L’ALBA al galoppo
ORLANDO ORAMAS LEÓN (speciale per GI) 8/3/2005
Se il progetto statunitense di un blocco commerciale funzionale ai suoi interessi in America Latina sta ristagnando, la sua controparte sta apportando nuove ragioni per dimostrare di essere all’offensiva, anche se sta conseguendo appena adesso le sue prime vittorie.
L’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), non solo non ha rispettato il suo calendario, ma sta cercando delle varianti “light” ed abbandonando lo schema emisferico per riposizionarsi su quello bilaterale.
E’ passato senza conseguenze il gennaio 2005, che doveva vedere la firma dell’ALCA da parte dei 34 paesi dell’emisfero (eccetto Cuba) e la sua entrata in funzione come blocco. Adesso Washington sta evitando la contrapposizione frontale ed applica la parola d’ordine del “divide et impera”, firmando accordi separati.
Frattanto, si stanno rafforzando e profilando in Sudamerica altri meccanismi autoctoni che si allontanano dagli obiettivi di dominazione prevalenti nel piano nordamericano.
Il Mercato Comune del Sud (MERCOSUR) e la Comunità Andina delle Nazioni sono avanzate negli ultimi mesi ed hanno compiuto fermi passi verso l’integrazione reciproca.
Questa comunità promette anche di superare le sue frontiere e pertanto l’integrazione latinoamericana e caraibica appare anche come una meta che adesso si sta profilando come più vicina.
Ma non bisogna dimenticare che tra i governi impegnati in questi sforzi ce ne sono alcuni che si mantengono in sintonia con gli Stati Uniti, favorendo anche la variante dell’ALCA.
A questi sarebbero da aggiungere vari esecutivi di paesi dell’America Centrale, soprattutto quelli che, a dispetto delle proteste e dell’opposizione delle organizzazioni sindacali, sociali e delle forze politiche, hanno sottoscritto il Trattato di Libero Commercio tra USA e Centroamerica.
Questo significa che le finalità neocolonialiste dell’ALCA continuano a rimanere in piedi ed hanno sotto di sè terreno per avanzare, nonostante le importanti e recenti sconfitte nel loro “average”.
Il compito è pertanto di prim’ordine e di grande attualità. Ma a questi livelli dello scontro è sceso in campo un contendente che si sta rafforzando a vista d’occhio, la rivoluzione bolivariana del Venezuela che sta correndo al galoppo e che sta già lasciando forti impronte nel continente.
Quattro anni fa sembrava un’utopia, in mezzo al marasma, la proposta del presidente Hugo Chávez ai governi dell’Associazione degli Stati Caraibici (AEC la sigla in spagnolo) di un’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), come sottolineava allora il leader venezuelano.
In quel periodo l’accordo dei Capi di Stato e di Governo dell’AEC si lasciava trascinare dal torrente proveniente da Washington con l’ondata dell’ALCA, a dispetto dei risultati socialmente nefasti delle politiche economiche neoliberiste inerenti a questo piano.
Chávez spiegava che l’ALBA è fondata sulla formulazione di meccanismi per creare vantaggi cooperativi tra le nazioni, che permettano di compensare le asimmetrie esistenti nei paesi dell’emisfero.
Tra gli argomenti c’era quello di costruire consensi per ripensare gli accordi di integrazione allo scopo di conseguire uno sviluppo endogeno nazionale e regionale che sradichi la povertà, corregga le diseguaglianze sociali ed assicuri una crescente qualità di vita per i popoli.
A differenza dell’ALCA, l’ALBA mette l’accento sulla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale e pertanto esprime gli interessi dei popoli latinoamericani. Questo accordo non è soltanto commerciale, ma va alle origini della vera integrazione latinoamericana.
Da allora molte cose sono avvenute nel continente, la maggior parte delle quali in una direzione favorevole alla proposta venezuelana, per quanto con il tentativo di colpo di stato dell’aprile 2002 e poi con il blocco petrolifero, si sia tentato di distruggere la rivoluzione bolivariana.
Il recupero e lo slancio in avanti di questo processo hanno fatto dell’ALBA più di una proposta, trasformandola in una realtà gradualmente in divenire, con azioni concrete che la inverano.
Il dicembre del 2004 ha costituito un mese decisivo, anche se per arrivare fin lì sono stati necessari passi fondamentali. A L’Avana i presidenti di Cuba e Venezuela hanno firmato un accordo di integrazione che assume i principi dell’ALBA e che è risultato essere un punto di riferimento continentale.
Basti un esempio: il Venezuela tiene conto delle asimmetrie con Cuba e, in particolare, la sua condizione di paese sottoposto dalla maggior potenza del pianeta ad un blocco che dura da più di quattro decenni.
Vengono facilitati gli investimenti nell’uno o nell’altro paese, per esempio in campo culturale, della ricerca scientifica e della difesa ambientale. Si tratta insomma di molto di più che un accordo commerciale.
Le due parti collaborano alla formazione di risorse umane, nonché in materia sanitaria ed educativa, che propongono di estendere congiuntamente ad altri paesi latinoamericani e caraibici.
Tuttavia l’ALCA non è un qualcosa che riguardi o apporti benefici soltanto ai cubani ed ai venezuelani. Chávez si è recato in Argentina e la sua visita ha dato come risultato la partecipazione del suo paese alla riattivazione dell’economia della grande nazione sudamericana.
‘Petrosur’ è una componente dell’ALBA che acquisisce forza vitale con la partecipazione di Brasile, Venezuela, Argentina, alla quale vanno aggiunti gli accordi energetici firmati da Caracas con altri paesi latinoamericani e caraibici. La stessa cosa avviene con ‘Telesur’, un’alternativa all’attuale monopolio dell’informazione.
Il presidente venezuelano e quello brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva convergono nella loro opposizione all’ALCA, ma i loro paesi sono anche due pilastri dell’integrazione latinoamericana. Gli accordi firmati da entrambi stanno lì a dimostrare quanto possano fare i paesi della regione se si liberano della loro dipendenza da Washington.
Già adesso l’ALBA è più che un sogno del Venezuela e contribuiscono a concretizzarla anche gli storici avvenimenti dei quali Montevideo è stata lo scenario e che collocano l’Uruguay di Tabaré Vázquez e del suo governo sulla via che indicarono i grandi padri dell’indipendenza latinoamericana.
“Il Venezuela ha comprato 500 milioni del debito argentino”. La frase vale un titolo di prima pagina e lo è stata, ma è anche un segno dei tempi. Non lo hanno comprato coloro che s'impadronirono del debito di Buenos Aires assieme alla gang venduta di Menem, portandosi via gran parte del patrimonio nazionale.
Coloro i quali saccheggiarono a piene mani, causando la bancarotta sociale argentina, adesso si sono dovuti accontentare della ferma posizione del governo di Néstor Kirchner.
Questa è l’ALBA, che trascende
qualsiasi documento teorico, ma si fonda concretamente sugli albori di
cambiamento che sta vivendo l’America Latina, cioè il territorio dove il
neoliberismo ha ripartito più iniquamente la ricchezza, ragione in più per
sradicarlo e soppiantarlo per mezzo dell’ALCA.