di Geraldina Colotti
Nel suo famoso saggio Capitalismo e libertà, l’economista Milton Friedman descrive la liberazione degli esseri umani e del mercato come due facce della stessa medaglia. Le teorie di Friedman e dei suoi ex studenti, tristemente noti in America Latina come “Chicago boys”, hanno servito l’ordine dato da Richard Nixon dopo la vittoria di Salvador Allende alle elezioni del 1970: “far urlare l’economia cilena”. Come? Imponendo il caos, preparando il terreno affinché un dittatore potesse poi presentarsi come “uomo della provvidenza”: Pinochet in Cile, e altri gorilla al soldo della CIA in buona parte del continente, dove le urla provocate da quelle “ricette” non si sono ancora spente.
Per imporre alle classi popolari quel sistema di “lacrime e sangue” – la “terapia d’urto”, secondo la teoria di Friedman – occorreva vincere la lotta a morte contro il comunismo, che aveva spalancato le porte in direzione opposta. Si doveva sottomettere un paese come il Cile, che aveva scelto democraticamente il socialismo allendista prima della dittatura. Si dovrà – in seguito, dopo la caduta del campo socialista – cancellare nella memoria delle classi popolari gli insegnamenti di quello scontro. Si dovrà cambiare di segno ai concetti…
Abbiamo già avuto modo di ricordare le consistenti analogie tra la guerra economica scatenata dai poteri forti contro il Venezuela e quella che ha portato al golpe contro Allende nel Cile del 1973: scarsità di prodotti, inflazione alle stelle, insicurezza e paura del domani. A quasi mezzo secolo di distanza, però, il sistema capitalista – un’idra a più teste impegnata in uno scontro mortale con gli stessi mostri che ha generato – ha affinato le sue strategie.
Il Venezuela bolivariano è un laboratorio per le guerre di quarta e quinta generazione, che combinano attacchi “classici” con insidie di nuovo tipo, in particolare usando la strategia del caos e della confusione. Essenziale è accalappiare e confondere le giovani generazioni che non hanno conosciuto lo scontro titanico del secolo scorso. Fondamentale è stendere un velo di finzione, occultare la relazione causa-effetto, esibire falsi simboli per nascondere i nemici veri: ti strangolo con la guerra economica, e poi ti accuso di affamare i bambini; ti blocco i pagamenti o faccio saltare i depositi di medicine, e poi ti accuso di far morire le persone. E se usi la coercizione, ti accuso di essere un dittatore..
Dalla prima guerra contro l’Iraq, si è sperimentato un “racconto” mediatico teso a trasformare una guerra vera in una sorta di videogame. La guerra dei droni mette al riparo l’aggressore e distrugge popolazioni schiacciando un bottone, ma il sangue non si vede. La guerra virtuale. Perché sentirsi responsabili quando si vive nel “primo mondo”, se dalla propria poltrona la guerra non sembra reale? Anche l’ex poliziotto con l’elicottero che lanciava bombe e proclami contro Maduro sembrava uscito da un video-game.
E adesso ecco spuntare un presidente … virtuale: un tale Guaidó, salito agli onori delle cronache per aver esibito il deretano alla polizia durante le “guarimbas” del 2017 e per aver mostrato i muscoli contro una giovane soldatessa, ben spalleggiato da un nutrito gruppo di “pacifici manifestanti”. Di lui si sa che, in quanto militante del partito Voluntad Popular (la parte più estremista della destra venezuelana), è stato eletto presidente del Parlamento in “ribellione”, e che ha mire napoleoniche: si crede il presidente del Venezuela.
La sua legittimità? Virtuale. Proviene da organismi artificiosi che, in quanto tali, non richiedono il mandato popolare. Eppure, tutti i giornali titolano che il Venezuela ha un nuovo presidente. (Intanto, quello vero ha assunto l’incarico e si occupa, insieme alla sua squadra, delle sorti della nazione). Nelle reti sociali, c’è chi saluta invece “l’unto del Virtuale” e si esercita negli accostamenti astrologici (“è nato lo stesso giorno di Chavez”!), o in quelli maschilisti (meglio il modello Barbie della signora Guaidó o quello sobrio della Primera Combatiente?).
Da Miami, le destre straparlano di articoli della Costituzione: la pantomima di chi mente, sapendo di mentire. Il loro obiettivo è sempre stato quello di tornare alla “democrazia rappresentativa” della IV Repubblica, smontando il sistema di pesi e contrappesi che regola l’equilibrio dei cinque poteri alla base della democrazia partecipativa: per riconsegnare il paese nelle mani delle multinazionali. Di ben altra portata è stato il dibattito che si è svolto durante la malattia di Chavez, quando il popolo cosciente ha assunto con saggezza quel momento drammatico, proprio intendendo a fondo gli articoli della Costituzione, approvata a stragrande maggioranza nel 1999.
Le destre, invece, vorrebbero usare a Carta Magna come foglia di fico, per imporre dall’esterno il loro “governo di transizione”. Se l’elezione di maggio non è valida – dicono – c’è un vuoto di potere, che il pimpante “presidente virtuale” è pronto a riempire. Gli oltre sei milioni di chavisti che hanno votato per Maduro? Basta girare la manopola, per farli scomparire dal video-game…
Sul piano geopolitico, la partita travalica il Venezuela. Sottometterlo o balcanizzarlo ai confini, consentirebbe a Brasile e Colombia uno sbocco commerciale rapido via mare, a fronte del progetto cinese di riattivare l’antica Via della Seta. Le acque dell’Esequibo, ricchissime di petrolio e contese con la Guyana, fanno gola da tempo alle grandi multinazionali. Per questo, l’imperialismo conta di porre a guardia dei suoi interessi nuove e artificiose istituzioni internazionali come il Gruppo di Lima. E con queste, ridefinire a proprio vantaggio i concetti di legalità e legittimità internazionale, già duramente provati dal corso delle “guerre umanitarie” fatte passare in questo nuovo secolo.
Una volta collaudato il gioco, chi impedirà di usarlo ancora? In questo quadro, occorre legittimare un grottesco “governo di transizione”, sul modello libico o siriano. E poco importa se, nel Parlamento “in ribellione”, dove ha la maggioranza, l’opposizione non ha raggiunto il quorum per votare il suo presidente virtuale. In ogni caso, anche nei deliri più accesi, le destre sanno che due elementi cruciali mancano ai loro piani. In primo luogo, il sostegno della Forza Armata Nazionale Bolivariana, che agisce nell’unione civico-militare a difesa di istituzioni forti e non “balcanizzabili” come quelle della Libia. E poi il radicamento sociale.
E per questo, s’inventano il “cabildo aperto”, scimmiottando una volta ancora senza successo, le forme del potere popolare. E per questo organizzano messe in scena mediatiche e “falsi positivi”. Quanto potrà durare prima che la realtà s’imponga sul virtuale? A meno che, come in un brutto film di fantascienza, non vengano assorbiti dal video-game, nell’orbita grottesca del loro burattinaio.