05/04/2005

 

 

MIREYA CASTAÑEDA (di GI)

 

A pochi giorni di distanza dalle elezioni municipali a Cuba (il 17 aprile prossimo), esistono ragioni per confrontare il processo elettorale complessivo dell’Isola e quello degli Stati Uniti. Una di queste ragioni è, per esempio, che queste saranno le prime elezioni dopo la presentazione, da parte dell’Amministrazione Bush, del cosiddetto Piano di assistenza ad una Cuba libera.

 

Il Capitolo 3 del suddetto piano, un progetto apertamente annessionista firmato dal presidente Bush nel maggio 2004, recita: Instaurazione delle istituzioni democratiche, del rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto, della giustizia e della riconciliazione nazionale.

 

Questo paragrafo, tra le misure concrete, propone di creare e rafforzare, con il sostegno e l’assistenza degli Stati Uniti, un sistema elettorale democratico per la redazione e riforma delle leggi elettorali e la formazione dei funzionari elettorali sulle questioni attinenti all’iscrizione dei votanti, il mantenimento dei censimenti elettorali ed i procedimenti di votazione.

 

Riassumendo, verrebbe eliminata con un tratto di penna la legge elettorale vigente in quanto differisce completamente dal processo elettorale nordamericano e perché, per dirla con il presidente del Parlamento cubano Ricardo Alarcón, "differisce da quella che loro chiamano democrazia".

 

Il primo passo è quello di proporsi un’equazione e risolvere incognite in cerca dell’uguaglianza finale. Le variabili possono essere molte ma prenderemo in considerazione soltanto la selezione dei candidati ed il costo delle campagne politiche.

 

Avverto l’impossibilità di questa equazione. Già costo e campagna politica sono termini che non si adattano al processo cubano, mentre negli Stati Uniti l’elevato costo di queste campagne è un tema ampiamente discusso.

 

Per esempio, il Center for responsive politics, un’organizzazione non governativa nordamericana, stima che il denaro in gioco nella campagna del 2004 ammontava a più di 3 miliardi e 900 milioni di dollari, dei quali 1 miliardo e 200 milioni sono stati utilizzati direttamente nella contesa presidenziale.

 

Un’altra inchiesta, compiuta dal Center for Public Integrity, ha evidenziato che le imprese finanziatrici delle campagne di Bush e Kerry, il candidato democratico nel 2004, erano le stesse. Quattro imprese si sono collocate nella lista dei dieci principali donatori di entrambi i candidati: Goldman Sachs, Citigroup, UBS Ag Inc e Morgan Stanley Dean Witter. A quanto pare pensavano che sia l’uno che l’altro candidato avrebbe favorito i loro interessi.

 

"Tutto questo denaro della campagna, è chiaro, arriva ad un prezzo molto alto", ha spiegato Charles Lewis, direttore esecutivo del CPI, organizzazione indipendente apartitica tra le più quotate per quanto riguarda le inchieste su denaro e politica.

 

"Si potrebbe chiamare il ‘prezzo del potere’ nella nostra democrazia commerciale, dove uno paga per competere, ma ognuno dei principali candidati presidenziali nell’elezione del 2004 ha offerto favori politici ai principali contribuenti della sua campagna".

 

Nel suo recente libro L’acquisto del presidente, Lewis argomenta che nel sistema elettorale statunitense, di fatto, i grandi interessi finanziari selezionano i candidati di ambedue i partiti politici nazionali. "I poteri reali esistenti in questo paese non si trovano in nessuna scheda elettorale e non rendono conto a nessuno".

 

Il rapporto del CPI puntualizza che "l’investimento non è niente al confronto con le cascate di miliardi risultanti dalla legislazione".

 

"Inoltre", afferma, "le imprese potenti sostengono l’elezione di candidati che sono già ricchi. Gli aspiranti presidenziali del 2004 Bush e Kerry ed i loro vicepresidenti Dick Cheney e John Edwards sono tutti milionari.

 

Kerry e sua moglie Teresa Heinz Kerry, posseggono una fortuna di 747 milioni di dollari, 14,8 dei quali appartengono al candidato. Il patrimonio del vicepresidente Dick Cheney e di sua moglie Lynn Cheney ammonta a 111,2 milioni di dollari. Edwards possiede una fortuna di 44,6 milioni di dollari, mentre quella di Bush si aggira attorno ai 18,9 milioni di dollari.

 

Tutti questi dati, la selezione dei candidati e le loro fortune personali, i centri del potere, la democrazia commerciale ed il finanziamento delle campagne, costituiscono altri aspetti dell’impossibilità di una comparazione.

 

A Cuba è diverso.

 

Le prossime elezioni municipali, che dal 1976 si svolgono ogni due anni, si terranno il 17 aprile prossimo e, nelle situazioni dove risulti necessario, verrà effettuato un secondo turno il 24 dello stesso mese.

 

Il processo elettorale che porterà al voto (segreto e non obbligatorio) è iniziato nel gennaio scorso ed il suo passaggio più importante si è appena concluso (24 febbraio-24 marzo): lo svolgimento delle assemblee di nomina dei candidati a delegato. E’ un processo molto partecipato.

 

Si sono tenute 41.606 assemblee di quartiere, alle quali ha partecipato più dell’84% della popolazione elettorale (a partire dai 16 anni), che si stima superiore agli otto milioni di persone. In questi appuntamenti i residenti hanno nominato (per alzata di mano) i candidati, scegliendo non i più ricchi e potenti, ma quelli con maggiori virtù, meriti, conoscenze e capacità.

 

A partire dal 27 marzo è iniziata quella che dovrebbe chiamarsi campagna elettorale, ma che a Cuba significa semplicemente la pubblicazione delle foto e delle biografie dei 32.640 candidati nominati (80% con livello scolastico universitario e medio, 28% donne, 23% giovani tra i 16 ed i 35 anni).

 

Un’altra differenza è che i delegati eletti compiono le loro funzioni di servizio alla comunità senza ricevere in cambio alcun salario e senza abbandonare le loro professioni od occupazioni.

 

Roberto Díaz Portuondo, ministro della Giustizia e presidente della Commissione Nazionale Elettorale, ha considerato che è proprio la nomina dei candidati a costituire ad essere uno degli elementi che rende il sistema democratico cubano unico al mondo.

 

Tornando al Capitolo 3 del Piano Bush, soffermiamoci sulla proposta di compiere un altro censimento elettorale. La sua portata è stata spiegata da Ricardo Alarcón. Nel testo si ritiene "necessario confezionare una lista di elettori completamente nuova" e "come si fa negli USA". Introdurrebbero forzatamente qui il voluntarly self-enrollment (autoiscrizione volontaria), un sistema identico a quello funzionante negli Stati Uniti e delle cui insufficienze danno conto gli organi di stampa, le organizzazioni in difesa dei diritti civili e gli intellettuali statunitensi, segnalando i regolamenti e le restrizioni alle quali si devono sottoporre milioni di cittadini di quel paese per essere riconosciuti come votanti".

 

Attualmente nell’Isola l’iscrizione alle liste elettorali è d’ufficio, pubblico e universale per tutti coloro che abbiano compiuto 16 anni d’età, senza discriminazioni politiche, razziali, religiose o sessuali ed apparire in esse è un diritto.

 

Un’equazione tra le elezioni negli USA e quelle a Cuba? Impossibile.