www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - poesia e letteratura - 17-10-05
da http://www.rebelion.org/noticia.php?id=21389
Harold Pinter, l'amico
di Cuba e del
Venezuela - Il Nobel rosso
Il
13 ottobre del 2005 è stato un giorno di festa per i “rossi” di tutto il
mondo, perché l’Accademia svedese ha concesso il premio Nobel per la
letteratura a Harold Pinter, uno degli scrittori “ rossi” più grandi degli
ultimi tempi; uno che non ha mai indugiato nel mettere la sua arte al servizio
del socialismo, che non si è confuso con la socialdemocrazia né con il degrado
conservatore uscito dalla guerra fredda.
I media, forse un poco sorpresi dalla notizia, hanno incominciato ad accusare
il carattere politicamente scorretto delle manifestazioni pubbliche di questo
poeta e drammaturgo inglese. In effetti, Pinter ha accusato Bush e Blair di
essere criminali di guerra in merito alla vicenda dell’Iraq, ma ha anche
denunciato il carattere imperialista della guerra del Kosovo, dopo averne
sbeffeggiato il carattere “umanitario” che era stato costruito su quell’aggressione.
Neanche Israele è sfuggita alla condanna di questo ebreo atipico, a causa
della politica genocida che quello stato pratica contro il popolo palestinese.
In un’epoca come quella che stiamo vivendo, che si caratterizza per la deriva
della massa degli intellettuali, attenti a mantenersi ben poco coerenti nei
confronti di qualunque politica, Harold Pinter è un soffio di aria fresca in
una torrida giornata estiva. La sua lingua e la sua penna sono come fruste,
che non si limitano a segnalare le ingiustizie - questo è facile, innocuo, e
non impegna -, ma arrivano fino ai colpevoli citandoli per nome e cognome,
senza tregua. E’ vero che l’arte o la parola non cambiano il mondo, ma aiutano
a modellare le coscienze, soprattutto se procedono da qualcuno prestigioso
come Pinter, che invece di vivere degli allori ottenuti - come fanno tanti
altri -, ha deciso di essere la voce che grida nel deserto.
Con la sua elezione, l’Accademia svedese ci ha dimostrato anche quest’anno
(dopo aver già premiato due scrittori rossi come Gabriel García Márquez e José
Saramago) che sa stare all’altezza dei tempi.
Ma c’è un altro aspetto della militanza di Harold Pinter che mi riempie di
orgoglio: la sua inossidabile amicizia verso la Rivoluzione cubana e la sua
difesa, senza riserve, di Hugo Chávez e della neonata Rivoluzione Bolivariana
del Venezuela.
Un lettore mi appena ha inviato un vecchio testo del drammaturgo inglese -
dico vecchio perché nell’era delle comunicazioni istantanee qualunque cosa la
si dimentica dopo qualche mese appena - che aveva pubblicato nel 1996, quando
il presidente Clinton aveva firmato la legge Helms/Burton contro Cuba.
Il testo non ha perso niente della sua attualità, mostra un Pinter in piena
forma dialettica e ho creduto necessario tradurlo affinché tutti gli
ispanofoni possano goderselo oggi. In un paio di occasioni la narrazione è
slegata ed utilizza un parlata popolare, quella della strada, che contrasta in
maniera deliziosa con la grazia e la forza con cui colpisce la retorica degli
Stati Uniti e spezza una lancia per la mia cara Rivoluzione cubana. La sua
difesa appassionata del socialismo, in una parte ricorda stranamente le parole
che scrisse il Che Guevara rispondendo per lettera ad una donna che gli aveva
scritto da Casablanca: "... se Lei è capace di tremare di indignazione ogni
volta che si commette un’ingiustizia nel mondo..." . Non si tratta di una
coincidenza da bibliofilo, bensì la conferma che i grandi uomini, o donne,
normalmente hanno opinioni comuni.
“Guerra fredda
caraibica”
Harold Pinter, Red Pepper, maggio 1996
Clinton ha firmato la legge Helms/Burton perché Cuba "disprezza" il Diritto
Internazionale. Scherziamoci pure sopra. Nei suoi prodighi sforzi per
mantenere la democrazia nel mondo, gli Stati Uniti hanno infranto il Diritto
Internazionale più volte, e lo hanno fatto nella più completa impunità. Quando
nel 1986 il Tribunale Internazionale di Giustizia dell’Aia dichiarò gli Stati
Uniti colpevoli di ben otto diversi capi d’accusa, per la flagrante ingerenza
negli affari interni di un stato sovrano (il Nicaragua) e richiese il
risarcimento di tutti i danni causati, la loro risposta fu la pura e semplice
presa per il culo del tribunale, perché gli USA dichiararono che loro agivano
fuori dalla competenza di qualunque tribunale internazionale. Anche alla
povera ONU è capitato di condannare con schiacciante maggiorana di voti e per
tre anni consecutivi, dal 1993 al 1995 (88-4, 101-2 e 117-3), l’embargo che
gli Stati Uniti mantengono contro Cuba, ma la parte condannata ignorò
completamente quella vecchia istituzione. Chissà perché i governi britannico,
canadese e messicano non hanno proposto una mozione al Consiglio di Sicurezza
affinché condanni questa nuova legge che tenta di ostacolare il commercio
libero tra Cuba ed il resto del mondo, che in alcuni aspetti straccia
addirittura la Carta delle Nazioni Unite e quella del Diritto Internazionale.
Probabilmente hanno calcolato che sarebbe più inutile che cantare Annie Laurie
o scoreggiare attraverso un’asola, come si diceva una volta . Comunque sia, è
piuttosto chiaro: è una manifestazione di arroganza che fa schifo.
La cosa più sorprendente su Cuba è che sia sopravvissuta. Dopo trentacinque
anni della violenza economica più spietata, dopo trentacinque anni di ostilità
virulenta e senza tregua da parte degli Stati Uniti, Cuba continua ad essere
un stato sovrano indipendente. Si tratta di un’impresa eccezionale. Non sono
molti gli stati che sono riusciti a mantenersi indipendenti o « sovrani » a
lungo, nel cortile degli Stati Uniti.
Vediamo tre brevi citazioni del libro di Duncan Green
Silent Revolution [Rivoluzione silenziosa].
"..10.000 delegati della Banca Mondiale si sono seduti per cenare. Il servizio
è a carico del catering Ridgewells a 200 dollari per persona. Gli invitati
hanno cominciato con torte di granchio, caviale, crème fraîche, salmone
affumicato e lombo di vitella alla Wellington. Il pesce è aragosta con mais,
seguito da un sorbetto di limone. Il piatto principale, anatra in salsa e
carciofi ripieni di carote tenere. Il contorno è un’insalata di palma
accompagnata da soufflé di formaggio alla salvia, marinato nel vino di Porto.
Per dolce una rapa di cioccolato tedesco in salsa di lampone, cioccolatino
gelato e caffè royal. Non si conosce la lista dei vini.
"La piccola capanna di mattoni crudi è piena di donne boliviane precocemente
invecchiate che vestono scialli frangiati pieni di rammendi e consunti
cappelli di feltro, le loro mani callose battono delle pietre nella ricerca
di resti di stagno. Le strade tra le capanne dei minatori sono piene di borse
di plastica ed escrementi umani, secchi ed anneriti dal sole." Questo è quello
che dice una donna boliviana:
"Prima, le donne rimanevano in casa perché gli uomini avevano lavoro. Ora
dobbiamo lavorare. Molti dei nostri figli sono abbandonati. I loro genitori
sono andati via, e non ci rimane più amore quando ritorniamo tardi a casa del
lavoro. Lasciamo loro del cibo e poi giocano per la strada. Ci sono sempre
incidenti, ma non ci sono mai cure. Nel mio paese mi sento come una schiava.
Ci alziamo alle quattro di mattina e alle undici di sera stiamo ancora
lavorando. Io ho vomitato sangue per settimane, ma non potevo far altro che
lavorare."
Senza dubbio, dopo la cena i delegati della Banca Mondiale hanno parlato
dell’economia boliviana ed offerto i loro preziosi suggerimenti. Questa
mostruosa disuguaglianza è proprio quella che ispirò la Rivoluzione cubana. La
rivoluzione tentò di correggere quella grottesca polarizzazione ed il suo
obiettivo fu garantire che il popolo cubano non dovesse sopportare mai più una
simile degradazione.
Comprese che il riconoscimento ed il rispetto della dignità umana erano
obblighi fondamentali di ogni società civilizzata, e oggi i suoi risultati
sono notevoli. Ha creato un servizio sanitario che non ha rivali e ha
raggiunto un livello straordinario di alfabetizzazione. Per gli Stati Uniti
quella è solo un’abominevole sovversione marxista - leninista e, naturalmente,
cercano di distruggerla. Ma hanno fallito. Dev’essere proprio vero quando si
dice che Cuba non avrebbe potuto mai sopravvivere se non possedesse un nucleo
formidabile d’orgoglio, fede e solidarietà.
Vediamo la questione dei diritti umani. Io non credo nella relatività dei
diritti umani. Non credo che le "condizioni locali" o una disposizione
culturale specifica possano giustificare la soppressione del dissenso o della
coscienza individuale. Ho sempre pensato che a Cuba, l’aiuto che ricevono le
voci dissidenti si devono alle condizioni imposte da fuori. E credo che questo
sia vero fino ad un certo punto. Ma anche gli apologisti delle azioni
israeliane si sono appoggianti alla minaccia esterna. Mordechai Vanunu è un
dissidente israeliano e fu condannato a diciotto anni di carcere per aver
rivelato la capacità nucleare Israeliana. Sono un tutore dei beni di Vanunu ed
un difensore del suo diritto a parlare. Pertanto, devo difendere anche
logicamente, per esempio, il diritto a parlare di María Elena Cruz di Vareia.
Il socialismo deve essere un dibattito attivo e partecipativo.
Tuttavia, il rugoso cipiglio moralista degli Stati Uniti è da spaccarsi dalle
risate. "Deploriamo etc., etc. le violazioni dei diritti umani in tal paese e
tal altro…." Nel loro, di paese, un milione e mezzo di persone sono in
prigione, di cui tremila condannati a morte, quasi cinquanta milioni vivono
sotto il livello di povertà, privati del diritto di voto.C’è una sottoclasse
di razza nera, costantemente vilipesa e pestata, trentotto stati praticano la
pena di morte, la corruzione è vigorosa e attiva a tutti i livelli gerarchici,
la brutalità da parte della polizia è sistematica, profondamente razzista e
mortale. Dove siete, diritti umani?
Oggi la propaganda afferma che il socialismo è morto. Ma se essere socialista
è essere una persona convinta che le parole ben comune e giustizia sociale
significano qualcosa; se essere socialista è sentirsi oltraggiato per il
disprezzo con cui milioni e milioni di esseri umani sono trattati da chi
detiene il potere, dalle "forze" del mercato, dalle istituzioni finanziarie
internazionali; se essere socialista è essere una persona determinata a fare
ciò che è alla sua portata per alleviare quelle vite degradate, allora il
socialismo non può essere morto, perché quelle aspirazioni non moriranno mai.
Testo originale:
Testo originale:
www.redpepper.org.uk/latin/x-may96-pinter.htm