Le reazioni alla pubblicità sul Manifesto del libro contro Cuba di "Reporter sans Frontieres"
Invitiamo i nostri lettori a scrivere a lettere@ilmanifesto.it per esprimere le loro valutazioni sulla opportunità di pubblicizzare in prima pagina il libro di
1/07/2005 tratto da www.radiocittaperta.it
"I manager della disinformazione. Il ruolo di Reporter Sans Frontieres"
Uno spirito caustico
come Daniel Chavarría, scrittore e rivoluzionario uruguayano, ha
liquidato l'episodio dell'espulsione da Cuba di Francesco
Battistini del Corriere della Sera e di Francesca Caferri
de la Repubblica, insieme a due o tre politici polacchi,
con una battuta crudele «Meno male! A Cuba i giornalisti li
espellono, in Iraq invece la truppa d'occupazione nordamericana
spara loro addosso». La battuta feroce si basa su una
constatazione incontrovertibile e scabrosa: anche Cuba vive da
tempo una guerra, quella che gli Stati uniti le hanno dichiarato
45 anni fa con l'embargo economico e mediatico (recentemente
inasprito) e che ora, nell'epoca di Bush jr., ha ripreso vigore,
come confermano le 450 inquietanti pagine del progetto «Cuba
libre», disponibili da maggio 2004 sul sito del dipartimento di
stato USA. E' un progetto politico ben preciso che, con tanti
saluti al diritto di autodeterminazione dei popoli, punta ad un
cambio «rapido e drastico» nell'isola. Così, senza voler
giustificare le inutili espulsioni dei giornalisti, si intende
come Cuba possa vivere in una sindrome di «castello assediato»
che le fa commettere errori. Una condizione in cui la nazione
più poderosa del mondo stanzia pubblicamente 53 milioni di
dollari l'anno (più 5 per le campagne di propaganda) per
costruire un'opposizione alla revolución e cambiarne il
destino (per ora meno drammatico del resto dell'America latina).
Perché nel documento della «Commissione per sostenere una Cuba
libera» si dichiara senza mezzi termini l'intenzione del governo
di Washington di designare fin da ora, per l'isola che si
presume sarà liberata, un coordinatore del dipartimento di
stato, che si occuperebbe della transizione. Insomma un Paul
Bremer che successivamente dovrebbe passare il potere ad un
altro Allawi, anche lui, verosimilmente, proveniente dalla CIA.
E questo, è ovvio, per ristabilire la democrazia.
«L'assemblea per la promozione della società civile a Cuba»,
organizzata da Marta Beatriz Roque venerdì 20 e sabato 21
maggio, con un budget di 130 mila dollari, forniti da James
Cason, esperto di «guerre sporche» e responsabile dell'ufficio
di interessi degli Stati uniti all'Avana, è una delle tappe di
questa strategia della tensione. Una politica tesa alla
destabilizzazione interna e inaugurata, due anni fa, con i
dirottamenti di tre aerei passeggeri e il sequestro fallito del
ferry boat di Regla. [...]
La strategia è proseguita quest'anno in occasione della 61°
sessione della Commissione diritti umani dell'ONU, nella quale
il governo di Washington è riuscito a bloccare la presentazione
di una denuncia sulle violenze, gli abusi e le torture compiute
dai suoi funzionari, ufficiali e soldati in Afghanistan, nelle
carceri irachene e a
Guantanamo, ma ha ottenuto di imporre di
stretta misura, col voto determinante di alcune nazioni europee
come l'Italia, una censura a Cuba, dove non ci sono mai stati
desaparecidos, torture ed esecuzioni extra giudiziarie.
L'iniziativa di Beatriz Roque e di René de Jesus Gomez e Felix
Antonio Bonne, che, bisogna ricordare, si è svolta regolarmente,
con il disappunto di tutti quei politici mestatori e giornalisti
che si aspettavano una repressione, è stata però un'iniziativa
alla fine autolesionistica.
Perché non solo ha costretto alcuni dissidenti storici come
Osvaldo Payá, Cuesta Morua ed Elizardo Sanchez a dissociarsi da
una manifestazione organizzata da chi «incontestabilmente prende
ordini e soldi dal governo degli Stati uniti», ma perché ha
ribadito le divisioni e la possibilità di manipolare
l'opposizione alla revolución.
Chi potrebbe fidarsi, infatti, di un progetto di cambio politico
che afferma: «Bisognerà processare i funzionari e i membri del
governo, del partito, delle forze di sicurezza, delle
organizzazioni di massa e anche quelle di cittadini favorevoli
al governo rivoluzionario (e quindi ufficialmente tutti) e forse
pure di molti membri dei Comitati di difesa della rivoluzione»?
Perché, sia chiaro «la lista potrebbe essere molto ampia».
Questa sarebbe la strategia per restituire Cuba alla libertà e
alla democrazia? E i cronisti dei nostri più prestigiosi
giornali invece di informarsi e di allarmarsi per questa guerra
sotterranea in corso, vanno, in zona di operazione, con visti da
turisti. Lo farebbero in Iraq o anche solo in Palestina? E
perché insieme ai candidi partiti «democratici» italiani
dimenticano per esempio che, proprio in questi giorni, George W.
Bush ha, come ospite a Miami, il famigerato terrorista Luis
Posada Carriles, al quale potrebbe concedere «asilo politico»?
Ma in Italia queste inquietanti realtà, che spiegano la
«sindrome da assedio» in cui talvolta cade Cuba, non interessano
a molti esponenti di partiti che si dichiarano ancora di
sinistra. Figuriamoci ai giornalisti, che certamente non hanno
pensato di andare in Florida (consiglierei con un visto
giornalistico ufficiale) per fare un reportage negli ambienti da
cui parte il terrorismo verso Cuba.
Ma l'informazione embedded che trionfa attualmente ignora
queste quisquilie. La guerra mediatica cara al dipartimento di
stato si fa con le provocazioni, magari come quelle familiari ai Reporter sans frontières, il cui fondatore, Robert Menard,
recentemente ha dovuto ammettere di essere stato sovvenzionato
dal National Endovement for Democracy, l'agenzia della
CIA che sovrintende a queste operazioni di discredito delle
nazioni non allineate agli interessi del governo degli Stati
uniti.
Diritto di
informazione
In relazione all'articolo di ieri, «Il candore dei cronisti
italici» a firma di Gianni Minà vogliamo precisare che
Reporters sans frontières (RSF) ha ricevuto, nel 2005, una
sovvenzione di 39.900 dollari dalla National endowment for
democracy (Ned), nel quadro di un progetto destinato a «
sostenere i giornalisti arrestati, carcerati o minacciati in
Africa ». Questo progetto concerne l'Africa, e unicamente
l'Africa. E il montante rappresenta soltanto lo 0,95 per cento
del bilancio dell'organizzazione. E' il colmo accusare RSF in
modo così errato, mentre tre giornalisti polacchi e due italiani
sono appena stati espulsi da Cuba e 21 giornalisti cubani -
alcuni dei quali sono stati condannati a più di vent'anni di
carcere - sono sempre dietro le sbarre. RSF non è né pro né
contro Castro. Il suo campo di intervento sono le violazioni
della libertà di stampa, e questo dappertutto nel mondo. Perché
l'affermazione del diritto di tutti alla libertà di informare
non soffra di nessuna eccezione.
Robert Ménard, RSF
Senza frontiere
Sempre per diritto di informazione e riguardo al mio articolo
«Il candore dei cronisti italici», è mio dovere segnalare a
Robert Menard, di Reporters sans frontières, che il
National Endowement for Democracy (Ned), come
Menard-Biancaneve ha dimenticato di ricordare nella sua lettera
di mercoledì scorso, è un'agenzia della CIA che ha il compito
proprio di disinformare il mondo riguardo ad argomenti,
situazioni, politiche non convenienti al governo degli Stati
uniti. Era il Ned che dava i soldi negli anni `90 ai famosi
«Comitati per i diritti umani a Cuba». Ed è il Ned, ora, che
deve, come sta facendo molto bene in questi giorni, fare
propaganda e appoggiare la politica da «strategia della
tensione» che il presidente Bush ha deciso di incrementare nei
confronti di Cuba, con un budget di 53 milioni di dollari
l'anno più 5 per le campagne di disinformazione mondiali. E
questo per facilitare un cambio «rapido e drastico» nell'isola.
Il «Seminario per la promozione della società civile a Cuba»,
messo in piedi da Beatriz Roque, dichiaratamente con il
budget dell'incaricato d'affari nordamericano James Cason, è
uno degli esempi di questa strategia, tant'è vero che i
dissidenti storici dell'isola non vi hanno voluto partecipare
per non prender parte a una manifestazione di persone che
«incontestabilmente prendono ordini e soldi dal governo degli
Stati uniti». E' singolare che Menard si faccia sovvenzionare
proprio da un'agenzia della CIA per «sostenere i giornalisti
arrestati o minacciati in Africa», cioè i giornalisti che quasi
sempre sono vittime, nel proprio lavoro, degli interessi che la
CIA difende. Ma forse non c'è da sorprendersi se i Reporters
sans frontières, hanno avuto come partner, via via,
Saatchi & Saatchi, il gigante mondiale della pubblicità,
Publicis, concessionaria delle strategie di promozione delle
forze armate USA, e perfino la Bacardi, la ditta di rum
che sovvenziona, in Florida, le attività eversive per annientare
il turismo a Cuba. Insomma, reporter proprio senza
frontiere di spregiudicatezza.
Dall'assemblea nazionale riunita a Roma
per il Convegno del Comitato 28 Giugno
"Lasciate in pace Cuba"
I partecipanti al convegno "Lasciate in pace Cuba" e al
presidio davanti all'ambasciata USA, indetto sabato 25 giugno dal "Comitato 28
Giugno" e che raggruppa varie realtà associative di solidarietà con Cuba, tra le
quali l'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, l'"Associazione La
Villetta" e Radio Città Aperta, con riferimento alla pubblicazione su Il
Manifesto del 22 giugno, in prima pagina, di un annuncio che pubblicizza "Il
libro nero di Cuba", osservano:
- "Il libro nero di Cuba" è a cura di "Reporters Sans Frontieres",
un'associazione che per sua stessa ammissione si fa finanziare da istituti
statunitensi impegnati nella destabilizzazione e nelle aggressioni a paesi che
rifiutano il dominio dell'imperialismo;
- "Il libro nero di Cuba" è farcito di falsità e diffamazioni in perfetta e
rivelatrice sintonia con la propaganda d'odio del governo USA che per decenni ha
alimentato e istigato campagne terroristiche contro il popolo cubano, come
ampiamente documentato nel recente convegno mondiale all'Avana "contro il
terrorismo, per la verità e la giustizia" che Il Manifesto ha preferito
ignorare.
- "Il libro nero di Cuba" si inserisce in una manovra imperialista a vasto
raggio tesa ad aggiungersi al terrorismo anticubano e al blocco economico
genocida, per liquidare non solo la rivoluzione cubana e la sua quasi
cinquantennale resistenza, ma tutto il grande movimento antimperialista e contro
la guerra che sta conoscendo una fase di grande forza soprattutto in America
Latina e che in Iraq esprime una vincente resistenza di popolo che merita tutta
la nostra solidarietà;
- Alla luce di queste considerazioni ci sembra assolutamente sbagliato e davvero
grave che un giornale considerato espressione di idee e posizioni definite nella
testata "comuniste", abbia potuto offrire spazi - seppure a pagamento e il fatto
non è affatto un'attenuante - a un'operazione che si inserisce in modo abietto
nella strategia di aggressione alla sovranità dei popoli, oltre che alla verità
e alla dignità dello stesso giornale.
Il Comitato 28 Giugno, l'Assemblea Nazionale riunita a Roma
il 25 giugno
Sbigottita per la pubblicità del "libro nero di Cuba"
sul Manifesto
di Marilisa Verti
Sono una collega, nonché lettrice del manifesto. Ho sempre sostenuto il
manifesto in vari modi, perché lo consideravo una voce pura. Sono rimasta
letteralmente sbigottita per la pubblicità del «Libro nero su Cuba» a cura di
Reporters sans frontières (RSF). Una volta si usava rifiutare la pubblicità, se
non era in sintonia con la testata. Adesso anche voi siete caduti così in basso?
Oppure siete in sintonia con il libro? Ma perché invece, una volta per tutte,
non dite chi è RSF, come vive, quanti soldi dedica Menard all'attività di aiuto
ai colleghi e quanti alle sue trame? Se non lo sapete, i fondi per l'attività
verso i giornalisti rappresentano solo il 7% del bilancio. Gli stanziamenti del
2003 destinati a RSF raggiungevano i 3.472.122 di euro. Secondo i rendiconti
annuali, l'11% proviene dallo stato, il 12% dal mecenatismo, il 4% dalle
quotazioni e dalle donazioni, il 15% dalla Commissione europea, il 10% da
operazioni e il 48% dalle pubblicazioni dell'organizzazione. Quest'ultima cifra
sorprende per la sua consistenza. La somma di 1.984.853 euro si dice provenga
soltanto dalla vendita dei calendari. Ognuno di questi costa circa 8 euro, il
che equivale a dire che RSF vende più di 248.106 calendari all'anno, cioè 680 al
giorno. Cosa abbastanza fuori misura per essere ritenuta credibile. Per quanto
riguarda le spese relative all'anno 2003, i conti dimostrano che solo il 7 per
cento dei finanziamenti viene destinato agli aiuti diretti ai giornalisti in
difficoltà. Cosa succede con il rimanente 93%? Lo si utilizza nel lavoro di
propaganda e disinformazione al servizio degli interessi di coloro che
finanziano RSF, cioè lo stato francese, i grandi gruppi economici e finanziari,
l'estrema destra cubana della Florida e il Dipartimento di stato nordamericano.
Con questi finanziamenti RSF è molto ricca e può permettersi di pagare 50 mila
dollari a Catherine Deneuve (come lei stessa ha ammesso), nonché ad altre star
per farle partecipare a una serata dal titolo «Cuba sì, Castro no». Se si
ragiona sul fatto che il gigante pubblicitario Saatchi e Saatchi, uno dei
pilastri della Publicis (con campagne per Mc Donald's, Coca-cola, Citibank, Walt
Disney e Us. Army, per citarne solo alcuni, ma anche la Bacardi, uno dei
maggiori finanziatori delle attività anticubane e i cui legali hanno anche
preparatol'elaborazione della legge Helms Burton), offre «gratuitamente» i suoi
servizi a Menard, forse si legge meglio il concetto di indipendenza di questo
signore e il tipo di battaglie che conduce. In più, come scrive Salim Lamrani,
ricercatore alla Sorbonne: «Secondo il bilancio del 2004 di RSF "almeno 53
professionisti dell'informazione hanno perso la vita nell'esercizio delle loro
funzioni o per esprimere le proprie opinioni". L'Iraq è, sempre secondo questo
rapporto, il paese più pericoloso per i giornalisti, con 19 inviati assassinati.
L'esercito statunitense, che occupa il paese dal 2003, è il maggior responsabile
di questa barbarie, visto che controlla il territorio. RSF, lungi dall'accusare
le autorità nordamericane, si limita a riprendere le dichiarazioni degli
ufficiali di Washington, qualificando gli spari che hanno causato la morte di
diversi giornalisti come `accidentali'. Nonostante tutto, l'Iraq non rappresenta
una priorità per il signor Menard. Nel continente americano, secondo RSF, "12
giornalisti hanno perso la vita" in Messico, Brasile e Perù. Tuttavia,
l'obiettivo dell'organizzazione parigina è ancora una volta Cuba, dove, bisogna
rimarcarlo, nessun giornalista è stato assassinato dal 1959. Anche il Venezuela
si trova nel mirino, nonostante non vi sia stato commesso nessun
assassinio.(...)».
Non bisogna dimenticare che il Piano di Bush nei confronti di Cuba prevede uno
stanziamento di cinque milioni di dollari per le Ong che realizzano attività
volte a dissuadere i turisti dal recarsi sull'isola, e che come esempio da
seguire pone proprio il nome di RSF che già ha aggredito in Francia i dipendenti
dell'ufficio del turismo cubano. E se questa è la premessa, che dire del libro?
Io l'ho letto per informarmi e sono stata colpita dalle menzogne e dalla
manipolazione. Gli avessero fatto pubblicità Il Giornale, oppure Libero,
capirei, ma che proprio il manifesto si presti a queste operazioni mediatiche
non l'avrei mai pensato.
Marilisa Verti
Caro direttore,
sono da anni un lettore del Manifesto e non avrei mai pensato che sul giornale
che ha segnato la mia vita e le mie idee fosse pubblicata in prima pagina una
pubblicità su un libro riguardante Cuba, messo insieme dalla CIA e intitolato
“Il libro nero di Cuba”. E sì, perchè è ormai noto a tutti che i famigerati
Reporters sans frontieres sono sovvenzionati dall’agenzia di spionaggio del
governo USA, attraverso il NED, National Endowment for Democracy, come ha dovuto
ammettere Robert Menard, presidente di questa associazione di disinvolti
giornalisti, in una dichiarazione ripresa da Gianni Minà in un articolo,
pubblicato proprio dal Manifesto. Ora è chiaro come i RSF abbiano deciso di
svolgere il lavoro che è stato loro richiesto al momento dell’elargizione del
contributo. Devono inquinare ogni informazione su Cuba, per creare un clima che
giustifichi qualunque atto futuro del governo degli Stati Uniti contro l’isola.
Ma doveva essere proprio il Manifesto a prestarsi a questa esigenza?
Un saluto preoccupato.
Federico Mastrogiovanni
Caro direttore,
certo che la pubblicità di prima pagina del Manifesto sia riservata al "Libro
nero di Cuba", opera degli spregiudicati Reporter senza frontiere, mi risulta
per lo meno sorprendente. Specie considerando che il prologo al libro è di
Michele Farina, una delle colonne dell'informazione dei vari Feltri o Belpietro.
Senza contare che, per gente come me (sono di origine latinoamericana), Cuba non
è assolutamente un "sogno in frantumi", ma l'esempio di un orgoglio e di una
resistenza che continua a far ben sperare il continente. Non nego che anche Cuba
commetta i suoi errori, ma la dignità e il rispetto umano della revolucion non
ha eguali nel continente straziato dall'economia neoliberale e dalle prepotenze
delle multinazionali e degli Stati Uniti, che stanno dietro a queste campagne di
stampa e di prodotti editoriali. Ma forse il nostro mondo visto dai salotti
europei ha una apparenza diversa. Speravo per una certa parte di persone, non
per il Manifesto.
Quando ci racconterete chi sono veramente i Reporters sans frontieres?
Un lettore stupito