19/12/2005
”Alcuni vescovi hanno la mente a Miami.
E questo è un peccato”
Intervista
con Raúl Roa Kourí (ambasciatore di Cuba presso il Vaticano)
D.
– Prova qualche imbarazzo a ricordare il suo amico Che Guevara mentre, in
qualità di ambasciatore, si trova a svolgere il ruolo di ponte per il dialogo
tra Cuba e la Santa Sede?
R. – “Nessun imbarazzo. Io rappresento il governo di Cuba
che ha rapporti con la Santa Sede da 70 anni. Sono stati rapporti ininterrotti e
non abbiamo mai pensato di interropere i rapporti diplomatici con il Vaticano.
Speriamo anzi già dal prossimo futuro di approfondire questi rapporti rendendoli
ancora più fluidi. Specialmente nel periodo della rivoluzione vittoriosa del
1959, i rapporti di Cuba con la Santa Sede sono sempre stati corretti. Sebbene
tra il 1959 e il 1961 ci sia stato un problema con la gerarchia della chiesa
cattolica a Cuba, fu proprio il rappresentante della Santa Sede all'Avana,
monsignor Cesare Zacchi, poi nunzio, con il mio predecessore nell'ambasciata
presso la Santa Sede, Luis Amado Blanco, a costruire ponti tra le due parti.
Penso che il mio servizio di diplomatico cubano presso la Santa Sede sia in
questa tradizione di dialogo, con l'obiettivo di costruire ponti di mutua
comprensione tra il Vaticano e il governo cubano. E dunque il fatto che, fin da
giovanissimo, io sia stato un amico di Che Guevare non costituisce un problema
di alcun genere, neppure per la mia attuale funzione di ambasciatore presso la
Santa Sede. Il Che non era un dogmatico né un fanatico. Rivoluzionario genuino
preoccupato per la liberazione di ogni uomo, non si credeva un profeta né si
considerava un santo. È vero che non era cattolico, ma un intellettuale dalla
mente ampia, un uomo che capiva le cose del mondo, che si interessava a tutto,
che sapeva molto bene quale fosse il ruolo della religione nelle società
latinoamericane e anche a Cuba”.
D. – Pensa che la comunanza
di ideali e di cultura con Che Guevara le sia di utilità per la sua funzione di
rappresentante del suo paese presso la Santa Sede?
R. – “Penso che tutto ciò che è positivo è sempre utile.
Devo dire che quando nel 1954 ho conosciuto in Messico il Che, parlavamo
soprattutto di letteratura, di filosofia e di politica. Egli non conosceva
ancora Fidel e Raúl Castro. Aveva invece un grande amico cubano, anch'egli
membro del Movimento 26 Luglio, poi caduto durante la lotta nella Sierra
Maestra. È stato lui a presentarci e per suo tramite ho fatto la conoscenza del
Che. All'epoca Guevara non era legato alla rivoluzione cubana ma aveva, invece,
un legame con la rivoluzione latinoamericana che non esisteva in quel momento,
ma era qualcosa che lui voleva ardentemente. Tanto come noi che in quell'epoca
eravamo in esilio in Messico. E c'era il nostro gruppo al quale apparteneva
certamente mio padre, Raúl Roa Garcia, considerato un importante intellettuale
cubano e dell'America Latina, mentre io ero un ragazzo di 17 anni. Era un gruppo
di esiliati latinoamericani: c'erano peruviani, il grande scrittore venezuelano
Romolo Galliego, il poeta Roy Blanco. C'erano tanti argentini e molti altri di
varia provenienza accomunati dagli ideali rivoluzionari. È in questo gruppo che
noi abbiamo trattato con il Che dal punto di vista intellettuale. Egli era
diventato un amico di mio padre che all'epoca era professore all'università
dell'Avana. Era professore anche in Messico e dirigeva una rivista chiamata ‘Humanismo’.
Per questo aveva scambi e si incontrava con altri intellettuali dei diversi
paesi dell'America latina. La mia conoscenza del Che è nata in questo contesto
di fervida iniziativa intellettuale”.
D. – In che senso le è
servita l'esperienza di vita e di conoscenza della rivoluzione per trovare punti
di convergenza con la Santa Sede?
R. – “Fin dalle origini, la
rivoluzione cubana è stata una rivoluzione nuova nel mondo. Dalle sue origini si
collocava nella tradizione rivoluzionaria cubana precedente, iniziata nel 1868,
con una tappa importante nel 1895. Iniziata nel 1868 con Manuel De Cespedes,
padre della patria e bisnonno dell'attuale monsignor Carlos Manuel De Cespedes.
Cento anni dopo, nel 1968, Fidel Castro dichiarava che questi primi
rivoluzionari ‘oggi sarebbero come noi, e noi allora saremmo stati come loro’.
C'è una continuità e una novità in questa rivoluzione. Novità nella continuità.
Penso che noi siamo continuatori del pensiero di Manuel De Cespedes ma anche di
José Martí che è il capo della lotta cubana per l'indipendenza nel 1895. Essi
hanno dato un contenuto speciale alla rivoluzione cubana, compenetrata
dell'umanesimo di Martí e degli ideali vicini alla rivoluzione francese di
Manuel De Cespedes. Penso che essi rappresentino la base della nostra
rivoluzione che poi, alla luce dei tempi, è diventata anche una rivoluzione
socialista. Benchè non sia stato comunista, ho sempre pensato che una
rivoluzione nel secolo XX non poteva essere che socialista. Non mi sono trovato
molto d'accordo con i regimi dell'Est europeo perchè non ero e non sono
staliniano. L'obiettivo socialista della rivoluzione cubana, a mio parere, era
ineludibile. Come l'umanesimo socialista e marxista. Perché l'uomo è la radice
di tutto per un vero socialista. L'uomo è l'essenza della rivoluzione. Quello
che vogliamo fare è sviluppare l'uomo, e i progressi in ogni campo che nel tempo
si impongono alla pubblica opinione devono riconoscere la centralità dell'uomo.
Tutto questo patrimonio di idee umaniste, che per me costituisce la vera
tradizione della rivoluzione cubana, mi permette oggi di avere un rapporto
cordiale e una comprensione mutua con i miei amici della segreteria di stato
vaticana. E posso capire certamente il loro pensiero anche se non troviamo
sempre un accordo su tutto. Cosa del resto non possibile. Io sono un socialista
e la Chiesa non è socialista e non combatte per il socialismo. Posso capire
questa posizione della Chiesa anche perchè la nostra tradizione culturale,
legata al pensiero di Cespedes e di Martí, è la tradizione cristiana e
occidentale, che è anche la tradizione del nostro popolo. Non esiste perciò dal
punto di vista culturale un ostacolo per capirsi”.
D. – Avete avuto la
sensazione che da parte vaticana ci siano state riserve nei confronti della
situazione e delle scelte di Cuba?
R. – “Forse ci sono stati momenti in cui la posizione del
governo cubano non è stata ben capita dalla Santa Sede, ma penso che la Santa
Sede abbia sempre avuto comprensione per la rivoluzione cubana e certamente ha
cercato di capirla. Devo dire che papa Giovanni XXIII è stato una persona molto
aperta. Personalmente l'ho conosciuto nel 1961-62 quando sono stato a Castel
Gandolfo con l'ambasciatore Luis Amado Blanco per una udienza. Nel corso di
quell'incontro Giovanni XXIII ci disse: ‘Coraggio Cuba’, perché lui capiva che
in quel momento ciò che era importante era la riforma agraria a Cuba. Lo capiva
perfettamente essendo egli stesso di origine contadina e non ebbe difficoltà a
darci un incoraggiamento. E anche con il papa Paolo VI e con gli altri pontefici
non c'è mai stata una posizione contraria alla rivoluzione cubana. La Chiesa non
è del partito della rivoluzione ma non ha avuto una critica preconcetta al
processo rivoluzionario a Cuba, sebbene lo spazio per la Chiesa cattolica
nell'isola sia sempre stato un motivo di discussione tra noi e la Santa Sede,
fra il governo cubano e la gerarchia cattolica in Cuba. Ma occorre riconoscere
che i rapporti tra Santa Sede e Cuba sono sempre stati corretti, sebbene ci
siano delle riserve mentali sulla rivoluzione. Non abbiamo infatti la stessa
posizione e la stessa comprensione della storia”.
D. – Come mai il rapporto
tra il governo cubano e la Santa Sede, che è lontana dall'isola, è migliore di
quanto non lo sia il rapporto tra governo e Chiesa cubana?
R. – “La Santa Sede ha una visione più ampia della storia
rispetto alla Chiesa cattolica in Cuba. Quando dico Chiesa cattolica a Cuba
intendo soprattutto gerarchia cattolica, perché occorre distinguere. In generale
i sacerdoti sono vicini al popolo, invece alcuni vescovi sono piuttosto vicini
al popolo di Miami, ai cubani emigrati. E questo è un peccato. Perché credo che
la Chiesa dovrebbe lavorare con il popolo che vive a Cuba, che è un popolo
rivoluzionario che ha sempre dato un apporto alla rivoluzione. Forse ci sono
alcuni che non sono d'accordo, ma si tratta di una minoranza di cubani. Ci sono
invece alcuni vescovi che pensano con la mentalità dei cubani emigrati a Miami,
conservando la mentalità precedente alla rivoluzione che storicamente ha sempre
prodotto una certa distanza tra la Chiesa e il popolo cubano. All'epoca della
lotta per l'indipendenza, la Chiesa cattolica a Cuba era dominata dalla Spagna e
dunque era contro l'indipendenza. Poi quando Cuba è diventata una repubblica
sotto l'influsso neocoloniale degli Stati Uniti, quella Chiesa ha continuato ad
essere al servizio dei poteri stranieri, legandosi ai cubani a loro volta legati
al potere americano. Dopo la rivoluzione del 1959, con la quale Cuba per la
prima volta nella sua storia ha conquistato la sua piena indipendenza, una parte
della Chiesa, soprattutto la gerarchia, non ha capito la rivoluzione. Anche
perché in quel tempo una parte di preti spagnoli nell'isola erano franchisti e
noi li abbiamo mandati via perchè avevano cominciato a cospirare attivamente
contro la rivoluzione. Debbo riconoscere che ci sono membri della gerarchia e
del clero che sono veri patrioti cubani. Forse non sono socialisti, ma
certamente sono patrioti e capiscono quello che ha fatto la rivoluzione dal
punto di vista sociale, educativo e scientifico maturato con la rivoluzione.
Questi ecclesiastici sono d'accordo e non sono contro un tale progresso. Sono
critici su altre questioni. Ci sono poi i preti che in generale sono vicini al
popolo e nella vita pratica quotidiana non hanno un contrasto con il potere
sebbene non ne condividano l'ideologia”.
D. – Lei passa per amico
anche di Fidel Castro. Il Comandante in Capo le ha dato qualche speciale
raccomandazione prima che iniziasse il suo lavoro di rappresentanza presso la
Santa Sede?
R. – “Sono amico del presidente Fidel Castro, ma non lo
sono a livello personale di come lo sono stato con Che Guevara. Fidel è il
nostro dirigente e ho una grande ammirazione per lui, lo conosco perfettamente,
ma dire che sono un amico è forse dire troppo. Ho quella relazione che un
ambasciatore ha con un capo di stato. Fidel Castro ha sempre raccomandato di
sviluppare i rapporti con la Santa Sede sulla base del mutuo rispetto e della
cooperazione. Egli mi incaricò, in particolare, di salutare a suo nome con molta
cordialità il Santo Padre Giovanni Paolo II, perchè nutriva una grande
ammirazione per papa Karol Wojtyla”.
D. – Come mai avete deciso
di ricordare con una certa solennità i 70 anni di rapporti tra Santa Sede e
Cuba, una data importante ma non consueta per particolari celebrazioni come può
accadere per i 100 anni?
R. – “Per noi 70 anni sono tanti. Dal punto di vista
storico forse sono pochi, ma dal punto di vista dei rapporti tra due stati sono
già qualcosa di importante. Cento anni sarebbero senza dubbio ancora più
importanti e significativi, ma ciò non toglie importanza al ricordo dei 70 anni
di buone e costanti relazioni. Il nostro ministro degli esteri Felipe Perez
Roque per l'occasione ha inviato una lettera a monsignor Giovanni Lajolo che ha
risposto cordialmente. Ma in qualità di ambasciatore penso che sarebbe
interessante e importante che per questo settantesimo siano meglio conosciuti
alcuni aspetti della cultura e della vita cubana solitamente trascurati. In
generale in Italia si conoscono di Cuba solo notizie cattive o notizie
presentate in forma negativa e non molto obiettiva. Pensiamo che sia perciò
importante poter avere alla filmoteca vaticana una presentazione di documentari
cubani sulla vita e la realtà del nostro paese. Si pensi a quello che fa il
nostro governo per aiutare altri paesi del Terzo Mondo dal punto di vista
medico. Fa cose analoghe a ciò che fanno i missionari cattolici. È stato Fidel
Castro a dire che i nostri medici sono come i missionari cattolici, perché vanno
nei posti più lontani e scomodi dei vari paesi senza obiettivi di lucro
personale, ma solo con l'intento di poter rendere un servizio alle persone nel
bisogno. Su questo argomento abbiamo un documentario bello e importante con il
titolo ‘Montagna di luce’ che credo sia interessante proiettare alla filmoteca.
Altrettanto importante mi pare donare alla filmoteca vaticana alcuni documentari
sulla cultura cubana. È in programma un concerto dell’orchestra giovanile
diretta dal maestro Claudio Abbado. Mi sembra interessante uscire dagli schemi
soliti su Cuba e la sua musica. È conosciuta soprattutto la musica cubana da
ballo, ma restano in ombra gli altri generi musicali nonostante l'alto livello
raggiunto. Vorrei preparare un piccolo volume sulla storia dei rapporti tra Cuba
e il Vaticano in questi 70 anni trascorsi, come anche un articolo sul sacerdote
Felix Varela, che è stato figura di spicco dell'indipendenza cubana e perciò
esiliato. Egli ha lasciato ai cubani una grande lezione dicendo loro: ‘La prima
cosa è pensare’. Come indipendentista ha avuto una grande influenza su José
Martí e Carlos De Cespedes. Ho pure chiesto allo scrittore cattolico cubano
Silvio Vitié di presentare un intervento sulla spiritualità di José Martí.
Sarebbe anche opportuno un articolo a ricordo dell'azione di monsignor Cesare
Zacchi a Cuba e dell’ambasciatore Amado Blanco in Vaticano. E un ricordo sulla
visita di Giovanni Paolo II a Cuba. Con la collaborazione di autori cattolici e
non cattolici, credenti e non credenti. Vorrei invitare, poi, lo storico della
città dell'Avana Eusebio Leal, abbastanza conosciuto in Italia, a tenere una
conferenza culturale. E come conclusione delle celebrazioni la messa cubana di
Josè Maria Vitier, scritta per la visita di Giovanni Paolo II a Cuba. È una
messa molto bella, tradizionale, ma che dal punto di vista musicale segna una
evoluzione della musica religiosa. Questa messa sarà eseguita nella prima decade
di dicembre nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Non credo che siano
molti in Italia a conoscere che a Cuba vivono compositori di musica religiosa
che hanno scritto partiture di valore artistico per le messe. La messa che
faremo ascoltare in Santa Maria in Trastevere è la stessa che venne suonata con
il papa in Piazza della Rivoluzione a L'Avana. Cuba non è chiusa a questo genere
di musica. Al contrario. José Maria Vitier è un cattolico e uno dei più popolari
compositori e interpreti di Cuba oggi. È bene che si sappia ed è importante
rilevarlo per migliorare i rapporti tra Cuba e la Chiesa cattolica”.
D. – Le celebrazioni per il
settantesimo saranno solo a Roma o anche a Cuba con la partecipazione della
Chiesa locale?
R. – “Penso che all'Avana ci saranno iniziative del
governo e della Chiesa cubana”.
(fonte agenzia Asca)