08/03/2005


E' IN AMERICA LATINA,  L’AVANGUARDIA

 

PROGRESSISTA POLITICA E SOCIALE



          di Marzio Castagnedi

Cuba e L’Avana sono come una specie di grande balcone e uno straordinario osservatorio informativo aperto sul Caribe e sull’America latina. Il continente in cui, pur tra gravi problemi irrisolti e ingiustizie con grandi disparità sociali, stanno prendendo corpo oggi nuove realtà che ne fanno lo scenario politico-sociale più dinamico ed evolutivo in senso progressista e quindi più interessante nel mondo. Stampa, radio e tv cubane, riguardo oltre 30 nazioni con più di mezzo miliardo di abitanti, offrono una quantità notevole di informazioni e approfondimenti.

 

Il tg cubano della sera del primo marzo, per esempio, dedicava i primi 20 minuti all’insediamento del nuovo presidente dell’Uruguay Tabaré Vasquez e, nel tardo pomeriggio, all’avvenimento era dedicata la quotidiana “mesa redonda”di un’ora e mezza filata. Questa ampia e approfondita informazione é esattamente il contrario di quanto succede sui media in italiani nei quali avvenimenti latinoamericani, come l’elezione del nuovo presidente uruguayano, appaiono in minimi comunicati forse con una piccola foto e 10 righe. Solo i quotidiani “Liberazione” e “Il Manifesto” hanno corrispondenti fissi (in Venezuela) mentre tutti gli altri maggiori giornali “coprono” gli avvenimenti dell’intera America latina con il corrispondente ben rinserrato nel suo ufficio di Washington o New York e eventuali inviati rarissimi e rapidissimi. Certo, si dirà che il Sudamerica é troppo lontano e che il piccolo Uruguay coi suoi 3 milioni e mezzo di abitanti e un presidente sconosciuto son davvero poca cosa di scarso interesse. Non é così, e lo si può dimostrare. Perché questo avvenimento é solo il più recente di una serie di importanti cambiamenti politici in corso nel continente, ed ha contorni specifici straordinari  non solo simbolici.

 

Per esempio, l’ Uruguay ha oggi un governo di sinistra e un presidente socialista per la prima volta in 150 anni di storia repubblicana da  sempre dominata dalla destra. Che il “Frente Amplio” di Tavaré Vasquez abbia finalmente battuto il predominio monopolistico dei partiti di destra “Blanco” e “Colorado”, é un fatto storico. Il capovolgimento sembra molto notevole se si considera che il nuovo presidente del Senato e ministro dell’Agricoltura José Mujica, é un settantenne con in corpo i segni dei proiettili che lo colpirono 35 anni fa anni quando militava tra i guerriglieri “Tupamaros” che si opponevano alla dittatura militare uruguayana (nel 1972 il noto regista Costa Gavras fece un film, “L’Amerikano”, sul rapimento da parte dei Tupamaros uruguayani dell’ istruttore di torture e agente della CIA Don Mitrione). Significativo anche primo atto del presidente Tabaré Vasquez, cioé quello di ristabilire le relazioni diplomatiche tra Uruguay e Cuba tagliate dal precedente governo, e fondamentale é stato l’incontro a Montevideo con i presidenti Kirchner, Lula Da Silva e Chavez (assente Castro per i postumi della frattura al ginocchio) coi quali sono stati firmati vari accordi economici, politici e culturali che legano oggi anche il piccolo Uruguay a Paesi di ben altra dimensione come Argentina, Brasile, Venezuela. Si tratta di un “nuovo asse”, del bene, a favore di popolazioni che per molti anni hanno assaggiato sulla loro pelle le ricette economiche imperanti della globalizzazione neoliberista selvaggia. Tabaré Vasquez ha ereditato un Uruguay in pesante crisi con una disoccupazione vicina al 30 per cento, zone di alta mortalità infantile, un terzo della popolazione sotto la soglia di povertà e con una disperata emigrazione di giovani laureati.

 

Il fatto é che l’economia di mercato selvaggia ha fallito e ha mandato in povertà anche  strati di quella che una volta era chiamata la benestante classe media. E' qui la chiave del grande cambio. E' avvenuto in Argentina (portata al collasso e al violento tracollo  del 2001 da una serie di governi irresponsabili e delinquenziali come quello micidiale di Carlos Menem), che ora con la presidenza di Nestor Kirchner ha cambiato strada.

 

E' avvenuto in Venezuela dove Hugo Chavez, all’estero sottovalutato e irriso, sta distribuendo finalmente vaste risorse di un Paese ricco di petrolio alla  maggioranza povera della popolazione con massicci e incisivi programmi sociali di alimentazione, sanità, alfabetizzazione, diffusione della cultura, appoggiati sulla esperienza sociale cubana che fornisce diverse migliaia di medici, infermieri, insegnanti impegnati nelle varie missioni “Robinson” e “Barrio adentro”.

 

Il Venezuela non é più quello vecchio dove ristrette oligarchie borghesi hanno depredato per decenni grandi risorse.

Il Venezuela di Chavez é popolare e democratico, dato che il presidente dal 1999 ha vinto largamente sei regolari elezioni e due referendum ed é riuscito a sventare il “golpe” dell’aprile 2002 e la pesantissima serrata di 60 giorni della Pedevesa, l’industria petrolifera statale, che due anni fa era ancora sotto lo stretto controllo di poteri confindustriali. Per questo Chavez é oggi al “centro del mirino” degli USA - e non solo metaforicamente - sentite certe dichiarazioni dei velleitari aspiranti proconsoli statunitensi come Roger Noriega e Otto Reich.

E' dunque il nuovo corso di molte nazioni latinoamericane la vera grande novità politico-sociale progressista di questi ultimi anni. Gli USA masticano amaro, fanno la faccia feroce e hanno inviato una flotta navale a ronzare vicino alle coste venezuelane, ma sono impantanati agli antipodi mediorientali dove di petrolio ce n’é molto più che in Venezuela e dove vorrebbero stringere un cerchio attorno a Russia e Cina.

 

L’Europa occidentale, gelida e in chiusura  a riccio verso altri mondi diversi, sembra più che altro impegnata a erigere barriere difensive dei propri declinanti privilegi o a immettere nella UE nuovi Paesi periferici e sostanzialmente vassalli commercial-militari. Sembra che ad accorgersi del Latinoamerica sia solo la Spagna di Zapatero e probabilmente il Portogallo dell’altro neoeletto presidente  socialista Socrates.

 

L’informazione giornalistica di Eurolandia sul continente latinoamericano é occasionale, superficiale, insufficiente. Quella italiana é addirittura penosa. Su Hugo Chavez e la rivoluzione democratica in corso in Venezuela, l’opinione pubblica italiana riceve un’informazione quasi insignificante ma gia preconcetta. Fino al referendum di metà agosto 2004 (stravinto da Chavez al 65 per cento) grandi giornali italiani hanno scritto pochissimo o niente, e poi magari hanno inviato qualche brillante firma ma a intervistare esponenti della comunità italiana sui loro trascorsi di fortune e sfortune, storie famigliari e private. Sulla verità e realtàdel presidente Chavez e della  Repubblica Bolivariana del Venezuela, l’informazione italiana é decisamente latitante. Una delle migliori tra le radio private del Nord Italia, l’estate scorsa ha fatto finalmente una prima interessante ma forse pò timida trasmissione sul Venezuela, e dalle telefonate degli ascoltatori emergeva chiaramente che la loro conoscenza del tema era scarsissima e grandemente confusa. (Spero si perdonerà a questo cronista di insistere un pò sull’argomento perché tentativi di informare, gia qualche anno fa, erano stati fatti dai pochi che avevano avuto l’opportunità di  ascoltare e vedere di persona Chavez sin dal novembre ‘99 -Vertice dei Paesi ibero-americani a Cuba- sia a una conferenza all’Università de L’Avana che all’inaugurazione di un monumento a Simon Bolivar fatta da Chavez con Fidel Castro e anche quando i due presidenti guidarono le rispettive squadre nazionali di base-ball veterane in una partita memorabile per allegria nello stadio latinoamericano del quartiere del Cerro nella capitale cubana).

 

Dunque s' informa molto poco o insufficientemente sull'America latina sulla stampa italiana. Anche perché ci sono famosi quotidiani ad alta tiratura che dedicano ampi spazi attardandosi ancora a pubblicare, almeno una volta al mese, articoli sulla antica URSS, l’Armata Rossa e il truce Stalin, sepolto 50 anni fa! Cosa si propongano così facendo non é tanto incomprensibile (é un pò di decrepita propaganda vecchio stile), quanto inconcepibile in un giornalismo che si dice moderno. Intanto stanno accadendo altre nuove cose oggi nel continente Latinoamericano.

 

La Bolivia é di nuovo in fibrillazione dopo che nell’ottobre 2004 ( oltre 90 furono i morti nelle strade) dovette andarsene il presidente Gonzalo De Losada che alzava i prezzi interni di petrolio e gas ma li teneva molto bassi per le multinazionali USA. Proprio adesso, lunedì 7 febbraio, si é dimesso il successore Carlos Mesa da sempre in difficoltà in uno dei Paesi più poveri del continente dove é forte la pressione per un cambiamento specie da parte della comunità contadina e operaia di etnia india e origine andina guidata dal leader sindacale Evo Morales del Movimento per il socialismo (anche lui ovviamente nel mirino USA), il quale ha dichiarato che quello di Mesa sembra un classico “autogolpe” per differire la crisi.

 

In evidente difficoltà in un teso Perù appare anche il presidente Alejandro Toledo ai minimi storici di popolarità afflitto da un clima di rilevante corruzione e crisi economica, e similare é la situazione di Lucio Gutierrez in Ecuador da cui sono fuggite negli ultimi tempi oltre 600mila persone, il venti per cento della popolazione. Se nei prossimi mesi, alle elezioni politiche, si troveranno ad affrontare un candidato di sinistra appena decente, anche questi presidenti potrebbero uscire dalla porta di servizio.

 

Stabile e in positiva fase economica é il Cile presieduto dal socialista moderato Ricardo Lagos che comunque segue la linea di cooperazione con Argentina e Brasile, il colosso sudamericano da 175 milioni di abitanti e praticamente decima economia mondiale.

 

Luis Ignacio Lula Da Silva, il metalmeccanico originario della poverissima regione di Pernambuco del nord-est brasiliano finalmente giunto alla presidenza due anni e mezzo fa dopo precedenti tentativi, guida ( pur tra critiche da sinistra) un Brasile che tira sul piano economico tra non semplici equilibri e che segue con convinzione la nuova strategia indicata da Chavez di una molto più forte integrazione economica e alleanza politica dei paesi latinoamericani.

 

Meno ALCA (Accordo di libero commercio) con gli USA, più ALBA (Alternativa Bolivariana per le Americhe) col Venezuela e più MERCOSUR, il mercato comune sudamericano. Non é un caso che in maggio a Caracas nascerà “TeleSur”, la nuova catena televisiva pubblica internazionale latinoamericana. Piuttosto, Lula, ha problemi interni di violenza e criminalità quasi insolubili nel suo enorme Paese. L’uccisione recente della suora ecologista Dorothy Stang che si opponeva ai mercanti di legname, ha fatto esplodere le polemiche in un Brasile in cui persistono “fazenderos” e “ terratenientes” molto potenti che hanno milizie private che  ammazzano non solo gli ecologisti ma anche gli agenti e gli ispettori federali inviati dal governo centrale. Il governo brasiliano sta comprando armi. Non per armare lo Stato. Compra pistole, pagandole fino a 38 dollari, e fucili, fino a 86, dagli stessi cittadini per abbassare il troppo elevato tasso di violenza.

 

L'estrema violenza é ancor più il grande problema della Colombia presieduta da Alvaro Uribe. Basti pensare che negli ultimi anni hanno abbandonato le campagne rifugiandosi nelle bidonvPlan Colombia = banditismo politicoille metropolitane 3 milioni di contadini stretti tra esercito e guerriglia ma specialmente terrorizzati dalle mortali incursioni delle bande di paramilitari d’estrema destra. La Colombia rimane una polveriera nella zona anche perché un certo “Plan Colombia”, maneggiato dai servizi statunitensi é la progettata testa di ponte della presenza militare USA nel continente.

 

In Centro America un’altra novità sembra profilarsi in un Nicaragua afflitto dalla povertà con una possibile riscossa elettorale del Fronte Sandinista presieduto da quel Daniel Ortega che governò negli anni Ottanta prima di essere travolto dalla guerra dei 25mila mercenari “contras”  pagati e armati dagli USA.

 

In altre piccoli Paesi come Honduras, Guatemala, Salvador le emergenze sono sempre denutrizione, scarse sanità e scolarità e alta la violenza sociale. Esempi. In dicembre in Honduras un assalto a un pullman ha visto l’uccisione di 28 viaggiatori su 55 e in Salvador si calcolano in oltre 150mila gli affiliati alle centinaia di bande criminali attive in sequestri, assalti, traffico di droga (impressionante un servizio trasmesso da “Cnn en espanol”).

 

Anche in Messico, con quasi cento milioni di abitanti e sessanta in povertà, c’é stagnazione economica e dilagano crimini orrendi. In certe città di frontiera con gli Stati Uniti, come Ciudad Juarez e Tijuana, ogni anno vengono trovate uccise oltre 400 giovani donne (rapimenti, droga, video porno-sadico-mortali), “danni collaterali” della fiumana di disperati che risalgono il Messico dal sud verso la frontiera USA dove reticolati, muri metallici, fiumi e deserti provocano ogni anno circa mille morti tra gli immigranti illegali e clandestini. (Certi giornali italiani dovrebbero inviare i loro brillanti giornalisti investigativi in posti come Ciudad Juarez o Tijuana a fare inchieste sulle stragi delle centinaia di giovani messicane. Invece preferiscono spedire inviati a Miami per intervistare, a pagina intera, una ragazza cubana scappata dall’Avana perché“si annoiava molto nel suo quartiere e la molestava la propaganda governativa”!)  

 

Nei Caraibi, infine, ancora disordini con vittime ad Haiti, il più misero Paese dell’emisfero Occidentale. Si chiede il ritorno del legittimo presidente Aristid, rifugiato forzosamente in Sud Africa, dopo essere stato deposto un anno e mezzo fa da un oscuro e sanguinoso “golpe” orchestrato dai servizi USA.

 

In Repubblica Dominicana, una delle perle turistiche tropicali, non mancano i pericoli. Nel febbraio 2004 due giornate di sciopero generale si conclusero con 15 manifestanti uccisi dalla polizia, e non sono pochi i dominicani poverissimi che continuano a fuggire dalla loro “libera economia di mercato”. Voci segnalano che non navighino più verso la Florida che li respinge, ma che cerchino di arrivare molto più lontano fino alle coste messicane.

 

Infine Cuba, che naturalmente ha i problemi economici endemici dell’area (“siamo una piccola isola del povero Terzo mondo”, ripetono spesso i cubani), a cui si devono sommare i seri danni derivanti dall’ultraquarantennale Cuba va...e non inquinablocco economico USA , il più lungo della storia. Ma, nonostante provocazioni e minacce dell’”imperio del Norte”, Cuba ha il suo equilibrio, un  Prodotto interno comunque  in crescita da nove anni e il suo modello sociale, sia pur tra difficoltà e carenze, funziona. Altrimenti come potrebbero i cubani avere la più alta aspettativa di vita, 77 anni, e la più bassa mortalità infantile, 6 per mille, dell’intera America latina? (Dati migliori addirittura di quelli USA). Il turismo é cresciuto nel 2004 dell’otto per cento ed é possibile un avvicinamento ai 2 milioni e mezzo di presenze straniere, il che significherebbe una crescita del 500 per cento dal 1990, un dato unico al mondo.

Solo i canadesi, primi visitatori storici a Cuba, sono quasi un milione l’anno. (Ma come fanno i soliti giornali italiani a pubblicare invenzioni del tipo “a Cuba imperano il terrore e la fame”? Ma non capiscono che se fosse così davvero, centinaia di migliaia di visitatori non potrebbero girare tranquillamente l’isola in lungo e in largo  non solo a bordo di auto a noleggio, ma anche  in mezzo alla popolazione locale su aerei di linea, treni, autobus interprovinciali?).

 

Per trovare un'informazione corretta sulla maggior isola delle Antille, bisogna ricorrere a una rivista specializzata in turismo come “Gente viaggi” di dicembre, dove l’inviato e fotografo dimostrava l’esistenza, tra le foreste della Sierra Maestra, delle piccole scuole dei villaggi di montagna nelle quali i soli cinque o sei scolari hanno il loro maestro e dispongono anche di tv, videoregistratore e computer alimentati da pannelli solari!

 

Cuba mantiene ottime relazioni con gli altri Paesi caraibici come Dominicana, Haiti, Giamaica, Trinidad, Grenada e Grenadinas dove invia, come in molti altre nazioni, i propri medici a prestare  opera sanitaria  in Paesi altrimenti molto sguarniti nel settore salute. Cuba é, inoltre, una grande capitale della cultura con avvenimenti e appuntamenti continui di alto livello nei settori delle arti e delle scienze o manifestazioni come la” Feria del Libro”, per un mese lungo tutta l’isola con tre milioni e mezzo di pubblico e quattro milioni di libri venduti. Infine, Cuba é grande alleata dell’asse Venezuela-Brasile-Uruguay-Argentina (più i prossimi e futuri aderenti) per la rivoluzione politica e sociale pacifica in divenire e per una nuova unità, indipendenza e solidarietà tra i popoli latinoamericani. é un antico sogno che ha più di cento anni, da Bolivar a Marti’ fino al Che Guevara.  Dal Rio Grande, sul confine messicano, fino a quelle isole il cui nome é Malvinas (e non Falkland) e che sono argentine e sudamericanissime vicine a Capo Horn e invece molto lontane, 18mila chilometri, dalla padrona-militare Inghilterra che le possiede in virtù delle cannoniere del 1840 e delle portaerei del 1982.

 

Nel dicembre scorso a L’Avana con Fidel Castro, Hugo Chavez ricordava il suo primo viaggio a Cuba del 1994 quando era appena uscito dalla carceri venezuelane e Cuba era sola, isolata e sul bordo del baratro. Oggi, Cuba e Venezuela con gli altri alleati del continente stanno cercando di costruire una nuova America Latina  più giusta per grandi masse di popolazioni da sempre sfruttate e immerse nella povertà.

 

L’Europa dovrebbe guardare meglio e di più “dall’altro lato dell’Oceano”, ma non solo verso la solita sponda dell’Atlantico del nord in direzione dello strapotente e aggressivo impero USA.

 

L’Europa dovrebbe guardare meglio e di più verso il movimento travagliato ma in trasformazione positiva e progressista del continente America Latina, oggi il più interessante sulla scena mondiale in senso politico e sociale.