Giovanni Paolo II:
il papa e
l’uomo
di Jorge Gómez Barata* 30 aprile 2005
Adesso che Karol Wojtyla,
Giovanni Paolo II, ha lasciato d’abitare nel tempo per vivere l’eternità e finì
d’essere contemporaneo per divenire paradigma, gli omaggi al santo faranno
difficile percepire l’uomo la cui esperienza sintetizza le contraddizioni e
tensioni d’un epoca, alla volta che esprime un’attitudine davanti alla vita.
Per nascere
cittadino del più tormentato dei grandi paesi europei: Polonia tre volte
divorata dagli imperi e durante 100 anni cancellata dalla mappa e per essere
venuto al mondo nel 1920, l’infanzia di Giovanni Paolo II trascorse in un
periodo della tragica storia polacca nel quale erano presenti le conseguenze
della I Guerra Mondiale, mentre la sua giovinezza coincise con la guerra e
l’occupazione nazista e si affacciò alla maturità sotto le circostanze in cui si
instaurò il regime socialista, caratterizzato da forti compromessi con l’Unione
Sovietica.
Di natura mistica, il giovane Wojtyla assunse con realismo la sua vocazione e si
fece sacerdote in condizioni di clandestinità, non vacillò in trasformarsi in
operaio per evadere la deportazione e affrontò il fascismo con la cultura come
arma, al partecipare nell’interpretazione, anche clandestina di opere del teatro
classico nazionale.
Ordinato sacerdote nel 1946, dottore in Filosofia e Teologia, professore
d’etica, vescovo di Cracovia e autore di opere teatrali e saggi filosofici, fu
ordinato cardinale nel 1967, a tempo per partecipare nel Concilio Vaticano II.
Nel 1978 salì al trono di San Pietro e in maggio del 1981 fu vittima d’un
attentato del quale mai potete ricuperarsi completamente.
Dal papato, svolse un’attività che lo trasformò nel più lavoratore dei papi, in
quello che più paesi visitò e quello che si rivolgete direttamente a più
persone.
Attraverso
le sue encicliche si pronunciò circa i più importanti temi umani e divini: la
relazione tra la redenzione di Gesù Cristo e la dignità umana, il ruolo della
misericordia, le relazioni fra il capitale e il lavoro, sulla posizione della
Chiesa davanti alle dottrine atee e il materialismo, il ruolo della Vergine
Maria nella promozione della virtù, circa l’influenza dei problemi ecumenici e
sociali, le relazioni fra la fede e la ragione.
Promulgò un nuovo codice di diritto canonico e approvò un nuovo catechismo. Di
mentalità conservatrice, si oppose alla secolarizzazione della Chiesa, respinse
l’ordinazione sacerdotale femminile, proibì che i sacerdoti occupassero cariche
politiche ufficiali, alla volta che praticò come nessun altro pontefice prima,
l’ecumenismo, si avvicinò alle Chiese ortodosse, anglicane e protestanti.
Riaffermò l’obbligo del celibato sacerdotale, si oppose all’aborto, alla
riproduzione assistita e agli anticoncezionali e dette le spalle alla Teologia
della Liberazione Ridefinì il cielo, chiarendo che non si tratta d’alcun posto
fisico che si può trovare fra le nuvole, ma d’una comunione personale con Dio,
d’una fede sentita non d’un dato verificabile.
Come nessun altro pontefice auspicò la riconciliazione ecumenica della comunità
cristiana e chiese perdono a Dio per i peccati della Chiesa, fra altri: i
scismi, le Crociate, l’Inquisizione, l’indifferenza davanti all’olocausto e
l’attitudine davanti alle donne e i poveri.
Non ebbe ripari nel fare patente la propria frustrazione davanti al fatto di che
la diffusione del messaggio di Gesù Cristo sia vittima della banalità
caratteristica della cultura di masse introdotte dalla società di consumo, che
al pragmatismo e il materialismo volgare, proprio degli soddisfatti, somma
l’indifferenza e l’indifensione di quelli che nel Terzo Mondo o nei propri paesi
sviluppati, sono abbandonati alla loro sorte, e dagli strati più sfavoriti
coltivano un individualismo che alla fine si torna scettico e non credente.
Queste precisazioni, basate più in fatti comprovati duranti i suoi viaggi e
incontri umani che in rivelazioni mistiche, lo portarono a proclamare la
necessità d’una nuova evangelizzazione.
Il 70% dei cattolici vivono nel Terzo Mondo, dove la fede coabita con la povertà
e l’ignoranza. Per lui non bastava con il battessimo e l’apprendimento di certe
categorie. La fame, l’ignoranza e lo scoramento non permettono coltivare la
sensibilità richiesta per assumere l’umanesimo e l’etica cristiana.
Fu enfatico nella critica agli approcci atei e consumistici della convivenza,
respinse per crudele e perverso il neoliberalismo. Non credete nella tesi della
fine della storia e sebbene sottolineò che la Chiesa “Non ha modelli politici da
proprorre”, prese prudente distanza dell’idea di che il capitalismo, tale e come
esiste oggi giorno nel Nord e nel Sud, sia l’unica alternativa.
In certi approcci, il Papa sembra come si scendesse dal trono di San Pietro per
convivere con l’uomo comune e compartire con loro visioni e speranze. Altre
volte usò l’altezza della sua missione come vedetta per vedere quel che molti
volessero ignorare: il mondo è tanto ingiusto come valida la speranza in un
destino migliore per tutti, opera che ispirati in Dio, devono realizzare gli
uomini.
Quelli che l’hanno assistito nei suoi ultimi momenti, confermano che morì
tranquillo. In ciò fu anche conseguente. Così visse, per bene del suo esempio.
*L’autore e Collaboratore di Prensa Latina.