Luca V. Calcagno | articolotre.com
Raul Capote è un professore all’università dell’Avana che ha lavorato come agente segreto per la CIA, e contemporaneamente per il controspionaggio cubano, tra il 2005 e il 2011. La CIA mirava a creare una contestazione interna a Cuba in opposizione alla Rivoluzione. Il controspionaggio di Capote ha permesso di ricostruire la rete di infiltrati CIA presente sull’isola. La sua storia è stata raccontata nel libro “Un altro agente all’Avana”. A organizzare la sua visita in Italia, l’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba.
Capote, non ci sono state ritorsioni da parte della CIA?
Ci sono state delle minacce di morte, contro di me o contro la mia famiglia. Ma avvenivano tramite delinquenti comuni o gruppi controrivoluzionari, non sono mai stato direttamente minacciato dalla CIA. Nel periodo in cui avevo rivelato tutto, hanno cercato di negare che io avessi fatto parte di loro. Poi nel 2011, presentate le prove, hanno tentato di comprarmi per farmi smentire tutto, per poi far sì che lasciassi Cuba.
Perché ha scelto Cuba e non una vita agiata negli Stati Uniti?
È stata una reazione naturale, perché il cubano sa da sempre chi è il vero nemico di Cuba. Non mi riferisco soltanto alla rivoluzione, ma ai rapporti con gli Stati Uniti sin dalla nascita del Paese.
E come vede, allora, l’avvicinamento tra Stati Uniti e Cuba?
Positivamente: migliorare le relazioni con gli Stati Uniti significa potenziarle con il mondo intero, perché il blocco nei confronti di Cuba ha un carattere internazionale ed extraterritoriale, che si ripercuote su paesi terzi. Con la facilitazione degli scambi commerciali Cuba può sviluppare una propria economia. Il che è importante, perché permetterebbe di dimostra che il Paese non investe soltanto sul sociale, sull’istruzione e sulla medicina.
Com’è la vita in un paese socialista?
Non lo dico per sciovinismo, ma la vita a Cuba è migliore che nel resto del mondo. Ci sono garanzie che gli altri Paesi non danno e non ha nulla a che vedere con quelli che sono stati gli altri Paesi socialisti. Abbiamo attraversato delle serie difficoltà economiche, come il blocco, e abbiamo anche commesso degli errori. Ma abbiamo sempre avuto la convinzione di poterci correggere e scegliere strade migliori.
Abbiamo un sistema democratico molto avanzato e in via di miglioramento: la gente ha la possibilità di partecipare alle scelte di sviluppo del Paese. A Cuba nessun progetto di legge con ripercussioni nel sociale viene approvato senza un percorso di analisi di base. Un esempio: al VI Congresso del Partito Comunista Cubano, è stato redatto un documento economico che è stato poi discusso nelle assemblee di fabbrica e di quartiere. Il risultato, alla fine, è stato un documento cambiato all’80% rispetto all’originale. Quella che si realizza a Cuba non è la decisione di un presidente, ma delle persone.
Quello di Cuba è ancora comunismo?
Ovviamente sì. Bisogna sottolineare una cosa, ovvero che ciò che pensa la gente quando sente parlare del Partito Comunista Cubano è viziato da altre esperienze di comunismo. Non c’è un ateismo imposto, infatti c’è la tolleranza religiosa: si può essere comunista e cattolico o comunista e protestante; stesso discorso vale per l’omosessualità. Il Partito non limita queste scelte, benché sia selettivo e non un comitato elettorale, che vuole più iscritti possibili.
Siamo molto più comunisti ora di prima: si è accresciuto il nostro concetto di libertà.
Dunque Raul Castro che incontra il papa e potrebbe tornare cattolico …
Quella di Raul, secondo me, era una battuta. Sia Raul che Fidel hanno avuto una formazione religiosa, gesuita, come il papa stesso. La sua battuta conteneva un’implicita critica alla Chiesa, perché nel momento in cui riconosce che quel papa sta facendo bene, critica tutto ciò che, invece, vi è stato prima.
Secondo lei perché oggi i Partiti Comunisti sono spariti o sono in difficoltà?
Dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, secondo me, molti hanno perso un punto di riferimento, dimenticando poi la propria base e il legame con essa. Un partito comunista non dovrebbe mai essere un partito elettorale: il suo compito è lottare per la classe lavoratrice e per fare la rivoluzione. E quando entra nei meccanismi elettorali perde una parte delle sue forze, che vengono investite nell’elezione di un candidato. Inoltre non si deve chiudere nel dogmatismo teorico.
Però, sono profondamente convinto che i partiti comunisti rinasceranno più forti di prima.