La bussola USA continua a indicare le direzioni lungo le quali devono camminare alcuni settori delle opposizioni venezuelana, in particolare quelli che hanno un canale diretto con l’establishment di Washington D.C.
Uno di questi è quello rappresentato da María Corina Machado, che ha deciso di iscriversi al “percorso elettorale” con un verbo infiammato di minacce alla stabilità, sostenuto da una mediazione di elementi della “società civile” e agenti politici disposti a giungere “fino alla fine” per “cambiare il regime”.
Le primarie antichaviste l’hanno data vincitrice, pur con segnali di irregolarità e denunce da parte di quasi tutti i settori politici del Paese sull’illegittimità dei suoi risultati. Il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) ha annullato questo processo a causa di infrazioni comprovate dal deputato José Brito del movimento Primero Venezuela, tuttavia, Machado insiste che è lei la candidata che affronterà il presidente Nicolás Maduro nel suo tentativo di rielezione l’anno prossimo, sostenuta da altre parcelle all’interno delle dirigenze dell’opposizione.
Ma il sostegno alla sua candidatura, irrita se teniamo conto che è inabilitata a ricoprire incarichi politici e amministrativi per 15 anni, varca i confini venezuelani, oltre i Caraibi, in Nord America: sia i congressisti della Florida (i senatori Marco Rubio e Rick Scott, tra questi) sia il responsabile della politica estera per l’Emisfero Occidentale dell’amministrazione Joe Biden, Juan González, hanno esatto che lo Stato venezuelano accetti la partecipazione di Machado alle elezioni presidenziali del 2024.
Nello specifico, il rappresentante del governo USA ha minacciato di ripristinare lo status quo delle sanzioni contro il Venezuela, con il ritiro delle licenze generali emesse dal Dipartimento del Tesoro un paio di mesi fa, se Machado non fosse abilitata, un procedimento che non potrebbe avvenire per le colpe incorse dalla dirigente di Vente Venezuela in termini pecuniari e politici.
Le prove che la dirigente dell’opposizione ha commesso crimini contro la patria dovrebbero essere sufficienti per dimostrare che lei stessa ha forgiato la sua strada verso l’esclusione politica. Ma la sua inabilitazione è legata a irregolarità nelle sue dichiarazioni giurate di patrimonio quando ricopriva la carica legislatrice presso l’Assemblea nazionale.
Ciò che è chiaro è che esiste un consenso tra repubblicani e democratici nel loro appoggio alla figura di Machado come prossimo avversaria del presidente Maduro. Una posizione che non si può rigettare a causa del trambusto che ha assunto, mettendo in luce la condizione di subordinata alla “strategia” che l’amministrazione Biden ha messo a punto nei confronti del Venezuela.
NEL RECINTO DELL’ESTABILISHMENT USA
All’inizio dell’anno, questo forum ha pubblicato l’analisi di un documento del Centro Wilson che argomentava circa la “tabella di marcia” che la Casa Bianca dovrebbe adottare per indirizzare meglio i passi USA in relazione alla situazione politica venezuelana.
Lì si dimostrava “(…) il ruolo di lavoro non riesce a mascherare completamente che l’obiettivo fondamentale è una ‘transizione politica’ (p.5) con un ‘trasferimento di potere’ (p.2), e la ‘ricostruzione’ (p.14 ) politica e nazionale, poi alla ricerca del superamento di un «periodo traumatico che ha causato molto danno al Venezuela, destabilizzato la regione e danneggiato milioni di compatrioti» (p.20), secondo i consueti canoni del catechismo liberale, codificati nella quadro ideologico del Partito Democratico.
In questo senso, il Centro Wilson raccomandava il sostegno al tavolo di dialogo tra il Governo bolivariano e la Piattaforma Unitaria Democratica (PUD) come meccanismo ideale per fare pressione sul “cambio di regime”. Con l’aggiunta che, dietro le quinte, gli attori della “società civile” dovevano essere disposti a esercitare tale pressione dalle strade, con proteste e altre tattiche di condanna delle istituzioni venezuelane.
CONTINUIAMO NELLA LOTTA TRA SOVRANITÀ E TUTELA, TRA AUTODETERMINAZIONE E RICONQUISTA
Ma lo stesso centro studi con sede a Washington D.C., con un’ascendenza non minore nella presa di decisione della Casa Bianca (Antony Blinken, attuale Segretario di Stato fa parte di detta organizzazione), raccomandava strumentalizzare l’arrivo al potere di Lula da Silva, in Brasile, Gustavo Petro in Colombia e Gabriel Boric in Cile per “rafforzare i negoziati” finalizzati alla “transizione democratica”.
Citiamo la fonte, pagina 22 (le lettere in grassetto sono nostre): “Una nuova caratteristica del panorama che potrebbe contribuire a rafforzare i negoziati è l’arrivo al potere in Colombia, Cile e Brasile di governi di sinistra che condividono molti valori ed esperienze storiche con il Venezuela ma che, a differenza del governo Maduro, sono impegnati per la democrazia e la protezione dei diritti umani.
In effetti, a volte sono stati critici nei confronti del governo Maduro e sono chiaramente a favore di una transizione democratica. “I capi di questi governi (…) hanno credibilità democratica e canali diretti con il governo Maduro.”
Nello stesso senso, María Corina Machado ha recentemente espresso, in un’intervista a NTN24, il suo desiderio che Lula, Petro e Boric “contribuiscano alla transizione in Venezuela”. Queste dichiarazioni sono una copia carbone delle raccomandazioni del Centro Wilson e sono in linea con le dichiarazioni fatte dallo stesso presidente cileno durante il VII Vertice della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) lo scorso gennaio.
L’esortazione di Machado si riferisce alla migrazione venezuelana, sostenendo che l’ondata migratoria venezuelana ha avuto come destinazione questi Paesi sudamericani, e che questo fenomeno “non si fermerà finché i venezuelani non sentano di avere un futuro nel loro Paese”.
Da qui, la costruzione di condizioni per negoziare e procedere verso la “transizione”, come suggerisce il Centro Wilson, prende in considerazione la migrazione come fattore argomentativo per ottenere il sostegno dei suddetti governi progressisti per una “leva dell’opposizione” nel fronte latinoamericano.
È vero che solo Boric si è pronunciato su questi temi, e che Lula e Petro hanno riaffermato i legami di collaborazione con la Presidenza venezuelana, ma è da notare che Machado porti alla coalizione questo tema politico nel quadro del “percorso elettorale” che proclama seguire.
Non c’è da stupirsi che il Dipartimento di Stato e la stessa dirigente dell’opposizione abbiano ufficialmente sostenuto la firma degli accordi di Barbados, in cui sono state raggiunte risoluzioni in campo elettorale per le elezioni presidenziali del 2024.
Tuttavia, ciò che più colpisce nell’affermazione di Machado è che essa mette in primo piano l’elemento che sarà, ancora una volta, il nervo centrale della disputa politico-elettorale del prossimo anno: la lotta tra sovranità e tutela, tra autodeterminazione e riconquista, presente in tutte le battaglie politiche dal 5 marzo 2013 in poi.
María Corina Machado si trova ora al centro di questo paradigma e dimostra, ancora una volta, di essere sulla “tabella di marcia” tracciata da un importante settore politico-intellettuale di Washington D.C.
Il recinto è stabilito e Machado non ha scappatoia alcuna; si deve all’egida USA e deve attenersi alle decisioni emanate dall’amministrazione Biden. Allo stesso tempo, il Venezuela di Maduro guadagna terreno politico, economico e commerciale sulla scena internazionale, assumendo una posizione sovrana nei suoi affari interni, come dimostrato dall’indizione del referendum consultivo del 3 dicembre in difesa della Guayana Esequiba.
MACHADO, A TONO CON LOS LINEAMIENTOS ESTRATÉGICOS DE WASHINGTON
La brújula estadounidense sigue dando las direcciones por las que deben caminar algunos sectores de las oposiciones venezolanas, en específico los que tienen un canal directo con el establishment en Washington, D.C.
Uno de aquellos es el que representa María Corina Machado, quien decidió enlistarse en la “ruta electoral” con un verbo encendido de amenazas a la estabilidad, sostenido por un corretaje de elementos de la “sociedad civil” y agentes políticos que están dispuestos a llegar “hasta el final” para “cambiar de régimen”.
Las primarias antichavistas la dieron como ganadora, aun con los visos de irregularidad y denuncias de casi todos los sectores políticos del país en torno a la ilegitimidad de sus resultados. El Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) dejó sin efecto dicho proceso debido a infracciones probadas por el diputado José Brito del movimiento Primero Venezuela, sin embargo, Machado insiste en que es la candidata que enfrentará al presidente Nicolás Maduro en su intento de reelección el próximo año, apoyada por otras parcelas a lo interno de las dirigencias opositoras.
Pero el apoyo a su candidatura, írrita si tomamos en cuenta que se encuentra inhabilitada para ejercer cargos políticos y administrativos por 15 años, traspasa las fronteras venezolanas, allende el Caribe, en Norteamérica: tanto congresistas de la Florida (los senadores Marco Rubio y Rick Scott, entre ellos) como el responsable de la política exterior para el Hemisferio Occidental de la administración de Joe Biden, Juan González, han exigido que el Estado venezolano acepte la participación de Machado en los comicios presidenciales de 2024.
En específico, el representante del gobierno estadounidense amenazó con regresar al statu quo de las sanciones contra Venezuela, con el retiro de las licencias generales emitidas por el Departamento del Tesoro hace un par de meses, si no se habilitaba a Machado, un procedimiento que no podría ocurrir por las faltas incurridas de la dirigente de Vente Venezuela en términos pecuniarios y políticos.
Las evidencias de que la lideresa opositora ha cometido delitos contra la patria deberían ser suficientes para dar cuenta de que ella misma forjó su camino a la exclusión política. Pero su inhabilitación está relacionada a irregularidades en sus declaraciones juradas de patrimonio cuando ejercía su cargo como legisladora en la Asamblea Nacional.
Lo que sí está claro es que hay un consenso entre republicanos y demócratas en su apoyo a la figura de Machado como próxima contrincante del presidente Maduro. Una posición que no se puede desestimar debido a la vocería que ha tomado, dando luces de la condición subordinada a la “estrategia” que ha ajustado la administración Biden respecto a Venezuela.
EN EL REDIL DEL ESTABLISHMENT ESTADOUNIDENSE
A principios de año esta tribuna publicó un análisis sobre un paper del Wilson Center que argumentaba en torno a la “hoja de ruta” que debía tomar la Casa Blanca para direccionar mejor los pasos estadounidense con relación a la situación política venezolana.
Allí se demostraba que “(…) el papel de trabajo no logra disimular del todo que el objetivo fundamental es una ‘transición política’ (p.5) con una ‘transferencia de poder’ (p.2), y la ‘reconstrucción’ (p.14) política y nacional, luego en la búsqueda de la superación de un ‘período traumático que le ha hecho mucho daño a Venezuela, desestabilizado la región y dañado a millones de compatriotas’ (p.20), de acuerdo a los cánones habituales del catecismo liberal, codificado en el marco ideológico del Partido Demócrata”.
En ese sentido, Wilson Center recomendaba el apoyo a la mesa de diálogo entre el Gobierno Bolivariano y la Plataforma Unitaria Democrática (PUD) como mecanismo idóneo para presionar el “cambio de régimen”. Con la adición de que, detrás de escena, había que tener a los actores de la “sociedad civil” dispuestos a ejercer esa presión desde las calles, con protestas y otras tácticas de condena a las instituciones venezolanas.
CONTINUAMOS EN LA PUGNA ENTRE SOBERANÍA Y TUTELAJE, ENTRE AUTODETERMINACIÓN Y RECONQUISTA
Pero asimismo el think-tank radicado en Washington, D.C., con una ascendencia no menor en la toma de decisiones de la Casa Blanca (Antony Blinken, actual Secretario de Estado, forma parte de dicha organización), recomendaba instrumentalizar la llegada al poder de Lula da Silva en Brasil, Gustavo Petro en Colombia y Gabriel Boric en Chile para “reforzar las negociaciones” encaminadas hacia la “transición democrática”.
Citamos la fuente, página 22 (las negritas son nuestras): “Una nueva característica del panorama que podría ayudar a reforzar las negociaciones es la llegada al poder en Colombia, Chile y Brasil de gobiernos de izquierda que comparten muchos valores y experiencias históricas con Venezuela pero que, a diferencia del gobierno de Maduro, están comprometidos con la democracia y la protección de los derechos humanos.
De hecho, a veces han sido críticos con el gobierno de Maduro y claramente favorecen una transición democrática. Los líderes de estos gobiernos (…) tienen credibilidad democrática y canales directos con el gobierno de Maduro”.
En el mismo sentido, María Corina Machado enunció recientemente, en una entrevista con NTN24, su deseo de que Lula, Petro y Boric “contribuyan a la transición en Venezuela”. Las declaraciones son calco y copia en papel carbón de las recomendaciones del Wilson Center, y están alineadas con las manifestaciones que hizo el mismísimo presidente chileno durante la VII Cumbre de la Comunidad de Estados Latinoamericanos y del Caribe (CELAC) en enero pasado.
La exhortación de Machado refiere a la migración venezolana, argumentado que la ola migratoria venezolana a tenido a dichos países sudamericanos como destino, y que este fenómeno “no se va a detener hasta que los venezolanos sientan que tienen un futuro en su país”.
De ahí que la construcción de condiciones para negociar y enrumbarse a la “transición”, como sugiere Wilson Center, tome en cuenta a la migración como un factor argumental para lograr el apoyo de los mencionados gobiernos progresistas para un “apalancamiento de la oposición” en el frente latinoamericano.
Es cierto que solo Boric ha declarado en torno a estos tópicos, y que Lula y Petro han reafirmado lazos de cooperación con la Presidencia venezolana, pero es de notar que Machado traiga a colación este ítem político en el marco de la “ruta electoral” que pregona seguir.
No en balde el Departamento de Estado y la propia dirigente opositora han apoyado oficialmente la firma de los acuerdos de Barbados, donde se llegaron a resoluciones en el área electoral de cara las presidenciales de 2024.
Sin embargo, lo más llamativo de la declaración de Machado es que pone en la palestra el elemento que será, nuevamente, el nervio central de la disputa político-electoral del año que viene: la pugna entre soberanía y tutelaje, entre autodeterminación y reconquista, presente en todas las batallas políticas desde el 5 de marzo de 2013 en adelante.
María Corina Machado ahora se encuentra en el centro de dicho paradigma y demuestra, una vez más, que se encuentra enfilada en la “hoja de ruta” que trazó un importante sector político-intelectual en Washington, D.C.
El redil está asentado, y Machado no tiene escapatoria alguna; se debe a la égida estadounidense y tiene que acatar las decisiones emanadas por la Administración Biden. Al tiempo que la Venezuela de Maduro gana terreno político, económico y comercial en la arena internacional asumiendo una posición soberana en torno a sus asuntos internos, como lo demuestra con la convocatoria al referendo consultivo del 3 de diciembre en defensa de la Guayana Esequiba.