La pedagogia del “Che”
20 ottobre 2005 - La Costituzione Rivoluzionaria di Cuba, varata nel febbraio del 1976, decise che a sedici anni i cubani dovevano essere considerati pienamente cittadini ed esercitare i loro diritti politici, incluso quello di voto. Dunque a Cuba i giovani “entrano” in società due anni prima dei loro coetanei in Italia. Nello stesso anno – il 1976 – in Italia si ottenne per la prima volta il voto ai diciottenni che prima ne erano esclusi.
Visitando l’Istituto Cubano di Biotecnologia, uno dei più avanzati dell’America latina e forse del mondo, si può rimanere sorpresi nello scoprire che l’età media dei ricercatori è di ventiquattro anni. Nel nostro paese l’età media è più alta almeno di un terzo.
Cuba, nonostante la vulgata anticastrista, resta una rivoluzione giovane e che investe gran parte del proprio patrimonio politico, storico e scientifico sulle nuove generazioni.
Gli scritti del “Che” sui giovani e sull’università raccolti in questo libro, ci aiutano a capire meglio questo nesso tra i giovani e la Rivoluzione Cubana Si tratta dell’ investimento sul futuro di un piccolo paese in via di sviluppo che sin dall’indipendenza ha dovuto fare i conti con i limiti oggettivi delle proprie risorse e con quelli soggettivi dell’aggressione permanente da parte dell’ incombente e ingombrante “vicino” del nord: gli Stati Uniti.
Ai capitali finanziari e alla supremazia militare degli USA, Cuba ha saputo contrapporre e difendere un sistema di coesione e giustizia sociale che il resto dell’America Latina e del terzo mondo gli riconosce ed invidia, ma soprattutto ha saputo contrapporre la dignità della propria indipendenza sul piano morale ed un elevatissimo capitale umano sul piano politico/economico.
Di questo ci si accorge subito scorrendo gli scritti ed i discorsi di Ernesto Che Guevara diretti ai giovani e agli studenti nelle università di una Cuba ormai resasi politicamente indipendente con la Rivoluzione del 1959 ma non ancora indipendente sul piano economico e commerciale.
Il Che Guevara che parla agli studenti delle università di Santiago o di Las Villas non è più solo il comandante guerrigliero che “tutta Santa Clara si sveglia per poter vedere”, ma è anche il più giovane ministro dell’industria dell’America Latina alle prese con una enorme mole di problemi concreti da risolvere e con l’ambizione di dotare una isola di dieci milioni di abitanti della propria indipendenza economica.
I suoi rimbrotti agli studenti (bianchi nella stragrande maggioranza) che si ostinano a voler studiare giurisprudenza piuttosto che le facoltà scientifiche, sono il segno della estrema necessità del paese di avere a disposizione tecnici, ingegneri, chimici per poter sviluppare le forze produttive di un paese totalmente dipendente dalla monocoltura della canna da zucchero e dal monopolio statunitense sul suo commercio.
La Cuba dei primissimi mesi della Rivoluzione è un paese che ha un disperato bisogno di capitale umano. Quello assicurato dalla borghesia bianca o creola ha già preso o sta prendendo la strada per Miami. C’è urgenza quindi di formare una nuova generazione che abbia le sue coordinate morali e le sue ambizioni individuali ma che sappia anche sintonizzarle con quelle dell’emancipazione della società nel suo complesso.
Per fare questo c’è bisogno che le università svolgano la duplice funzione di fornire il capitale umano indispensabile al paese e di promuoverne l’emancipazione sociale. Il primo passo è l’accesso ai giovani neri fino ad allora esclusi dall’istruzione. “Che l’università si tinga di nero, che si tinga di mulatto, non solo fra gli alunni ma anche tra i professori, che si tinga di operaio e contadino, che si tinga di popolo” invoca il Che parlando all’università di Las Villas.
Il “Che” spende la sua autorevolezza e la sua fama tra i giovani anche per convincerli a studiare le materie tecniche e scientifiche. Lui, così attento alla dimensione morale e talvolta sociologica dei processi sociali, non può sottrarsi all’impellenza di dotare la Cuba rivoluzionaria delle forze produttive capaci di renderla indipendente dagli Stati Uniti. Le necessità lo costringono a farsi pedagogo nonostante egli stesso ammetta la sua difficoltà dato che “tutta la pedagogia che ho praticato è stata quella degli accampamenti militari, delle parolacce, dell’esempio feroce?”
Una pedagogia che farebbe scorrere i brividi la schiena ad una sinistra europea ormai omologata più sul politically correct che su una pedagogia della liberazione.
Questa omologazione eurocentrista è la stessa che da anni alimenta ostinatamente una leggenda metropolitana - riesumata anche di recente in una serie di lunghi saggi apparsi su Liberazione - si tratta della leggenda di un Che Guevara puro che rompe con un Fidel Castro avvitato sul caudillismo, di un “Che” rivoluzionario “senza se e senza ma” che si lascia alle spalle la deriva della Rivoluzione Cubana per andare ad animare il fuoco guerrigliero in Colombia. E’ lo stesso Che Guevara a rivelarci che la stessa operazione era stata tentata anni prima dalle potenze coloniali nei confronti degli “eccessi della Rivoluzione” e dello stesso Fidel Castro ritenuto dalle stesse “un patriota ingenuo che non era responsabile e che poteva essere salvato”.
La manipolazione della storia, dunque, si ripete.
L’aver ridotto il Che ad una icona adattabile al ribellismo giovanile ma in funzione anticomunista ed anticastrista, è una operazione piuttosto articolata che va dai pamphlet degli ex innamorati di Cuba alle bancarelle dei mercati. Depotenziare la Rivoluzione dai suoi protagonisti – soprattutto se ancora viventi, attivi ed indipendenti come Fidel Castro – è diventata una ossessione piuttosto diffusa sia negli establishment imperialisti che nella falsa coscienza della sinistra europea.
La coscienza a cui si richiama il Che è cosa radicalmente diversa da quest’ultima. E’ il motore che “deve dirigere le azioni dell’uomo verso un fine predeterminato, con una ideologia predeterminata, con una conoscenza predeterminata ed una fiducia predeterminata nell’aumento della produzione, per mettere a disposizione tutti i benefici di questi miglioramenti tecnologici che dobbiamo raggiungere”. Potrebbe sembrare il ragionamento di un apparatcik sovietico ed invece è il ragionamento avanzato dal Che agli studenti dell’Università de L’Avana nel 1962. Un ragionamento che – pedagogicamente – riprende l’invocazione di Gramsci a chi aveva accesso all’istruzione o voglia di emanciparsi “studiare, studiare perché questa è la funzione fondamentale del rivoluzionario nel ruolo di studente universitario”. Ma se qualcuno avesse intenzione di strumentalizzare il Che per legittimare “i secchioni” riceverebbe una delusione dal passaggio successivo che invita a "cercare risposte agli interrogativi di questo momento, a cambiare l’atteggiamento verso tutta una serie di problemi fondamentali che può avere il giovane studente", tra questi il Che include anche i pregiudizi intellettuali verso il lavoro manuale.
Nel 1964 il Che non esita ad esortare i giovani comunisti convocati in una assemblea al Ministero dell’Industria a vincere l’indifferenza del Ministero ed a combattere la mancanza di comunicazione. In questa esortazione c’è un segno della maturità dell’esperienza rivoluzionaria cubana. “Il Partito deve essere sempre all’opposizione, anche quando è al governo” sembra dirci il Che. Ma le stesse parole e lo stesso concetto, ce li ha espressi trenta anni dopo Josè Eloy Valdès, giovane guerrigliero sulla Sierra Maestra e per un periodo collaboratore del Che al Ministero dell’Industria, ambasciatore cubano in moltissimi paesi e per anni direttore del prestigioso Centro Studi Europei di Cuba.
Le generazioni si sono alternate a Cuba come in ogni altro paese, hanno condiviso momenti esaltanti e situazioni di enorme difficoltà (basta pensare al “Periodo Especial” nei primi anni Novanta), ma hanno potuto contare sulla continuità di un patrimonio storico,umano, politico e morale che è comune a tutta la nazione e alla Rivoluzione.
Ancora oggi molti si domandano: come sarà il dopo Fidel? Le nuove generazioni politiche cubane, reggeranno o verranno cooptate nel sistema di dominio mondiale dell’imperialismo oggi egemone?
La formazione che hanno ricevuto può anche aver manifestato qua e là delle derive burocratiche, ma il germoglio piantato dai Guevara, dai Fidel Castro o dai Camillo Cianfuegos ha prodotto alberi forti dentro quella società, anche perché nel patio trasero degli Stati Uniti hanno innescato nel popolo quel senso di autostima che ne ha liberato la coscienza dalla subalternità morale, una condizione questa che rende gli uomini liberi per sempre.
Sergio Cararo
(prefazione al libro "Il Che e i giovani", edito dalla Città del Sole, 2005)
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Breve meditazione su un
ritratto del Che Guevara
12 ottobre (PL) - Non importa che ritratto. Uno
qualunque: serio, sorridendo, arma in mano, con Fidel o senza Fidel, dicendo un
discorso nelle Nazioni Unite, o morto, col torso nudo ed occhi socchiusi, come
se dell'altro lato della vita volesse ancora accompagnare l’orma del mondo che
ha dovuto lasciare, come se non si rassegnasse ad ignorare per sempre le strade
delle infinite creature che stavano per nascere.
Su ognuna di queste immagini si potrebbe riflettere profusamente, in un modo
lirico o in un modo drammatico, con l'obiettività prosaica dello storiografo o
semplicemente come chi si dispone a parlare dell'amico che scopre di avere perso
perché non l'arrivò a conoscere...
Il Portogallo infelice ed imbavagliato di Salazar e di Caetano arrivò un giorno
il ritratto clandestino di Ernesto Che Guevara, il più celebre di tutti, quello
fatto con macchie forti di nero e rosso che si convertì nell'immagine universale
dei sogni rivoluzionari del mondo, promessa di vittorie a tale punto fertili che
non dovrebbero degenerare mai in routine né in scetticismi, prima darebbero
luogo ad altri molti trionfi, quello del bene sul male, quello del giusto
sull’iniquo, quello della libertà sulla necessità.
Incorniciato o fisso alla parete con mezzi precari, questo ritratto è stato
presente in dibattiti politici appassionati nella terra portoghese, esaltò
argomenti, attenuò scoraggiamenti, cullò speranze.
Fu visto come un Cristo che sarebbe disceso dalla croce per salvare l'umanità
dall’ingiustizia, come un essere dotato di poteri assoluti che fosse capace di
estrarre acqua da una pietra con la quale si potrebbe ammazzare tutta la sete, e
di trasformare quella stessa acqua nel vino con che si potrebbe bere lo
splendore della vita. E tutto questo era certo perché il ritratto di Che Guevara
fu, agli occhi di milioni di persone, il ritratto della dignità suprema
dell'essere umano.
Ma fu anche usato come decorazione incongruente in molte case della piccola e
della media borghesia intellettuale portoghese per i cui integranti le ideologie
politiche di affermazione socialista non passavano di un mero capriccio
congiunturale, forma suppostamente rischiosa di occupare ozi mentali, frivolezza
mondana che non poté resistere al primo scontro della realtà, quando i fatti
vennero ad esigere il compimento delle parole.
Allora, il ritratto del Che Guevara, attestazione, in primo luogo, di tanti
infiammati annunci di compromesso e di azione futura, giudice, ora, della paura
coperta, della rinuncia vigliacca o del tradimento aperto, fu ritirato dalle
pareti, nascosto, in fondo ad un armadio, o radicalmente distrutto, come si
volesse fare con qualcosa che fosse stato motivo di vergogna.
Una delle lezioni politiche più istruttive, nei tempi di oggi, sarebbe sapere
quello che pensano di se stessi quelle migliaia e migliaia di uomini e donne che
ebbero qualche giorno il ritratto di Che Guevara sulla testata del letto in
tutto il mondo, o di fronte al tavolo di lavoro, o nella sala dove ricevevano
gli amici, e che ora sorridono per avere creduto o finto di credere.
Alcuni direbbero che la vita cambiò, che Che Guevara, perdendo la sua guerra, ci
fece perdere la nostra, e pertanto era inutile mettersi a piangere, come un
bambino al quale si è rovesciato il latte.
Altri confesserebbero che si lasciarono avvolgere per una moda del tempo, la
stessa che fece crescere barbe ed allungare le chiome, come se la rivoluzione
fosse una questione di parrucchieri. I più onesti riconoscerebbero che il cuore
duole loro, che sentono nel movimento perpetuo di un rimorso, come se la loro
vera vita avesse sospeso il suo corso ed ora domandasse loro, ossessivamente,
dove pensano di andare senza ideali né speranze, senza un'idea di futuro che dia
qualche senso al presente.
Che Guevara, se tale si può dire, esisteva già prima di essere nato, Che Guevara,
se tale può affermarsi, continua esistendo dopo essere morto. Perché Che Guevara
è solo l'altro nome di quello che è di più giusto e degno nello spirito umano.
Quello che tante volte vive assopito dentro noi. Quello che dobbiamo svegliare
per conoscere e conosciamo, per aggregare il passo umile di ognuno al cammino di
tutti.
Josè Saramago-preso da Koeyu Latinoamericano
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COMMEMORAZIONE
38° anniversario del Che di Jacopo Venier
di Jacopo Venier
Roma 10 ottobre 2005 tratto da www.comunisti-italiani.it
Il trentottesimo anniversario dell’assassinio
del Che in Bolivia sta passando in assoluto silenzio. Il mondo politico, e
purtroppo anche parti consistenti della sinistra, ha dimenticato questa data
ma, soprattutto, il suo significato profondo e la necessità di non di
cristallizzarla in una icona, se pur importantissima, ma di renderla sempre
più attuale. Una ricorrenza, cioè, che parli alle giovani generazioni e alla
lotta dei popoli che ancor oggi si battono per la loro autodeterminazione.
Guevara non fu solo un rivoluzionario a Cuba, ma fu un rivoluzionario di tutta
l’America Latina.
Un uomo che guardava al mondo per cercare di renderlo migliore, più giusto e solidale; un rivoluzionario che credeva nei popoli e nella loro azione emancipatrice e progressista. Purtroppo oggi un pessimo revisionismo è passato anche nelle fila di parte della sinistra italiana ed europea, che non perde occasione per lanciare invettive e critiche non costruttive contro Cuba, un po’ come se tutti i mali del mondo dipendessero da ciò che avviene in quella piccola isola dei Caraibi. E’ necessaria, allora, non una semplice, se pur importante, rievocazione, ma uno stimolo per proseguire nella solidarietà politica e ideale con la Rivoluzione cubana. Una rivoluzione ancor oggi sotto l’attacco potente e minaccioso della potenza imperialistica statunitense, che non perde occasione per attaccare e rendere sempre più pesante, iniquo e duro il più longevo embargo della storia del mondo. Si attacca ancor oggi la figura del Che perché è un esempio che dà fastidio, perché parla ancora parla a milioni di latinoamericani e non solo. Ma si attacca Che Guevara per attaccare Cuba, una piccola isola che si è conquistata l’indipendenza e la possibilità di scrivere la propria storia e quella del proprio popolo grazie alla rivoluzione guidata da Che Guevara, Fidel Castro, Camilo Cienfuegos e da tutto il popolo cubano. Ed ancor oggi gli Stati Uniti non perdonano a Cuba e alla sua Rivoluzione di continuare il proprio cammino di civiltà, democrazia, giustizia sociale e indipendenza e di rendere chiaro ai popoli della terra che il capitalismo e il neoliberismo non sono l’ultimo approdo della storia e che un mondo più giusto, equo e solidale è possibile. Ricordiamo allora Ernesto Che Guevara, il suo esempio, la sua coerenza rivoluzionaria, e continuiamo a sostenere Cuba perché mai come oggi Cuba è nel mirino degli USA, e anche l’aggressione militare sta diventando una opzione possibile per abbattere il legittimo governo cubano. Per queste e per molte altre ragioni, come Comunisti Italiani stiamo con Cuba, con il suo popolo e con il suo legittimo governo guidato dal Comandante Fidel Castro, e la nostra solidarietà e il nostro sostegno al popolo cubano e alla sua Rivoluzione è “senza se e senza ma”.
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Tratto da www.siporcuba.it - 8 ottobre 2005
Sono passati anni che paiono essere epoche luce da quel triste giorno, dove in Bolivia, terminò la storia del guerrillero heroico e si aprì l'icona del mito di Ernesto Che Guevara.
In questi giorni da allora, chi più e chi meno, commemora la figura di questa storica persona così rara ad essere minimamente emulata nella vita nonché nella storia.
Siporcuba non vuole allinearsi al coro di tutti coloro che storicamente ne
esaltano la figura e le gesta, ricordandosi di Guevara solo in occasione della
ricorrenza della data della sua morte.
Reputiamo corretto pensare che gli insegnamenti dati in vita da Ernesto, siano ben altro che la celebrazione della personalità di un individuo e che, se leggiamo correttamente le sue parole, l'uomo nuovo debba essere al centro di una nuova era che vede abbattute le differenze di classe, le ingiustizie, i soprusi, la mancanza di rispetto per la persona, ma non l'esaltazione dell'individuo preso come soggetto univoco e, per questo motivo, esaltato come se fosse in realtà il centro di ogni interesse.
Per questo, Ernesto Che Guevara deve essere ricordato -oltre per la sua storia di combattente e rivoluzionario tanto amato- in ogni nostro singolo gesto ed in ogni singolo attimo della nostra esistenza e non solo per l'ovvio interesse dato il giorno della sua scomparsa in terra boliviana.
Leggiamo con attonito stupore quanto avviene in questi momenti così difficili per la realtà sociale del mondo degli oppressi, di lotte intestine per il diritto a professarsi 'unici eredi di verità guevariane' in Italia: un gioco al massacro classico della sinistra nostrana.
Le posizioni sono note, avendole lette su quotidiani importanti e su siti web e,
al di là dei personaggi che hanno animato questa diatriba, ci dispiace
constatare ancora una volta che Guevara non ha proprio avuto alcun significato
per molta gente che si arroga diritti acquisiti in un modo o nell'altro, per
rivendicare di essere gli unici possessori delle verità guevariane.
In questa melma che è peggiore della giungla boliviana, vorremmo tanto che qualcuno si ricordasse il perchè Guevara è stato Guevara e di come lo sia diventato. Desidereremmo che molti prendessero spunto da gossip sinistrorsi classici luoghi comuni già abbondantemente visti e collaudati, per rendersi conto di quanto poco sia stato assimilato il suo messaggio e di come si siano stravolte molte posizioni.
Il nostro Che è prima di tutto un insegnamento di vita e di lotta, un faro dal quale partire seguendo una strada che con il romanticismo ha poco a che vedere. La lotta è coerenza, sacrificio, rinuncia ai compromessi che troviamo sul cammino, è disperazione, è tristezza e sconforto; ma è anche speranza di un mondo migliore che probabilmente non vedremo mai ma che ci infonde il coraggio di vivere cercando di essere giusti a partire da noi stessi prima di giudicare gli altri.
Ci vuole coraggio ad essere guevariani, al di là di ogni altra considerazione più puntuale e politica della sua persona.
Noi ci stiamo provando da tempo senza sapere di riuscirci e senza la presunzione di essere già giunti al capolinea. Perchè non ci provate anche voi?
ERNESTO CHE GUEVARA
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Pensare al Che
Il 14 giugno è il compleanno del Comandante Ernesto Che Guevara che avrebbe compiuto 77anni. Ricordiamolo con la sua famosa e commovente lettera di saluto a Fidel:
LA LETTERA DI COMMIATO DEL CHE A FIDEL CASTRO
Anno dell’agricoltura - L’Avana
"Fidel:
mi ricordo in queste ore di molte cose di quando ti ho conosciuto a casa di Maria Antonia, di quando mi hai proposto di venire a Cuba con tutta la tensione dei preparativi.
Un giorno ci chiesero di indicare chi dovevano avvisare nel caso della nostra morte e la possibilità reale del fatto ci colpì tutti; poi sapemmo che era vero che in una rivoluzione o si trionfa o si muore (se è vera). Molti compagni caddero lungo il cammino verso la vittoria.
Oggi tutto ha un tono meno drammatico, perchè siamo più maturi, ma il fatto si ripete. Sento che la parte del mio dovere che mi legava alla Rivoluzione cubana si è compiuta nel suo territorio e ti saluto, con i miei compagni e il tuo popolo che è già anche il mio. Do le dimissioni formali per i miei incarichi nella Direzione del Partito, dal posto di ministro, rinuncio al mio grado di comandante e alle mie condizioni di cubano. Non sono cose legali quelle che mi legano a Cuba, ma sono vincoli di altro genere che non si potranno mai rompere, come le nomine.
Facendo un bilancio della mia vita trascorsa credo di aver lavorato con sufficiente onorabilità e dedizione per il consolidamento del Trionfo della Rivoluzione. La mia unica mancanza, abbastanza grave, è stata di non aver avuto più fiducia in te sin dai primi momenti della Sierra Maestra e non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di guida e di rivoluzionario. Ho vissuto giorni meravigliosi al tuo fianco ed ho sentito l’orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi.
Poche volte uno statista ha saputo brillare più di te come in quei giorni e sono molto orgoglioso di averti seguito senza esitazioni, identificato al tuo modo di pensare e di vedere, di apprezzare i pericoli e i principi.
Altre terre del mondo reclamano il concorso dei miei modesti sforzi. Io posso fare quello che a te è negato dalle responsabilità che hai per guidare Cuba ed è giunta l’ora della separazione.
Sappi che lo faccio con un miscuglio di allegria e di dolore; qui lascio la parte più pura delle mie speranze di costruttore e quello che amo di più tra tutto quello che amo e lascio un popolo che mi ha accolto come un figlio e questo lacera una parte del mio spirito. Nei nuovi campi di battaglia io porterò con me la fede che tu mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo e la certezza di compiere il più sacro dei doveri: la lotta contro l’imperialismo, dovunque sia e questo conforta e cura qualsiasi lacerazione.
Ti dico ancora che libero Cuba da qualsiasi responsabilità meno quella che proviene dal suo esempio: se giungerà per me l’ora definitiva sotto un altro cielo, il mio ultimo pensiero sarà per questo popolo e soprattutto per te. E ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e il tuo esempio al quale cercherò di essere fedele sino alle ultime conseguenze delle mie azioni. Sono stato identificato sempre con la politica estera della nostra Rivoluzione e continuerò ad esserlo. Dovunque mi fermerò sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e come tale mi comporterò.
Il fatto di non lasciare ai miei figli e a mia moglie nulla di materiale non mi preoccupa: mi rallegra che sia così. Io non chiedo niente per loro perchè so che lo Stato darà loro tutto il necessario per vivere per educarsi.
Avrei tante cose da dire a te e al nostro popolo, ma sento che non sono necessarie le parole che non possono esprimere quello che vorrei e non vale la pena di sporcare dei fogli di carta.
Hasta la victoria siempre! Patria o muerte!
Ti abbraccio con tutto il fervore rivoluzionario
Che
(traduzione di Gioia Minuti)