La storia ci assolverà

| Giovedì 28 Luglio 2005 - 9:07 | Antonella Vicini |
 

 

Ha approfittato dei festeggiamenti per il 52simo anniversario dell’attacco alla caserma della Moncada, simbolo dell’inizio della rivoluzione cubana che portò alla cacciata di Fulgencio Batista, Fidel Castro per ribadire i punti saldi della sua politica antiamericana e difendere una scelta operata sessant’anni fa.
Sostituendo la classica cornice di Plaza de la Revolución con quella più circoscritta del teatro Karl Marx, il capo di stato cubano si è rivolto ad un pubblico più limitato, composto da membri del Partito comunista, funzionari, militari, studenti e rappresentanti di varie organizzazioni, per presentare una sorta di resoconto dei suoi anni di lotta, sostenendo che nonostante le critiche e le condanne, la storia sarà clemente. Riprendendo la sua celebre frase pronunciata nel 1953 quando partecipò all’assalto al Cuartel Moncada, ha chiarito: “Condannateci, non importa, la storia ci assolverà”.
L’attenzione si è spostata poi sui dissidenti che da sempre cercano di interferire nei suoi estremi tentativi di affrancarsi dalla politica di sfruttamento e di controllo statunitense, parlando chiaramente di “traditori e mercenari”, al servizio degli Stati Uniti. In questi termini si è riferito agli arresti di oltre trenta dissidenti (la maggior parte liberati) degli ultimi giorni.
“Sono gli Stati Uniti a guidare la dissidenza cubana”, ha attaccato il líder máximo, precisando che non tollererà “atti di provocazione di mercenari traditori”.
La dissidenza, ha aggiunto Fidel Castro, non esiste che “nella mente della mafia anticubana radiata in Miami e nella burocrazia della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato”.
“Gli Stati Uniti - ha detto - si intossicano con le loro menzogne, perché si tratta di gente comprata e opportunista, sono dei delinquenti. Nessuno li conosce a Cuba, vivono della pubblicità all’estero”.
Passando a considerazioni più concrete, Castro ha spiegato che gli USA stanno allestendo “un dispositivo militare per entrare in alcuni Paesi Latino Americani, tra cui Bolivia e Brasile”. Stanno “costruendo basi per attaccare qualsiasi processo politico rivoluzionario in America Latina”, ha aggiunto, riferendosi chiaramente alla notizia dell’invio di 400 soldati americani in Paraguay.
“Perché vanno là? Che cosa faranno? Cosa bombarderanno?”, si è chiesto retoricamente.
Infine, ha fatto cenno alle condizioni economiche del Paese, strangolato da quarant’anni di embargo. Nonostante gli effetti drammatici del blocco economico e di eventi atmosferici, quale il recente uragano Dennis, le prospettive di sviluppo per Cuba sono soddisfacenti. A dimostrazione della sua tesi e del fatto che la crisi sarebbe passata, Castro ha portato l’incremento del 26% delle esportazioni nel primo semestre del 2005 e l’aumento della produzione nazionale di idrocarburi, con la prospettiva dell’autosufficienza. Di questo quadro ottimistico fanno parte i rapporti sempre più stretti con il Venezuela: secondo il presidente cubano, alla fine dell’anno l’interscambio commerciale raggiungerà i 3 miliardi di dollari, ammontare in cui vanno conteggiati anche gli 80.000 barili di greggio al giorno che ancora l’Avana deve importare da Caracas per mettere in moto le sue fabbriche e produrre energia elettrica.