottiene in Venezuela triplica il suo valore all’essere venduto in Colombia e anche così costa quasi la metà del combustibile colombiano. Questa cooperativa, incoraggiata da Uribe, secondo i calcoli fatti da loro stessi, fa entrare illegalmente, ogni mese, quasi 15 milioni di litri di benzina venezuelana nel Nord di Santander.
Lo scorso anno il contrabbando di benzina verso la Colombia, per la rotta che termina in Cucuta, era di tale grandezza che un provvedimento del governo del Nord di Santander stava per chiudere uno dei centri di raccolta delle cooperative di pimpineros per la presunta violazione della capacità di stoccaggio, che è stabilita in 400mila litri, quando in realtà erano effettivamente immagazzinati 1 milione 600 mila galloni.
Nel 2015, l’esperto petrolifero venezuelano David Paravisini ha denunciato che giornalmente si “bachaqueaba” (contrabbandava), in Colombia, 45 mila barili di benzina, ciò che costituisce il 55% del consumo di carburante di quel paese. L’80% del contrabbando è distribuito da tre società vincolate all’uribismo (Vetra, Pacific Rubiales e PetroMagdalena), che insieme con Ecopetrol, l’impresa petrolifera di stato colombiana, commercializzano come propria la benzina venezuelana, generando milioni di bolivar al giorno per finanziare il golpe economico in Venezuela.
La verità è che, anche se il presidente Santos ed il suo governo hanno cercato ripetutamente di negare queste misure con cui lo stato colombiano si arricchisce a spese dell’economia venezuelana, l’impatto della chiusura delle frontiere ordinata, nel 2015, dal Presidente Maduro sull’economia di Cucuta e le sue conseguenti reazioni sociali, evidenziano tanto l’abbandono, da parte del governo colombiano, di tale regione come la dipendenza economica dal contrabbando di estrazione. Tale è il caso delle proteste di piazza e scioperi della fame che hanno visto protagonisti questi pimpineros.
Questi conflitti sono iniziati a fine maggio 2013, quando il governo del Venezuela ha sospeso, unilateralmente, il rifornimento di combustibile, lasciando il rifornimento del Nord di Santander, sotto la responsabilità delle raffinerie colombiane, con conseguente aumento del consumo di combustibile nazionale ed una crisi di rifornimento di combustibile nella regione, secondo fonti della stessa Banca della Repubblica.
Un lavoro di ricerca dell’Università Militare Nueva Granada della Colombia dice. “Il business della benzina è diventato così redditizio che le bande criminali hanno cessato di contrabbandare la droga per dedicarsi totalmente al contrabbando di combustibile. Questo genera come profitto più di 1400 milioni di dollari l’anno. Molto denaro guadagnato senza essere seguiti dalla DEA o dall’Interpol, non bisogna coltivare né processare nessun tipo di pianta”.
Tutto questo si aggiunge all’interesse del governo colombiano di generare falsi positivi che gli permettano continuare attentando alla stabilità del governo venezuelano e dà senso alla risposta della Cancelleria venezuelana di fronte all’ultimo tentativo di generare un falso positivo, dalla Colombia, lo scorso 19 agosto.
Nel comunicato, il ministro degli Esteri Arreaza ha denunciato la coincidenza “che l’accusa delle autorità colombiane si dà quando il governo venezuelano pone in marcia il Piano di Recupero, Crescita e Prosperità Economica, il cui successo è una minaccia letale per gli interessi delle mafie colombiane del contrabbando di combustibile, generi di prima necessità, traffico di droga e di armi, come anche contro le strutture dei gruppi che si sono dedicati ad attaccare il sistema finanziario e monetario del Venezuela dal territorio colombiano”.
In breve: la para-economia che sostiene gran parte dell’oriente colombiano, e di conseguenza l’abbandono dello Stato in quella zona dipendono dal contrabbando di benzina dal Venezuela, un business redditizio per i gruppi paramilitari e le élite mafiose. Quindi non sorprende che utilizzando un’operazione false flag o falso positivo per spingere verso un conflitto con il Venezuela, sia una carta testata da un’oligarchia che considera legittimo, quasi un “diritto umano”, sottrarre l’energia che appartiene al suo paese vicino.
¿Cómo se beneficia Colombia del contrabando de gasolina desde Venezuela?
El día 4 de agosto del año en curso, faltando sólo tres días para que Juan Manuel Santos entregara la presidencia de Colombia a Iván Duque, se llevó a cabo un intento de magnicidio contra el presidente venezolano Nicolás Maduro.
A pocas horas del atentado las primeras investigaciones condujeron a Colombia y el presidente Maduro señaló públicamente la responsabilidad del saliente presidente Santos.
No sería la primera vez que Santos realiza actos de guerra violando territorios de países vecinos a Colombia, pues cabe recordar que fue él mismo quien como Ministro de la Defensa dirigió el bombardeo contra territorio ecuatoriano en 2008 en el marco de la “Operación Fénix”.
Juan Manuel Santos pareció quedar atrapado entre dos sucesos históricos: el fin de su mandato la primera semana de agosto y el anuncio de nuevas medidas económicas por parte del presidente venezolano la última semana de julio.
Una de las decisiones que más revuelo causó en los medios colombianos fue el anuncio de nuevos precios y regulaciones en la venta de gasolina, cuya primera víctima serían los intereses económicos de las mafias colombianas vinculadas al contrabando de extracción de combustible desde Venezuela. Pero también sufriría el Estado colombiano todo, que ha establecido mecanismos para beneficiarse directamente de esta actividad ilícita y amortiguar con ella la debacle socio-económica en la que ha sumido a los pueblos de la frontera con Venezuela y especialmente al de Cúcuta, capital del departamento del Norte de Santader y la más grande de las ciudades que colindan con nuestro país, cuya economía se activa mayoritariamente parasitando la economía venezolana.
Casi 40 años de contrabando de combustible de Venezuela hacia Colombia
El contrabando de extracción de gasolina desde Venezuela no se origina con la llegada al poder del Comandante Hugo Chávez, por el contrario, es durante este período que ha comenzado a ser denunciado y enfrentado incluso desde sus complicidades internas.
Según una publicación del Banco de la República de Colombia, esta actividad ha logrado permanecer desde comienzos de los años 80, apoyada por dos elementos: los subsidios que en materia de combustibles ha otorgado el gobierno de Venezuela y los márgenes de utilidad que ha brindado el negocio. También señala que su actividad económica se concentra mayoritariamente en la ciudad de Cúcuta.
Ya para el año 1999, por ejemplo, los cálculos del propio gobierno colombiano decían que el 70% de los conductores cucuteños llenaban los tanques de sus vehículos en los centros de expendio de Venezuela o con gasolina venezolana que obtenían de alrededor de 5 mil pimpineros en las calles de Cúcuta, quienes en promedio vendían a diario entre 20 y 25 galones cada uno, es decir, que se comercializaban diariamente más de 100 mil galones de combustible venezolano en Cúcuta producto del contrabando.
Uribe, la legalización del contrabando de extracción y el paramilitarismo
El ex presidente de Colombia, Álvaro Uribe Vélez, cuyo mayor mérito fue la legalización del paramilitarismo y sus negocios en ese país, es también el mentor de la legalización del contrabando de extracción de Venezuela hacia Colombia.
En el año 2006, terminando su primer mandato, Uribe resolvió legalizar el combustible que entra irregularmente al país bajo el eufemismo de “formalización”. El “próspero negocio” de casi cuatro décadas, tenía para ese año 12 mil familias que participaban sólo en la ciudad Cúcuta, según datos de la Secretaría de Hacienda de Norte de Santander. La “formalización” de este negocio consistió en autorizar unos lugares llamados “Puntos de Recolección“, donde se autoriza la compra de la gasolina que viene de Venezuela.
De ahí el combustible pasa a unos sitios conocidos como Centros de Acopio, donde se marca la gasolina con algunos químicos, para evitar que ésta se distribuya en el interior del país, y la Dirección de Impuestos y Aduanas (DIAN) la legaliza y cobra los impuestos de rigor, lo que aumenta su valor.
Luego el producto pasa a las estaciones de servicio, las que finalmente lo distribuyen al usuario final. Este modelo se puso en marcha en La Guajira, Arauca y por supuesto en Cúcuta. Lo paradójico es que si la gasolina se vende en los puntos de recolección, no es ilegal, pero si se comercializa en la calle, es contrabando.
Este negocio se ha convertido en una fuente de ingresos para los paramilitares colombianos que forman parte de las mismas mafias que controlan el sicariato y la extorsión en el estado Táchira. Con este negocio y con el lavado de capitales que permite, se alimenta también la invasión paramilitar a Venezuela desde el año 2002.
Esta medida es una de las varias que se han venido denunciado desde Venezuela sobre cómo el Estado colombiano ha generado mecanismos para aprovechar el contrabando de extracción con doble propósito económico y político.
El lucrativo negocio “formal” del contrabando de combustible
Al amparo de esa resolución uribista nacen cooperativas como la Cooperativa Multiactiva de Pimpineros del Norte (COOMULPINORT), la cual está registrada en la Cámara de Comercio de Cúcuta e irónicamente se define como una entidad sin ánimo de lucro.
Esta cooperativa posee además una planta que tiene una capacidad de almacenar 800 mil galones de combustible y permite que los llamados pimpineros asociados ingresen al mercado formal el producto del contrabando, siempre que este entre en unidades menores a 20 galones.
Así el combustible que se consigue en Venezuela triplica su valor al ser vendido en Colombia y aún así cuesta casi la mitad del combustible colombiano. Esta cooperativa alentada por Uribe, según los cálculos hechos por ellos mismos, ingresan ilegalmente casi 15 millones de litros de gasolina venezolana en Norte de Santander cada mes.
El año pasado el contrabando de gasolina hacia Colombia por la ruta que termina en Cúcuta, fue de tal magnitud que una medida del gobierno de Norte de Santander estuvo a punto de cerrar uno de los centros de acopio de las cooperativas de pimpineros por la presunta violación en la capacidad de almacenamiento autorizada, la cual está estipulada en 400 mil galones, cuando en realidad estaban almacenando 1 millón 600 mil galones.
En el año 2015, el experto petrolero venezolano David Paravisini denunció que diariamente se “bachaqueaba” a Colombia 45 mil barriles de gasolina, lo que constituye el 55% del consumo de combustible de ese país. El 80% del contrabando es distribuido por tres empresas vinculadas al uribismo (Vetra, Pacific Rubiales y Petromagdalena), que junto a Ecopetrol, la petrolera estatal colombiana, comercializan como propia la gasolina venezolana, generando diariamente millones de bolívares para financiar el golpe económico en Venezuela.
Lo cierto es que a pesar de que el presidente Santos y su gobierno trataron en reiteradas ocasiones negar estas medidas con las que el Estado colombiano se lucra a costa de la economía venezolana, las repercusiones del cierre de fronteras ordenado en 2015 por el presidente Maduro en la economía de Cúcuta y sus consecuentes reacciones sociales, evidencian tanto el abandono del gobierno colombiano a esa región como la dependencia económica del contrabando de extracción. Tal es el caso de las protestas de calle y huelgas de hambre que han protagonizado estos pimpineros.
Estos conflictos comenzaron a finales del mes de mayo de 2013, cuando el gobierno de Venezuela suspendió unilateralmente el suministro de combustible, dejando el suministro de Norte de Santander bajo la responsabilidad de las refinerías colombianas, ocasionando un aumento del consumo del combustible nacional y una crisis de abastecimiento de combustible en la región, según fuentes del propio Banco de la República.
Un trabajo de investigación de la Universidad Militar Nueva Granada de Colombia dice: “El negocio de la gasolina se ha vuelto tan rentable que las bandas criminales han dejado de traficar droga para dedicarse de lleno al contrabando de combustible. Este genera como ganancia más de 1 mil 400 millones de dólares por año. Mucho dinero que se gana sin ser seguido por la DEA o la Interpol, no hay que cultivar ni procesar ningún tipo de planta”.
Todo esto suma al interés del gobierno colombiano por generar falsos positivos que le permitan continuar atentando contra la estabilidad del gobierno venezolano y da sentido a la respuesta de la Cancillería venezolana ante el más reciente intento de generar un falso positivo desde Colombia el pasado 19 de agosto.
En el comunicado, el canciller Arreaza denunció la coincidencia de “que la acusación de las autoridades colombianas se dé cuando el gobierno venezolano pone en marcha el Plan de Recuperación, Crecimiento y Prosperidad Económica, cuyo éxito constituye una amenaza letal contra los intereses de las mafias colombianas del contrabando de combustible, productos de primera necesidad, tráfico de drogas y armas, como también contra las estructuras de los grupos que se han dedicado a atacar el sistema financiero y monetario de Venezuela desde territorio colombiano”.
En síntesis: la paraeconomía que sostiene a buena parte del oriente colombiano, y en consecuencia, el abandono del Estado en esa zona, dependen del contrabando de gasolina desde Venezuela, un rentable negocio para grupos paramilitares y élites mafiosas. Por lo que no sorprende que utilizando una operación de bandera falsa o falso positivo para presionar hacia un conflicto con Venezuela, sea una carta tenteada por una oligarquía que considera legítimo, casi un “derecho humano”, sustraer la energía que le pertenece a su país vecino.