da Il Manifesto del 27 agosto 2005
Gli scabrosi diritti di Ernesto
Guevara
Il Corriere della Sera, nell'indefesso tentativo portato avanti in questi ultimi
tempi, di sbiadire la figura di Ernesto Che Guevara, vero incubo per il
«pensiero unico», mi coinvolge, mio malgrado, in una ennesima polemica
riguardante la pubblicazione dell'opera omnia di quello che, in America latina,
chiamano «il guerrigliero eroico». Poiché il quotidiano della «borghesia
illuminata» di Milano, tradendo il suo vantato liberalismo, non mi ha permesso
finora, di esprimere il mio pensiero e rispondere ai rilievi che mi vengono
rivolti, ringrazio il manifesto di concedermi lo spazio per questo esercizio,
così come ha fatto per consentire a Luis Sepùlveda di smontare le tesi di
Alvarito Vargas Llosa, anche lui, recentemente, teso, sul Corriere della Sera, a
scacciare il fantasma di questo benedetto Ernesto Guevara, che proprio non va
giù al mondo del niente, privo di ogni etica rappresentato dall'economia
neoliberale. E questo per via di un fascino sui popoli che non tramonta, nemmeno
a quasi 40 anni dalla morte, perché, come ha scritto Eduardo Galeano, Che
Guevara, per questi critici, ha la pericolosa abitudine di continuare a nascere,
anzi, «quanto più lo insultano, lo manipolano, lo tradiscono o mentono sulle sue
idee e i suoi atti, tanto più rinasce».
L'argomento della polemica, assolutamente gratuita, questa volta riguarda
l'avvenuta vendita alla Mondadori, per un milione e mezzo di dollari, dei
diritti di pubblicazione in italiano di 19 manoscritti del Che. Una vendita
effettuata da Ocean Press, l'editore australiano al quale la vedova e i quattro
figli di Guevara hanno assegnato, da qualche tempo, l'incarico di far circolare
nel mondo gli scritti e le idee del loro marito e padre. Gli interlocutori
scelti per creare un caso su questa legittima decisione degli eredi, sono
l'editore Roberto Massari e il prof. Antonio Moscato, studiosi delle gesta di
Guevara. I due, invece di essere soddisfatti ideologicamente che il mercato
abbia imposto alla casa editrice del più viscerale anticomunista di casa nostra,
il cavalier Silvio Berlusconi, di sborsare una cifra enorme per far circolare le
idee sovversive del Che (che proprio il mercato aveva tentato di far appassire
invano in un'immagine da T-shirt), criticano invece la decisione degli eredi,
che proprio io avrei male abituato, dal Diario del Congo in poi, a pretendere i
diritti su quelle opere. Un atteggiamento che potrebbe avere una logica, se
proprio l'editore Massari non avesse creato in Italia una «Fondazione Che
Guevara» e una casa editrice connessa, che per anni ha stampato opere di e sul
«guerrigliero eroico» senza riconoscere alcun diritto alla famiglia Guevara e
senza sentire il bisogno di avere nessun rapporto con l'unica istituzione
legittimata a questa incombenza, il Centro de estudios Ernesto Che Guevara
dell'Avana. Un centro diretto dalla vedova del Che, Aleida March, con la
collaborazione dei figli Camilo e Aleidita, e che ha la sua consulente
scientifica in Maria del Carmen Ariet.
Per oltre un ventennio Maria del Carmen ha percorso tutti i luoghi e i sentieri
dell'epopea di Ernesto Guevara e ha incontrato decine di testimoni della sua
avventura umana, per essere in grado di arricchire di ogni tipo di nota le opere
che via via il Centro, ubicato nella vecchia casa dei Guevara, decide di
pubblicare.
Massari & Moscato (preoccupati solo che Ocean Press sia in mano a ex trotzkisti.
E allora?) sanno perfettamente che quei manoscritti, quelle riflessioni del Che
su fogli sparsi non erano state scritte per essere pubblicate. La decisione è
stata presa dalla famiglia, che come tutti gli eredi degli scrittori, ha il
diritto di scegliere i modi, la struttura e i tempi di quelle pubblicazioni.
Massari però ha una idea piuttosto bizzarra dei diritti dei Guevara: sostiene
che gli scritti del Che sono di tutti, e quindi chiunque può farne mercato. In
realtà le idee del Che sono prima di tutto una ricchezza dei suoi figli e
nipoti, poi della Rivoluzione cubana che ha contribuito a edificare, poi dei
popoli per i quali si è battuto, principalmente quelli latinoamericani, poi di
tutto il movimento mondiale che crede nelle idee di cambiamento e di progresso,
e infine perfino di chi lo ha combattuto e combatte acriticamente, ma poi è
costretto a piegarsi all'ineluttabilità della storia, alla forza dei suoi ideali
che affascinano visionari del cinema come Redford, Salles, Soderbergh, e
obbligano gli avversari di quel modello di società a non ignorarne il potenziale
economico. Perché il capitalismo è così, pronto a trangugiare, in nome del
business, anche le idee di chi lo combatte. Tanto poi, in qualche modo, troverà
l'occasione per risputarle.
Ma che soddisfazione vedere quelle idee di giustizia, di riscatto, di dignità,
circolare in un mondo dove chi comanda le esecra e tenta ogni giorno di
svilirle. E hanno pensato Massari & Moscato, quante opere sociali si stanno
realizzando e si realizzeranno a Cuba con i soldi dei diritti che la famiglia
Guevara devolve alle strutture della cultura e della sanità del paese? Per
questo, in fondo, si possono perfino sopportare i malumori e i deliri di
Alvarito Vargas Llosa o Renato Farina, o le teorie di Maurizio Stefanini de il
Foglio, convinto che il Che non è stato il più grande guerrigliero del XX
secolo, ma solo il più fotogenico e grafomane. Di cazzate se ne possono scrivere
a iosa, ma poi esce I diari della motocicletta di Walter Salles, e in poco tempo
questo film diventa il nono incasso dell'anno scorso negli Stati Uniti, malgrado
la ben nota fatica del cittadino medio nordamericano a leggere i sottotitoli,
anche se in lingua inglese. E fra pochi giorni uno dei più prestigiosi teologi
della liberazione, il salesiano Giulio Girardi, uscirà con il libro Che Guevara
visto da un cristiano - il significato etico della sua scelta rivoluzionaria.
Aveva proprio ragione Manuel Vazquez Montalbàn: «Il Che è come un incubo per il
pensiero unico, per il mercato unico, per la verità unica, per il gendarme
unico. Il Che è come un sistema di segnali di non sottomissione, una
provocazione per i semiologi o per la Santa inquisizione dell'integralismo
neoliberale». Quale peccato si compie a ricordarlo? Mi piacerebbe che Paolo
Mieli mi desse una risposta, specie dopo che il Corriere, nell'impaginazione di
questa inconsistente polemica, mi ha indicato come un imputato (di che?) a
fianco di Fidel Castro, scrivendo nella didascalia «molto legato al leader
comunista cubano». Mi piacerebbe sapere se sotto la sua foto, o sotto quella dei
direttori che lo hanno preceduto negli ultimi 30 anni, o dei corrispondenti del
suo giornale dagli Stati Uniti, scriverebbe «molto legati a Ronald Reagan» o a
Bush padre o a Bush figlio, solo perché si sono occupati con scrupolo della
realtà, della politica e delle contraddizioni degli Stati Uniti, al di fuori di
ogni luogo comune. Io, come dimostra il rigore di Latinoamerica, la rivista che
edito e dirigo, lavoro ancora all'antica, con il vecchio scrupolo che spinge un
cronista a trovare fonti e dati che non possono essere smentiti. I dati sulle
3000 persone «scomparse» negli Stati Uniti per le leggi antiterrorismo volute da
Bush o quelli su un tribunale d'appello di Atlanta, che annulla una sentenza
iniqua di una corte di Miami contro 5 agenti dell'intelligence cubana che
avevano individuato e denunciato le centrali terroristiche che dalla Florida
organizzano attentati a Cuba da oltre 30 anni, con oltre 3000 vittime.
Sono notizie gravissime, sfuggite o ridotte a una «breve» o spesso nascoste
nelle pagine interne del Corriere. Come quelle sull'identità degli sponsor dei
Reporters sans frontieres, che vanno dal Ned, l'agenzia di propaganda che
appoggia le operazioni più capziose della CIA, al colosso della pubblicità
Saatchi & Saatchi, alla Publicis, concessionaria delle strategie di promozione
delle forze armate Usa, alla Bacardi, la ditta di rum che platealmente, in
Florida, sovvenziona le attività eversive per annientare il turismo a Cuba.
Quale peccato si commette ad approfondire queste notizie e a renderle pubbliche?
E perché un giornalista, con la mia storia, nell'età matura, deve essere
osteggiato, per il peccato di occuparsi di questa informazione scabrosa e
scomoda per chi parla sempre di trasparenza e democrazia?
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31 agosto 2005
Città dell’Avana. Cuba.
All’attenzione dei
nostri
amici
italiani:
Stimati amici, in questi ultimi giorni abbiamo ricevuto una serie di articoli
relativi al progetto editoriale che dal Centro degli Studi Che Guevara si sta
realizzando con l’obiettivo di pubblicare la sua opera – quella già pubblicata
precedentemente e i suoi inediti – affinché attraverso questi si possa avere una
visione più completa della sua vita e della sua opera.
Inauditamente, alcuni personaggi che si autodefiniscono conoscitori del Che
hanno reagito in maniera violenta, reclamando diritti universali concessi “per
grazia di nessuno”, quegli stessi che sono stati utilizzati indiscriminatamente.
Grazie a quei “diritti”, le loro presunte preoccupazioni sono giunte a voi,
amici e lettori italiani, con informazioni irrispettose e prive di fondamento.
A quei signori non dobbiamo nessuna spiegazione, ma credo che sia necessario
parlarvi, amici e compagni di sempre, del rigoroso lavoro che per più di 20
anni, prima come Archivio personale del Che e poi come Centro, è stato
realizzato per studiare, trascrivere e per ultimo pubblicare, l’opera che
meritano e di cui hanno bisogno le nuove generazioni. Siamo noi che, senza brama
di lucro e con vera dedizione nei confronti della storia, stiamo consegnando
l’eredità dell’opera del Che ai nostri contemporanei.
Vi invito a riflettere su come si possa fare affinché l’opera del Che sia
pubblicata su grande scala, massicciamente, senza che per questo debbano
intercedere “studiosi” che si appropiano della suddetta e che fanno conclusioni
o analisi molto faziose riguardo il suo pensiero? In questo mondo irrazionale in
cui viviamo, chi dispone di mezzi alla sua portata?
Vi posso assicurare che legalmente la pubblicazione dell’opera di mio padre è
attentamente studiata da avvocati molto ben qualificati, ma soprattutto molto
etici. Questa certezza ci da fiducia e attraverso loro risponderemo per vie
legali a coloro che hanno utilizzato il nostro nome in maniera così
irrispettosa, facendoci apparire come dei “tonti utili”.
Passando al secondo punto, peraltro sicuramente necessario, è importante
insistere sul fatto che, a differenza di quelli che hanno convertito mio padre
in una sostanziosa entrata economica per i loro fini, noi, la famiglia – così ci
chiamano – sappiamo da molto tempo quello che vogliamo e da che parte stiamo.
Non è necessario che ci ricordino che “niente di materiale” ci ha lasciato
nostro padre, perchè non ha senso metterlo in discussione, ciò che invece
avrebbe senso è discutere su quanto spiritualmente abbiamo ricevuto e riceviamo
dall’esempio permanente della sua vita e della sua opera. “Signori preoccupati”,
siamo sicuri che tutto ciò, unito al nostro agire quotidiano, supera di gran
lunga “i vostri interessi” di pubblicare “obiettivamente” l’opera del Che.
Ci restano ancora numerose cose da fare e per questo apprezziamo il sostegno
permanente di voi che, senza nessun tipo di interesse economico, continuate a
rispettare e ad ammirare l’eredità che il Che ci ha lasciato. Lavoriamo per voi
e contiamo su di voi.
Grazie per la vostra solidarietà e
per l’attenzione che ci avete riservato.
Dott.ssa Aleida Guevara March |