Discorso del Presidente Hugo Chávez Frías

 

Nueva York, giovedì, 15 settembre 2005

 

Eccellenze, amiche e amici, buon pomeriggio:


Il proposito originale di questa riunione è stato completamente sviato. Ci hanno imposto come centralità del dibattito un male chiamato processo per le riforme che relega in secondo piano ciò che è più urgente, ciò che i popoli del mondo reclamano con urgenza, come l’adottare misure per fronteggiare i veri problemi che ostacolano e impediscono gli sforzi dei nostri paesi per lo sviluppo e la vita.

Cinque anni dopo il Summit del Millennio, la cruda realtà è che la gran parte delle mete designate, nonostante fossero già di per sé modestissime, non saranno raggiunte.

Pretendevamo di ridurre alla metà 842 milioni di affamati entro il 2015. Al ritmo attuale la meta si raggiungerebbe nel 2215, vedremo chi di noi sarà lì per celebrarla, posto che la specie umana riesca a sopravvivere alla distruzione che minaccia il nostro ambiente.

Avevamo proclamato l’aspirazione di raggiungere per il 2015 la meta della scuola dell’obbligo universale. Al ritmo attuale la meta si raggiungerà dopo il 2100, prepariamoci dunque a celebrarla.

Questo, amiche e amici del mondo, ci conduce irreversibilmente a un’amara conclusione: le Nazioni Unite hanno esaurito il loro modello, e non si tratta semplicemente di procedere a una riforma, il XXI secolo reclama cambiamenti profondi che sono possibili solo con una rifondazione di questa organizzazione. Quella attuale non ci serve, bisogna dirlo, è la pura verità.

Per le trasformazioni, alle quali dal Venezuela ci riferiamo, il mondo scandisce, dal nostro punto di vista, due tempi. L’immediato, quello del qui e subito; e quello dei sogni, dell’utopia. Il primo è segnato dagli accordi presi dal vecchio schema, non lo rifiutiamo, e estraiamo persino proposte concrete all’interno di questo modello a breve scadenza. Tuttavia il sogno di quella pace mondiale, il sogno di un “noi” che non ci faccia vergognare per la fame, la malattia, l’analfabetismo, la necessità estrema, necessita -oltre che di radici- di ali per volare. Sappiamo che vi è una globalizzazione neoliberista distruttiva, ma vi è anche un mondo interconnesso che dobbiamo affrontare non come un problema ma come una sfida, possiamo, sulla base delle realtà nazionali, intercambiare conoscenza, complementarci, integrare mercati, ma al tempo stesso dobbiamo intendere che vi sono problemi che ormai non hanno più soluzione nazionale, né una nube radioattiva, né i costi mondiali, né un’epidemia, né il riscaldamento del pianeta o il buco dell’ozono sono problemi nazionali. Mentre progrediamo verso un nuovo modello delle Nazioni Unite che faccia suo e vero questo “noi” dei popoli, vi sono quattro riforme urgenti e irrinunciabili che estrapoliamo da questa Assemblea. La prima è l’espansione del Consiglio di Sicurezza tanto nelle sue categorie permanenti come nelle non permanenti, permettendo l’entrata a nuovi paesi sviluppati e a paesi in via di sviluppo come nuovi membri permanenti. La seconda, è il necessario miglioramento dei metodi di lavoro per aumentare la trasparenza e non per ridurla, per aumentare l’inclusione. La terza, consiste nella soppressione immediata -lo diciamo da anni dal Venezuela- del veto nelle decisioni del Consiglio di Sicurezza, questa vestigia elitaria è incompatibile con la democrazia, incompatibile anche solo con l’idea di uguaglianza e di democrazia.

In quarto luogo il rafforzamento del ruolo del Segretario Generale, le sue funzioni politiche nell’ambito della democrazia preventiva, deve essere consolidato. La gravità dei problemi chiama a trasformazioni profonde, le mere riforme non bastano per recuperare il “noi” che aspettano i popoli del mondo, al di là delle riforme reclamiamo dal Venezuela la rifondazione delle Nazioni Unite, e come ben sappiamo in Venezuela, grazie alle parole di Simón Rodríguez, il Robinson di Caracas: “O inventiamo o sbagliamo”.


Nella riunione del passato gennaio di quest’anno 2005 al Social Forum Mondiale di Porto Alegre, diverse personalità hanno chiesto che la sede delle Nazioni Unite uscisse dagli Stati Uniti se continuano le violazioni della legalità internazionale da parte di questo paese. Oggi sappiamo che non sono mai esistite armi di distruzione di massa in Iraq, il popolo statunitense è sempre stato molto rigoroso nell’esigere la verità ai propri governanti, i popoli del mondo anche: non ci sono mai state armi di distruzione di massa e malgrado ciò, e al di sopra delle Nazioni Unite, l’Iraq è stato bombardato, occupato e continua ad esserlo. Perciò proponiamo a questa Assemblea che le Nazioni Unite escano da un paese che non rispetta le risoluzioni di questa Assemblea. Altre personalità, allo scorso Social Forum, hanno proposto come alternativa una Gerusalemme trasformata in città internazionale. E’ una proposta che racchiude la generosità di proporre una risposta al conflitto che vive la Palestina, ma forse ha spigolosità che rendono difficile portarla a compimento. Per questo portiamo qui un’altra proposta, ancorata nella “Lettera di Giamaica”, che scrisse Simón Bolívar, il grande Liberatore del Sud, in Giamaica, nel 1815, 190 anni or sono. Lì, Bolívar propose la creazione di una città internazionale che servisse come sede all’idea dell’unità che pianificava. Bolívar era un sognatore che sognò ciò che oggi è la nostra realtà.


Crediamo che sia tempo di creare una città internazionale aliena alla sovranità di qualsivoglia Stato, con propria forza morale per rappresentare le Nazioni del mondo, ma questa città internazionale deve riequilibrare cinque secoli di disequilibrio. La nuova sede delle Nazioni Unite dovrà essere al Sud. “Anche il Sud esiste!” ha detto Mario Benedetti. Questa città che può essere già esistente, o possiamo inventarla, potrebbe trovarsi laddove sono collocate varie frontiere o in un territorio che simbolizzi il mondo, il nostro Continente è a disposizione per offrire il suolo sul quale edificare l’equilibrio dell’universo del quale parlò Bolívar en 1825.


Signore, signori, affrontiamo oggi una crisi energetica senza precedenti, in un mondo nel quale si combinano pericolosamente un inarrestabile incremento del consumo energetico, l’incapacità di aumentare l’offerta di idrocarburi e la prospettiva di un declino delle riserve provate di combustibili fossili. Inizia a scarseggiare il petrolio.


Nel 2020 la domanda diaria di petrolio sarà di 120 milioni di barili il che significa, anche senza tenere conto della futura crescita della domanda, che si consumerà in 20 anni una quantità simile a tutto il petrolio che l’umanità ha consumato fino ad ora, ciò significherà inevitabilmente un aumento delle emissioni di di ossido di carbonio che, come si sa, incrementa ogni giorno la temperatura nel nostro pianeta.

Katrina è stato un doloroso esempio delle conseguenze che può provocare l’uomo ignorando queste realtà. Il riscaldamento degli oceani è, a sua volta, il fattore fondamentale che sta dietro il terribile incremento nella forza degli uragani che abbiamo visto negli ultimi anni. Cogliamo l’occasione per trasmettere ancora una volta il nostro dolore al popolo degli Stati Uniti, che è un popolo fratello ai popoli dell’America e ai popoli del mondo.


In pratica, è eticamente inammissibile sacrificare la specie umana invocando in modo demenziale la vigenza di un modello socioeconomico con una galoppante capacità distruttiva. E’ suicida insistere nel disseminarlo e imporlo come rimedio infallibile per i mali di cui esso è, precisamente, la principale causa.


Poco tempo fa il signor Presidente degli Stati Uniti nel corso di una riunione dell’Organizzazione degli Stati Americani, ha proposto all’America Latina e ai Caraibi di incrementare le politiche di mercato, l’apertura al mercato, vale a dire, il neoliberismo, quando questo è precisamente la causa fondamentale dei grandi mali e delle grandi tragedie che vivono i nostri popoli: il capitalismo neoliberista, il Consenso di Washington che lo ha generato è il maggior responsabile di miseria, diseguaglianza e tragedia infinita dei popoli di questi continenti.

Ora più che mai abbiamo bisogno, signor Presidente, un nuovo ordine internazionale. Ricordiamo che all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, celebrata nel 1974, alcuni di quelli che sono qui non erano ancora nati o erano molto giovani.

Nel 1974, 31 anni fa, si adottò la dichiarazione e il programma di azione del nuovo Ordine Economico Internazionale, insieme al piano di azione l’Assemblea Generale adottò, il 14 dicembre di quel medesimo 1974, la Carta dei Diritti e dei Doveri Economici degli Stati che rese concreto il Nuovo Ordine Economico Internazionale. Esso fu approvato con la schiacciante maggioranza di 120 voti a favore, 6 contro e 10 astensioni. Ciò accadde quando ancora si votava alle Nazioni Unite. Ora qui non si vota più, ora qui si approvano i documenti come questo documento che denuncio a nome del Venezuela, nullo e illegale, perché viola la normativa delle nazioni Unite, questo non è un documento valido! Bisogna discutere questo documento, il Governo del Venezuela lo farà conoscere al mondo, ma nel frattempo noi non possiamo accettare la dittatura aperta e schiacciante delle Nazioni Unite, queste cose sono fatte per essere discusse e a questo proposito mi appello molto rispettosamente ai miei colleghi Capi di Stato e Capi di Governo.


Questo documento, scritto solo in inglese, è stato consegnato cinque minuti fa ai delegati e si è approvato con un martellamento dittatoriale, che denuncio dinnanzi al mondo come illegale, nullo e illegittimo.

Ascolti una cosa, signor Presidente, se noi accettiamo questo documento, siamo spacciati, abbiamo spento la luce e chiuso le finestre! Se accettiamo la dittatura di questa sala, è la fine.

Ora più che mai -dicevamo- abbiamo bisogno di ritessere cose che abbiamo smarrito nel cammino, come la proposta approvata in questa Assemblea nel 1974 di un Nuovo Ordine Economico Internazionale. Ricordiamo che l’Articolo 2 del testo di quella Carta, conferma il diritto degli Stati di nazionalizzare le proprietà e le risorse naturali che si trovano in mano ad investitori stranieri, proponendo al tempo stesso la creazione di cartelli di produttori di materie prime. Nella Risoluzione 3.201 del maggio del 1974, è espressa la determinazione ad agire con urgenza per stabilire un Nuovo Ordine Economico Internazionale basato - ascoltatemi bene, vi prego- “nell’equità sovrana, l’interdipendenza, nell’interesse comune e la cooperazione fra gli Stati qualsiasi siano i loro sistemi economici e sociali, che correggano le diseguaglianze e riparino le ingiustizie fra i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo, e assicurino alle generazioni presenti e future, che la pace, la giustizia e lo sviluppo economico e sociale si acceleri a ritmo sostenuto”, chiudo le virgolette, stavo leggendo parte di quella Risoluzione storica del 1974.

L’obbiettivo del Nuovo Ordine Economico Internazionale era modificare il vecchio ordine concepito a Breton Woods.

Credo che il Presidente degli Stati Uniti abbia parlato quasi 20 minuti ieri, qui, così mi hanno detto, io chiedo il permesso, Eccellenza, di terminare il mio discorso.


L’obbiettivo del Nuovo Ordine Economico Internazionale era modificare il vecchio ordine economico concepito a Breton Woods nel 1944, e che aveva vigenza fino al 1971, con il crollo del sistema monetario internazionale: solo buone intenzioni, nessuna volontà per progredire in questa strada, e noi crediamo che questa fosse e continui ad essere la strada.

Oggi i popoli reclamano, in questo caso il popolo del Venezuela, un nuovo ordine economico internazionale, ma risulta anche imprescindibile un nuovo ordine politico internazionale, non permettiamo che un pugno di paesi tenti di reinterpretare impunemente i principi del Diritto Internazionale per dare copertura a dottrine come la “Guerra Preventiva” adesso ci minacciano con la guerra preventiva! e la ora chiamata “Responsabilità di Proteggere”, ma dobbiamo chiederci chi ci proteggerà e come ci proteggerà.


Io credo che uno dei popoli che richiede protezione sia il popolo degli Stati Uniti, lo abbiamo ora visto dolorosamente con la tragedia del Katrina: non ha un governo che lo protegga dai disastri annunciati della natura, se quello di cui stiamo parlando è di proteggerci l’uno con l’altro; questi sono concetti molto pericolosi che va delineando l’imperialismo, esso va delineando l’interventismo e cerca di legalizzare la mancanza di rispetto e di sovranità. Il pieno rispetto dei principi del Diritto Internazionale e alla Carta delle Nazioni debbono costituire, signor Presidente, la pietra miliare delle relazioni internazionali nel mondo di oggi, e la base del nuovo ordine che propugnano.

Permettetemi una volta ancora, in conclusione, di citare Simón Bolívar, il nostro Liberatore, quando parla dell’integrazione del mondo, del Parlamento Mondiale, del Congresso di Parlamenti, è necessario riprendere molte proposte come quella bolivariana. Diceva Bolívar in Jamaica, nel 1815 - l’ho già citato- leggo una frase della Carta di Giamaica. “Che bello sarebbe sarebbe se l’istmo di Panama fosse per noi ciò che è quello di Corinto per i greci, magari un giorno avessimo la fortuna di istallare lì un congresso dei rappresentanti delle repubbliche, dei regni, per trattare e discute degli alti interessi della pace e della guerra, con le nazioni delle altre parti del mondo. Questa specie di corporazione potrà avere luogo in qualche epoca della nostra rigenerazione”. Certamente, urge affrontare in modo efficace il terrorismo internazionale, ma non usandolo come pretesto per scatenare aggressioni militari ingiustificate che violano il Diritto Internazionale e sono diventate dottrina dopo l’11 settembre. Solo una vera strategia di cooperazione, e la fine della doppia morale che alcuni paesi del Nord applicano al tema del terrorismo, potranno porre termine a questo orribile flagello.


Signor Presidente:


In appena 7 anni di Rivoluzione Bolivariana, il popolo venezuelano può esibire importanti conquiste sociali ed economiche.

Un milione e 406 mila venezuelani hanno imparato a leggere e scrivere in un anno e mezzo, noi siamo circa 25 milioni e, fra qualche settimana, il paese potrà dichiararsi libero dall’analfabetismo, e tre milioni di venezuelani prima esclusi a causa della povertà, sono stati inseriti nell’educazione primaria, secondaria e universitaria.

Diciassette milioni di venezuelani e venezuelane -quasi il 70% della popolazione- ricevono, per la prima volta nella nostra storia, assistenza medica gratuita, comprese le medicine e, in pochi anni, tutti i venezuelani avranno accesso gratuito all’attenzione medica per eccellenza.
Si somministrano oggi più di 1 milione e 700 mila tonnellate di alimenti a prezzi modici a 12 milioni di persone, quasi la metà dei venezuelani, un milione dei quali li ricevano gratuitamente, in forma transitoria. Queste misure hanno generato un alto livello di sicurezza alimentare nei più necessitati.

Signor Presidente, si sono creati 700 mila posti di lavoro, riducendo la disoccupazione di 9 punti percentuali, tutto ciò nel mezzo delle aggressioni interne ed esterne, che includono un golpe militare preparato a Washington, e un golpe petrolifero preparato anch’esso a Washington, malgrado le cospirazioni, le calunnie del potere mediatico, e la permanente minaccia dell’impero e dei suoi alleati, che stimola perfino il magnicidio (assassinato di un capo di governo NdT). L’unico paese dove una persona si può permettere il lusso di chiedere il magnicidio di un Capo di Stato sono gli Stati Uniti, come è accaduto poco tempo fa con un reverendo chiamato Pat Robertson molto amico della Casa Bianca: ha chiesto pubblicamente davanti al mondo la mia uccisione e gira a piede libero, questo è un delitto internazionale, è terrorismo internazionale!


Ebbene, noi lotteremo per il Venezuela, per l’integrazione latinoamericana e per il mondo.


Riaffermiamo qui, in questa sala, la nostra infinita fiducia nell’uomo, oggi assetato di pace e giustizia al fine di riuscire a sopravvivere come specie. Simón Bolívar, padre della nostra Patria e guida della nostra Rivoluzione, giurò di non dare riposo alle sue braccia, né dare riposo alla sua anima, fino a vedere l’America libera. Noi non daremo riposo alle nostre braccia, né riposo alla nostra anima fino a quando non sarà salva l’umanità.


Signori, molte grazie.



Traduzione perlumanita.it di Marina Minicuci

 

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DISCORSO PRONUNCIATO DAL ECC.MO SIG. RICARDO ALARCÓN DE QUESADA, PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DEL POTERE POPOLARE DELLA REPUBBLICA DI CUBA DURANTE LA RIUNIONE PLENARIA AD ALTO LIVELLO DEL 60º PERIODO DI SESSIONI DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU.

 

New York, 16 settembre 2005

 

 

Signor Presidente,

 

Siamo stati convocati per esaminare “i progressi conseguiti nell’adempimento degli obblighi contratti nella Dichiarazione del Millennio” e di quelli “derivati dalle più importanti conferenze e riunioni delle Nazioni Unite”, ma quest’intenzione è stata completamente ridimensionata.

 

Sono otto gli obiettivi e diciotto le mete, modesti a dire il vero, che si dovrebbero maggiormente compiere nel 2015. Ridurre alla metá la povertà estrema e la fame, assicurare l’istruzione elementare universale, promuovere la parità tra i sessi e il dominio della donna, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere il VIH/AIDS ed altre malattie trasmissibili, assicurare la sostenibilità ambientale e sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo.

 

Si è fatto pochissimo per raggiungerli. Anzi, nell’ambito di molti di essi vi è un palese arretramento.

 

Proprio su ciò avremmo dovuto discutere qui ed ora per intraprendere azioni energiche ed urgenti che permettano di avanzare. Questo era l’obbligo di questa Riunione.

 

Siamo però di fronte ad una frode imperdonabile. Lo scopo di questa riunione è stato sequestrato in mezzo a tortuose manipolazioni. Coloro che s’immaginano padroni del pianeta, non vogliono nemmeno ricordare quelle promesse, proclamate con ipocrita millanteria.

 

Peggio ancora. Cercano di imporre una presunta riforma dell’ONU all’unico scopo di dominare totalmente l’Organizzazione e trasformarla in uno strumento della loro dittatura globale.

 

Vogliono fare della guerra e dell’egemonismo una regola che il mondo intero dovrebbe accettare senza ribellarsi. Nel frattempo, con l’aiuto di docili corifei, ignorano la Carta, vogliono ridurre la Segreteria a strumento servile, insultano l’Assemblea ed il mondo che essa, e soltanto essa, rappresenta.

 

In nome di cosa? Di un potere la cui ignoranza impedisce di vederne i limiti? Di una falsa opposizione al terrorismo per massacrare popolazioni intere e portare alla morte migliaia di giovani statunitensi? Di una politica che contemporaneamente protegge cinicamente un terrorista convinto, reo confesso, come Luis Posada Carriles e mantiene in prigione, violando la propria legge, Cinque innocenti che castiga perché, loro sì, hanno saputo combattere il terrorismo?

 

L’ambizione, l’egoismo, l’irrazionalità ci porteranno all’ecatombe dalla quale non si salveranno nemmeno coloro che si rifiutano di accettare un mondo differente, frutto della solidarietà e della giustizia.

 

Un mondo senza fame né povertà, che dia a tutti salute, educazione e dignità; un mondo libero dall’oppressione e dalla discriminazione, senza guerre né blocchi assassini, dove scompaia lo sfruttamento dei più deboli.

 

Sebbene i potenti fingano di non crederlo, i popoli poveri hanno il diritto allo sviluppo e continueranno a lottare per esso.

 

Continueranno a cercarlo oltre queste pareti, fuori da questa sala. Malgrado il blocco, l’aggressione e le minacce, si alza l’Alternativa Bolivariana per le Americhe, frutto della storica leadership e della generosità del Presidente Hugo Chávez Frías, il cui discorso ha fatto sentire ieri in questa sede la voce dei popoli con la loro denuncia che appoggiamo pienamente.L’Alternativa Bolivariana per le Americhe è un esempio di solidarietà che riporta a molti la speranza, costruisce la vera integrazione e lo sviluppo e annuncia un altro mondo migliore che sapremo conquistare. L’ALBA avanza dal Sud.

 

Grazie.

 

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"Noi, i popoli, vinceremo!"


Discorso del compagno Felipe Pérez Roque, ministro degli Esteri della Repubblica di Cuba, nel dibattito generale del 60º periodo ordinario di sessioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

New York, 19 settembre del 2005

 

Signor Presidente:

 

in realtà non abbiamo nemmeno un motivo per celebrare i 60 anni delle Nazioni Unite. Il mondo caotico, disuguale e insicuro nel quale viviamo non è precisamente un omaggio per coloro che si riunirono il 24 giugno del 1945 a San Francisco per fondare l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

 

Da quando si è concluso il Summit del Millennio nel 2000 e sino ad oggi sono morti per malattie facilmente curabili nel nostro mondo più bambini di tutte le vittime della seconda guerra mondiale!

 

L’aggressione contro l’Iraq è stata sferrata non solo contro l’opinione di tutta la comunità internazionale e questo è accaduto due anni e mezzo dopo la proclamazione, nel Summit del Millennio, che sostiene"Siamo decisi a stabilire una pace giusta e duratura nel mondo, in accodo con i propositi e i principi della Carta!"

 

L’Assemblea Generale non si è nemmeno riunita per discuterlo. Il Consiglio di Sicurezza è stato ignorato ed ha subito l’umiliazione d’accettare docilmente una guerra di rapina alla quale la maggioranza dei suoi membri era assolutamente contraria...

 

Esiste una chiara spiegazione per questo stato di cose: l’ordine previsto nella Carta obbediva a un mondo bipolare e una bilanciamento di forze che oggi non esistono.

 

"Noi, i popoli", come dice la Carta soffriamo per un mondo unipolare nel quale la sola super potenza impone i suoi capricci e i suoi egoistici interessi alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale e pretendere che la ONU funzioni in accordo con i principi e i propositi sanciti nella Carta è solo una chimera. Non è possibile e non lo sarà sino a che noi, i paesi del Terzo Mondo, la maggioranza, non ci uniremo e lotteremo uniti per i nostri diritti.

 

Se il governo degli Stati Uniti rispettasse la Risoluzione 1373 approvata il 28 settembre del 2001 dal Consiglio di Sicurezza e negli incontri internazionali in materia di terrorismo, darebbe l’estradizione al terrorista Luis Posada Carriles in Venezuela e libererebbe i Cinque giovani cubani che hanno combattuto il terrorismo e che sono detenuti crudelmente e ingiustamente da più di sette anni.

 

Se il governo degli USA permettesse alla ONU di attuare secondo la Carta, il popolo iracheno non avrebbe subito l’invasione per rubare il suo petrolio, il popolo palestinese potrebbe esercitare la sua sovranità e Cuba non soffrirebbe più il blocco. Non ci sarebbero più mille milioni d’analfabeti o 900 milioni di affamati nel mondo.

 

Questo spiega il fallimento del Summit della scorsa settimana, che è stato convocato per valutare il compimento dei modesti impegni assunti come Mete di Sviluppo del Millennio ed è terminato come un deludente incontro, invece di essere un dibattito serio e impegnato sui gravi problemi che oggi l’umanità soffre: è stata una farsa completa!

 

Gli interessi egoistici ed egemonici degli Stati Uniti sono il contrario delle aspirazioni d’un mondo più giusto e migliore per tutti.

 

Le scandalose espressioni e i ricatti sul paesi membri, dopo che l’ambasciatore degli Stati Uniti ha imposto brutalmente la sua volontà ed ha cercato anche d’imporre 750 emendamenti, passeranno alla storia come la prova a più esplicita che si deve costruire un nuovo mondo con una nuova ONU, con il rispetto e il riconoscimento del diritto, della pace, la sovranità e lo sviluppo per tutti, senza guerre genocidi, blocchi o ingiustizie.

 

I negoziati finali dai quali sono stati esclusi quasi tutti i membri delle Nazioni Unite e il documento finale approvato nel quale si omettono temi vitali per i nostri popoli, sono un vivo testimonio di quanto stiamo sostenendo.

 

Intanto, sino a quando questo mondo migliore e queste nuove Nazioni Unite saranno possibili, "Noi, i popoli", continueremo a lottare e conquisteremo con la nostra resistenza i diritti che adesso non sono rispettati.

 

I poderosi parlano solo d’interventi e guerre preventive, d’imporre condizioni leonine, delle forme più efficaci per controllare le Nazioni Unite, pretendendo di legittimare concetti come la detta "responsabilità di proteggere", che potrebbe essere usata un giorno per giustificare le aggressioni contro i nostri paesi. Diciamolo a chiare lettere: oggi non esiste il diritto alla pace per le piccole nazioni!

 

Noi cubani lo comprendiamo bene e contiamo sulla solidarietà dei popoli, con i nostri petti uniti e i nostri fucili che non sono mai stati usati se non per difendere cause giuste... e i nostri fratelli africani lo sanno molto bene.

 

Non siamo pessimisti. Siamo rivoluzionari e non ci arrendiamo, non siamo certo rassegnati e lo diciamo oggi, più sicuri che mai: "Noi, i popoli, vinceremo!"

 

Molte grazie.

 

 

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Cuba sostiene pienamente e senza

 

riserve le parole del presidente Chávez


• La spiegazione del voto della delegazione cubana offerta dal ministro degli esteri, Felipe Pérez Roque, a proposito del documento A/60/L1 che contiene il testo finale approvato nella Riunione d’Alto Livello del 60º periodo di sessioni dell’Assemblea Generale della ONU

 

Signor presidente,

 

Questo vertice ha appena approvato il documento A/60/L1 che contiene il documento finale di questa riunione d’alto livello.

 

Come Lei sa, nella sessione di chiusura del 59º periodo delle sessioni, Cuba, su questo documento aveva formulato riserve e osservazioni che oggi desidera reiterare.

 

Alle volgari irregolarità del processo dei negoziati nella loro sequenza di imposizioni, segreti, esclusioni e discriminazioni, si uniscono le gravi omissioni di questo documento.

 

Non si è voluto nemmeno includere il riferimento al disarmo nucleare e al disarmo generale, come alta aspirazione della maggior parte della comunità internazionale durante gli ultimi quattro decenni.

 

Non è stata accettata l’inclusione di misure concrete per cercare di compiere le mete di sviluppo del millennio, che, nonostante la loro insufficienza di fronte ai gravi problemi che i paesi del Terzo Mondo devono affrontare, sono molto lontane dalla loro realizzazione per le date accordate cinque anni fa.

 

I riferimenti allo sviluppo, al commercio, al medio ambiente e ad altri temi di fondamentale interesse per la maggioranza dei membri di questa organizzazione hanno sofferto un posso indietro imperdonabile.

 

In cambio gli Stati Uniti e i loro alleati più vicini, senza considerare nemmeno che la presentazione all’ora decisiva di 750 emendamenti metteva in crisi il vertice, hanno insistito sino allo spasimo nella creazione di fondi, consigli e controlli d’ogni genere invece di rafforzare il ruolo dell’organizzazione, diluendola e distorcendola, ponendo in una situazione precaria l’unità indispensabile che è necessaria per salvare migliaia di migliaia di vite umane che oggi soffrono miseria fame e mancanza di salubrità.

 

Questa è stata la riunione dell’egoismo, della prepotenza e delle menzogne, la riunione nella quale si pretende di presentare come una conquista l’incremento dell’assistenza ufficiale per lo sviluppo, utilizzando il condono di alcune voci del debito estero che in ogni modo i paesi debitori non avrebbero mai potuto pagare...

 

Dove si trovano in questo documento gli impegni concreti di lavoro per formare un nuovo ordine internazionale più giusto ed equo? Al contrario abbiamo ascoltato interventi, in questa sala, minacciosi ed aggressivi ed altri che raggiungevano gli insulti.

 

La mia delegazione non crede che ci si debba congratulare per i risultati di questa riunione e molto meno per il contenuto del suo documento finale.

 

Il presidente del Venezuela Hugo Chávez è stato estremamente chiaro nell’esporre i seri problemi che questa organizzazione, creata per salvaguardare e promuovere la pace, la dignità, la giustizia e lo sviluppo nel mondo intero ha ed avrà per compiere i propositi della sua Carta, mentre i poderosi continuano ad impedire che coloro che la Carta definisce come "noi, i popoli" cooperino al destino delle Nazioni Unite.

 

Cuba sostiene pienamente e senza riserve le parole del presidente Chávez. Adesso noi affrontiamo una nuova tappa nella quale dobbiamo giungere a concretare quel si è detto oggi. E sarà decisiva. Nei nuovi processi negoziatori che si avvicinano non si potranno ripetere le manipolazioni dei giorni scorsi e questi processi dovranno essere davvero aperti, democratici, partecipativi e senza imposizioni.

 

Sappiamo che ci sono delegazioni che stanno già lavorando perché non sia così!

 

La delegazione cubana, Signor Presidente, spera che Lei divenga garante di giustizia e d’equità.

 

Molte grazie.

 

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Intervención de Felipe Pérez Roque, Ministro de Relaciones Exteriores de la República de Cuba en la Mesa Redonda de la Reunión de Alto Nivel de la Asamblea General de la ONU celebrada del 14 al 16 de septiembre de 2005.

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Nueva York, 14 de septiembre de 2005

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Señor Presidente:

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Permítame ante todo explicarle a usted y a los distinguidos participantes que esta intervención debía haberla realizado el Excmo. Sr. Ricardo Alarcón de Quesada, Presidente de la Asamblea Nacional del Poder Popular de la República de Cuba. Sin embargo, el visado del Jefe de la Delegación Cubana para viajar a Nueva York, que el gobierno de los Estados Unidos ya le había negado para participar en la Conferencia de Unión Interparlamentaria que tuvo lugar hace pocos días, en esta ocasión le fue demorado, por lo que no pudo participar ni en la sesión inaugural de esta mañana, ni intervenir en esta Mesa Redonda.

Desearía referirme a cinco elementos que, a juicio de Cuba, tipifican el proceso de negociaciones que se realizó para llegar al proyecto de documento final de esta Reunión y al documento mismo.

Primero: El método empleado para las negociaciones sienta un precedente muy negativo para los trabajos de esta organización. Se caracterizó por su falta de transparencia, por la manipulación de las propuestas y los resultados, por el secretismo, por el chantaje y por la creación de pequeños grupos negociadores que dejaron al margen a más de 150 países que conforman la mayoría de las Naciones Unidas. Asimismo, se dejó deliberadamente al margen de la negociación a delegaciones que mantuvieron un elevado nivel de actividad durante todo el proceso, con lo que se impidió que el documento que fuera aprobado reflejara, en su integralidad, los criterios necesariamente diversos de todas las delegaciones que integran esta organización.

Segundo: Esta reunión de alto nivel se ha apartado totalmente de los objetivos para lo que fuera convocada. Las resoluciones que le dieron origen dejaban claro que en ella debía examinarse, cinco años después, el cumplimiento de las metas acordadas en la Cumbre del Milenio y, muy particularmente, las metas de desarrollo.

Sin embargo, hemos visto como los temas que figuran en el documento final se apartan totalmente de tal objetivo. No existe un mínimo de compromiso para adoptar acciones prácticas que permitan cumplir las muy modestas metas del Milenio, especialmente en cuanto al financiamiento. Incluso, se ha distorsionado el tema relativo a la “condonación de la deuda externa”, pues se presenta como si los montos condonados fueran recursos nuevos aportados por la vía de la Asistencia Oficial al Desarrollo (AOD) cuando, en realidad, son deudas que nunca podrían ser pagadas.

El documento no contiene ni una palabra sobre el desarme nuclear ni sobre el desarme general y completo, que constituye una aspiración de larga data de esta organización, ni sobre las armas de exterminio en masa.

Estados Unidos se negó, incluso, a que siquiera se reiteraran los compromisos asumidos en las grandes conferencias de las Naciones Unidas que se han celebrado en este lustro, a pesar de la insistencia de la mayoría de las delegaciones, y sólo muy al final del proceso negociador aceptó que se incluyese una tibia mención a las metas del Milenio.

Tercero: Se ha retrocedido en el lenguaje acordado en eventos anteriores, hasta el punto de que no se hace mención siquiera de las medidas coercitivas unilaterales, cuyo rechazo forma parte de los documentos finales acordados por todas y cada una de ellas. Se utiliza un lenguaje diluido e impreciso.

Tampoco se crean mecanismos para controlar los compromisos financieros de los países donantes. Mientras, el mundo gasta un millón de millones de dólares en armamentos, más de la mitad por parte de el país anfitrión de esta conferencia, y se gasta otro millón de millones en publicidad. Por tanto, la cuestión no radica en que no haya recursos; sí los hay, pero lo que falta es voluntad política.

Cuarto: Nada se hace para denunciar lo que es una irrebatible realidad: el Sur financia al Norte. El Primer Ministro Patterson de Jamaica se refirió muy claramente a este aspecto en la mañana de hoy cuando recordó que en los últimos cinco años los 150 países subdesarrollados han realizado transferencias netas a los 40 países industrializados por 1,174 millones de millones de dólares, unos 230 mil millones de dólares por año, que le permiten a estos últimos seguir sus patrones de derroche, armamentismo y contaminación del planeta.

Quinto: Ahora, habrá que darle seguimiento a un grupo de temas de importancia, que ni las discusiones ni los acuerdos de esta reunión han llevado al límite.

Uno de ellos es la ampliación, la reforma y la democratización del Consejo de Seguridad; será imprescindible buscar medios de reinsertar al desarme, incluido el desarme nuclear, en las prioridades de esta organización; y habrá que definir qué será el Consejo de Derechos Humanos. Se pretende reducir su membresía, que sus miembros sean elegidos por las dos terceras partes de los integrantes de las Naciones Unidas, que para integrar dicho órgano un país tenga que cumplir requisitos ilegales como la certificación de que “tiene buen comportamiento en materia de derechos humanos” sin que se sepa quién ni cómo será calificado. Pero, con todo ello, no se abordan los verdaderos problemas que ha arrastrado al descrédito a la actual Comisión de Derechos Humanos, que no son más que la doble moral, la politización, la selectividad y la discriminación.

Habrá que alcanzar una verdadera definición del terrorismo, que reconozca la existencia del terrorismo de Estado y que diferencia con claridad al terrorismo de la legítima lucha de liberación de los pueblos contra la agresión o la ocupación extranjera.

Será necesario, además, aclarar conceptos tales como la llamada “responsabilidad de proteger” yla “seguridad humana”, que son vagos y peligrosos y podrían invocarse un día para justificar agresiones contra los países del Sur.

Estos son, Sr. Presidente, las opiniones que queríamos dejar sentadas en esta Mesa Redonda.

Muchas gracias.

 

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INTERVENCIÓN FORMULADA EN EXPLICACIÓN DE POSICIÓN POR ABELARDO MORENO, VICEMINISTRO DE RELACIONES EXTERIORES DE LA REPÚBLICA DE CUBA, SOBRE EL DOCUMENTO FINAL QUE SE PRESENTA PARA LA CONSIDERACIÓN DE LOS JEFES DE ESTADO Y GOBIERNO EN LA REUNIÓN DE ALTO NIVEL DE LA ASAMBLEA GENERAL DE LA ONU, DEL 14 AL 16 DE SEPTIEMBRE DE 2005

 

 

Señor Presidente:

Mi delegación se ha visto obligada a intervenir en esta fase final de nuestros debates para exponer algunos criterios sobre el ejercicio que ahora concluye y sobre las omisiones y distorsiones que permean el texto acordado en la tarde hoy.

Consideramos, en primer término, que el proceso negociador realizado ha estado plagado de irregularidades, de falta de transparencia, de secretividad, y de discriminación, y que en el mismo se han privilegiado las posicionesde algunos países y grupos de países poderosos, en detrimento de los intereses y prioridades de otros, los países pequeños y subdesarrollados, que constituyen la inmensa mayoría de esta Organización.

Ejemplo claro de tales irregularidades es la ausencia del texto ante nosotros del párrafo referido a medidas coercitivas unilaterales. Hemos constatado con indignación que dicho párrafo, a diferencia de otros, no figura en el documento final, a pesar de que retoma, palabra por palabra, el párrafo que sobre dicho tema se adoptó, por unanimidad, en la Cumbre de Johannesburgo y otros importantes foros de las Naciones Unidas, y de que usted, señor Presidente, había indicado, aparentemente sin ambages, que aquellos párrafos cuyo lenguaje había sido acordado en otros foros, serían automáticamente introducidos en el documento. No nos queda más opción que llegar a la conclusión de que dicha decisión fue tomada para responder a los intereses y presiones de la delegación de los Estados Unidos, la única que se había manifestado opuesta a su inclusión.

Debemos también reservar nuestra posición sobre determinados aspectos introducidos en el documento que, a juicio de mi delegación, no responden a las posiciones expresadas por la mayoría de los Estados miembros ni tampoco a los de mi país.

Reservamos nuestra posición sobre el párrafo 124 del documento final, sobre todo aquella parte que solicita la duplicación de los recursos asignados a la Oficina de la Alta Comisionada de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos. Nos llama mucho la atención la contradicción que la inclusión de este párrafo representa con los que se nos ha dicho una y otra vez en las negociaciones de los últimos días en el sentido de que no existen los recursos para reforzar programas de interés para los países subdesarrollados ni tampoco para que a las Naciones Unidas se le otorgue el financiamiento que requiere para tal fin. Vemos, por tanto, que el documento privilegia a un sector de trabajo de las organización por encima y en detrimento de los demás.

Reservamos nuestra posición sobre el párrafo 139 del documento final. Si hubiésemos querido colocarlo en plena consonancia con la Carta de las Naciones Unidas, hubiéramos circunscrito, por ejemplo, la aplicación del Capítulo VII de la Carta a aquellos casos de países en los cuales el Estado hubiera colapsado.

Reservamos nuestra posición con respecto al párrafo 159 del documento final referido al nuevo órgano de derechos humanos que se pretende adoptar. Los órganos de las Naciones Unidas en esta materia tienen la responsabilidad de abordar los casos de violaciones masivas y sistemáticas de los derechos humanos y no, como se dice en el texto, con toda simpleza, las “violaciones de derechos humanos”. Además, en el texto aprobado no se proponen medidas que garanticen, en modo alguno, que desaparezcan los dobles raseros, la injusticia y la selectividad que hoy caracterizan a los órganos de derechos humanos de la Organización. Por el contrario, con la formulación que se aprueba, corremos el riesgo de que dichos fenómenos se multipliquen.

Reservamos nuestra posición sobre el inciso (b) del párrafo 163, referido a la revisión de los mandatos de órganos de la organización. La forma en que figura hace que dicha revisión sea propensa a la manipulación política para provocar la desaparición de órganos que molestan a algunos. Este proceso tiene necesariamente que ser intergubernamental y acogerse plenamente a las reglas que existen para tales acciones.

Reservamos nuestra posición sobre el inciso (b) del párrafo 164. No favorecemos la evaluación externa de los mecanismos de auditoría y supervisión de las Naciones Unidas. Para Cuba, esta decisión pondría a la Organización, que por definición debe ser neutra e imparcial, a la merced de cuestionables intereses políticos.

Reservamos nuestra posición sobre la primera pleca de las sección referida a actividades operacionales. Mi país, que asigna gran importancia al trabajo de la oficina del coordinador residente para actividades operacionales del sistema de las Naciones Unidas, considera que la funciones de dicha oficina no deben ampliarse, y deben seguirse centrando en la coordinación de los proyectos y programas específicos que se ejecutan en el país. Asimismo, este párrafo no debe entrañar la pérdida de la identidad de las organizaciones del sistema que operan sobre el terreno en un país dado.

Además de todo lo anterior, consideramos sumamente nocivo que en este documento no se haya podido incluir una sección relativa al desarme, ni siquiera con el mismo lenguaje que sobre el tema se utilizó en la Cumbre del Milenio, hace cinco años. Ello puede crear un precedente muy negativo para los trabajos de la Organización.

Del mismo modo, es vergonzoso que en el documento que, según se propone, debe ser el resultado de una reunión de alto nivel dedicada a evaluar el cumplimiento de las muy modestas metas de desarrollo acordadas en la Cumbre del Milenio y de las grandes conferencias de las Naciones Unidas realizadas en este lustro, un

país haya logrado evitar que, al menos, se reafirman las conclusiones de dichas conferencias; como también es vergonzoso que sólo tengamos secciones referidas al desarrollo tan débiles que no reflejan los verdaderos intereses del Tercer Mundo. Incluso, prácticamente no se logró incluir una sección referida al comercio, lo que constituye un mensaje muy equívoco a la Reunión Ministerial de la Organización Mundial de Comercio que tendrá lugar en Hong Kong más avanzado al año.

Estas son, Sr. Presidente, las reservas y consideracionesfundamentales de la delegación cubana. Pero, no quisiera concluir sin denunciar en esta sala que el Jefe de la Delegación Cubana a la Reunión de Alto Nivel, el Excmo. Sr. Ricardo Alarcón de Quesada, Presidente de la Asamblea Nacional del Poder Popular de la República de Cuba, sólo ha recibido el visado para trasladarse a la ciudad de Nueva York a las 4:30 de la tarde de hoy, por lo que no podrá estar presente en la sesión inaugural del día de mañana.

El Jefe de la Delegación Cuba nos ha solicitado que le expliquemos con toda claridad las razones de su ausencia a esta reunión plenaria de la Asamblea General.

Muchas gracias

 

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