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Cinque eroi contro il
terrorismo dei "buoni"
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Otto anni fa, il 12 settembre
1998, cinque cittadini cubani furono arrestati dalle autorità federali degli
Stati Uniti a Miami. Su di loro pendevano 26 capi d'imputazione relativi ad
altrettante violazioni delle leggi federali USA. Ventiquattro di queste sono di
ordine tecnico (vanno dalla falsificazione di documenti alla mancata
registrazione come agenti di servizi segreti stranieri) e, tutto sommato, lievi.
Non ci sono accuse di porto abusivo di armi, né di atti violenti contro persone
o cose. Gerardo Hernandez, Ramon Labanino, René Gonzalez Fernando Gonzalez e
Antonio Guerriero erano agenti dei servizi segreti dell'Avana impegnati in
attività antiterroristiche. Cuba, nella convinzione che la guerra al terrorismo
fosse diventata davvero una priorità per gli Stati Uniti, consegnò infatti un
lungo e dettagliato dossier sulle attività terroristiche anticubane organizzate
in Florida. L'FBI, preso atto della documentazione, agì immediatamente: lasciò
liberi i terroristi ed arrestò gli antiterroristi.
Gli unici cubani in carcere negli USA sono gli antiterroristi, i terroristi si possono trovare nelle foto ufficiali della Casa Bianca. Alcuni di loro, da Orlando Bosh a Posada Carriles a Pepe Hernandez, sono infatti ritratti in foto ufficiali con la famiglia Bush, nonostante siano indiziati di crimini orrendi, quali l'esplosione in volo di un aereo della Cubana de Aviaciòn nei cieli delle Barbados avvenuto il 6 Ottobre del 1976 e costato 73 morti; o dell'uccisione di Orlando Letelier, ex ministro degli Esteri del governo cileno di Unidad Popular guidato da Salvador Allende, Il 21 Settembre del 1976, Letelier venne fatto saltare in aria da una bomba collocata nella sua vettura in una strada di Washington. Insieme a lui morì la cittadina statunitense Ronnie Moffit.
La storia della Rivoluzione cubana s'intreccia purtroppo con quella del terrorismo diretto e organizzato negli USA contro di lei; un terrorismo che dal 1959 ha prodotto una invasione militare (fallita), 3478 morti, 2099 feriti, 294 tentativi di dirottamenti marittimi ed aerei, 697 atti terroristici, 600 tentativi di assassinio del suo leader, 1821 miliardi di dollari di danni diretti e dimostrati procurati all'economia dell'isola. Il lavoro dei cinque cubani detenuti negli Stati Uniti aveva almeno impedito 44 attentati ulteriori attentati, salvando la vita a chissà quante persone. Se fossero stati americani avrebbero ricevuto una medaglia, sono cubani e marciscono in galera.
Il processo, svoltosi in Florida, durò sette mesi, un record per i processi penali statunitensi. La difesa presentò più di 70 testimoni a favore, tra i quali due generali dell'esercito ed un ammiraglio ora in pensione, ed un ex assistente presidenziale. Lo stesso Pubblico Ministero ammise che non venne trovato nemmeno un foglio contenente informazioni riservate destinate alla sicurezza nazionale. Ciò nonostante, l'accusa fu quella di spionaggio. Vennero accusati di tentativo di carpire segreti militari agli USA e di attività contro la sicurezza nazionale. Ma se il loro compito era quello, esclusivo, d'infiltrarsi nelle organizzazioni terroristiche cubanoamericane e, quindi, nulla aveva a che vedere con lo spionaggio antistatunitense, risulta paradossale o illuminante, secondo i punti di vista, che proprio questa attività sia stata considerata dal tribunale una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Appare quasi un'ammissione di colpa. E sarà forse per questo che alcune delle condanne comminate, oltre a diversi ergastoli, sanciscono in sentenza "il divieto", una volta eventualmente liberi, "di frequentare luoghi conosciuti per la presenza di terroristi o di attività terroristiche nel territorio USA". Che sta a significare, indirettamente, che vi sono terroristi e luoghi di ritrovo che si conoscono e che non solo non vengono colpiti, ma dai quali addirittura si deve stare alla larga. Non disturbare il manovratore?
Gerardo, Ramon, Renè, Fernando e Antonio da otto anni sono detenuti in cinque diverse carceri degli States e subiscono vessazioni destinate di solito ai peggiori delinquenti, quali le restrizioni alle visite familiari. Il contrasto evidente con il trattamento riservato alla belva sanguinaria Luis Posada Carriles, arciterrorista cubanoamericano definito "il Bin Ladin delle Americhe", che gode di ogni tutela governativa, spiega più dei milioni di parole con le quali la retorica statunitense elegge la Casa Bianca a leader della lotta al terrorismo l'ipocrisia su cui poggia tutto l'impianto dell'Amministrazione Bush.
L'Amministrazione Bush non ha gradito il pronunciamento unanime dei magistrati e il ministro della Giustizia, Alberto Gonzalez, di origini cubane e in precedenza consigliere di Bush, ha presentato istanza di appello contro la sentenza della Corte di Atlanta per chiederne l'annullamento. E' un caso più unico che raro, vista l'unanimità del pronunciamento della Corte di Atlanta e le motivazioni espresse, giudicate unanimemente perfette in punta di diritto.
Come ha ripetutamente affermato Leonard Weinglass, avvocato dei cinque detenuti, essi non furono condannati per violazione delle leggi degli Stati Uniti, ma per aver scoperto quelli che, sì, le violano. Si sono infiltrati in una rete terroristica che, per il fatto di poter essere infiltrata, evidentemente esiste e non è inviolabile. Se si vuole. Ma se i nemici degli Usa diventano terroristi e i terroristi amici degli USA combattenti per la libertà, allora diventa difficile separare lo stretto interesse politico della Casa Bianca dalla ipocrita guerra al terrore planetario.
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