La singolare storia di cubani.
Volevano distruggere gli Stati Uniti?
9 gennaio2006
L’8 novembre, per la quattordicesima volta dal 1992, l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha condannato con 182 voti contro 4 l’embargo imposto a Cuba dagli Stati uniti. Pur avendo già provocato il criticatissimo irrigidimento del regime nei confronti dell’opposizione, Washington non si limita a questo blocco economico. Il suo sostegno ad azioni violente contro l’isola è in aperta violazione del diritto internazionale. Ed è all’origine dell’ingiusto processo di cui sono state vittime in Florida cinque cubani.
di Leonard Weinglass
«Se qualcuno protegge un terrorista, sostiene un terrorista o finanzia un terrorista è colpevole quanto il terrorista» George Bush, 26 agosto 2003.
Accusati di aver compiuto 26 reati nei confronti delle leggi federali americane, cinque cubani - Geraldo Hernández, Antonio Guerrero, Ramon Labañino, Fernando González e René González - sono stati arrestati a Miami (Florida) il 12 settembre 1998. I «cinque», come ormai sono chiamati, erano arrivati negli Stati uniti dall’Avana, con la missione di infiltrarsi nelle organizzazioni armate create dalla comunità cubana esiliata, tollerate o addirittura protette in Florida dai governi americani succedutisi, e di scoprire le loro eventuali attività terroristiche contro Cuba.
L’isola ha subito significative perdite umane (circa 2.000 morti) e danni ingenti a causa delle aggressioni di cui è stata vittima per decenni. Le sue proteste presso il governo degli Stati uniti e delle Nazioni unite sono state inutili. All’inizio degli anni Novanta, mentre Cuba si sforzava di sviluppare il turismo, gli anticastristi di Miami avevano scatenato una violenta campagna di attentati diretta a dissuadere gli stranieri a recarsi sull’isola. Nel 1997 una bomba è stata scoperta in uno degli aeroporti dell’Avana, altre sono esplose in autobus e in alberghi. Un turista italiano - Fabio Di Celmo - è stato ucciso e decine di altri sono rimasti feriti. Alcuni impianti turistici sono state mitragliati da imbarcazioni provenienti da Miami.
Al momento dell’arresto, i «cinque» non hanno opposto resistenza.
Non avevano la missione di ottenere dei segreti militari americani, ma di sorvegliare dei criminali e di informare L’Avana dei loro eventuali piani di aggressione (1). Agivano contro il terrorismo. Tuttavia sono stati mandati in prigioni di massima sorveglianza, dove sono rimasti per diciassette mesi insieme ai prigionieri più pericolosi fino all’inizio del loro processo. Quando quest’ultimo è terminato, sette mesi dopo, nel dicembre 2001 (tre mesi dopo gli odiosi attentati dell’11 settembre), sono stati condannati al massimo delle pene previste: Hernández a due ergastoli, Guerrero e Labañino all’ergastolo; gli altri due, Fernando e René González rispettivamente a diciannove e quindici anni di prigione.
Due pesi, due misure Ventiquattro dei loro capi d’accusa, di carattere tecnico e relativamente minori, si riferiscono all’utilizzo di documenti falsi e al mancato rispetto dell’obbligo di dichiararsi come agenti stranieri. Nessuna di queste imputazioni comprende l’uso di armi, atti di violenza o la distruzione di beni.
Nulla è più rivelatore del contrasto fra la condotta del governo americano in questo caso e il suo atteggiamento nei confronti di Orlando Bosch e Luis Posada Carriles. Queste due persone hanno partecipato all’organizzazione di un terribile attentato dinamitardo che provocò l’esplosione in volo di un Dc-8 di linea cubano, il 6 ottobre 1975, con la morte di 73 civili innocenti.
Quando Bosch ha chiesto un permesso di soggiorno negli Stati uniti nel 1990, l’inchiesta ufficiale del Dipartimento di giustizia affermava: «Per diversi anni è stato coinvolto in attacchi terroristici all’estero, si è detto favorevole ed è implicato nella realizzazione di attentati e sabotaggi».
Nonostante ciò, si è visto concedere il permesso di soggiorno dal presidente George Bush padre.
Arrestato nel 1976 in Venezuela e condannato per l’attentato contro il Dc-8 della Cubana de Aviación, Posada Carriles è «evaso» dalla prigione di San Juan de los Morros nel 1985, con l’aiuto di influenti «amici»(2). Ha ammesso pubblicamente, dal Salvador dove risiedeva, di essere responsabile degli attentati dinamitardi compiuto fra luglio e settembre 1997 all’Avana (fra cui quello che ha provocato la morte di Fabio Di Celmo) (3).
Dopo il suo arresto nel novembre 2000, mentre preparava un attentato con l’esplosivo C-4 contro il presidente Fidel Castro che avrebbe potuto fare centinaia di vittime, durante il decimo vertice iberico-americano a Panama, il 20 aprile 2004 un tribunale locale lo ha condannato a otto anni di reclusione.
Tuttavia Posada Carriles ha potuto comunque beneficiare dell’ospitalità del governo degli Stati uniti (impegnato peraltro in una «lotta mondiale contro il terrorismo»), dopo aver ricevuto insieme a tre complici una grazia «per ragioni umanitarie» dal presidente di Panama Mireya Moscoso, due giorni prima della fine del suo mandato, il 26 agosto 2004.
Infatti dopo un breve soggiorno in Honduras, è stato discretamente «rimpatriato» negli Stati uniti nel marzo 2005.
Anche se la sua presenza sul territorio americano era un segreto di Pulcinella, è stato fermato solo dopo aver dato una conferenza stampa. Sistemato a spese delle autorità in una residenza particolare presso un centro di detenzione, Posada Carriles non è attualmente sottoposto ad alcuna procedura giudiziaria ed è oggetto solo di misure amministrative per la mancanza del permesso di soggiorno. Di conseguenza può essere espulso verso un paese di sua scelta, poiché gli Stati uniti si rifiutano di estradarlo in Venezuela, che lo reclama e dove dovrebbe rispondere delle accuse di terrorismo e di evasione. I «cinque» invece sono stati isolati e posti in prigioni di massima sicurezza, a centinaia di chilometri di distanza gli uni dagli altri
Due di loro si vedono rifiutare da sette anni la visita delle loro mogli, in violazione delle leggi americane e delle norme internazionali. Il loro processo è durato più di sette mesi. Più di 70 persone hanno testimoniato, compresi due generali e un ammiraglio in pensione, un consigliere della presidenza, tutti presentati dalla difesa (4).
Gli atti del processo riempiono 119 volumi di trascrizioni, mentre le testimonianze e i fascicoli di istruzione formano altri 15 volumi.
Sono stati presentati più di 800 documenti probatori, alcuni di più di 40 pagine. I 12 giurati, guidati da un presidente che ha espresso apertamente la sua ostilità nei confronti di Castro, hanno dichiarato i «cinque» colpevoli di 26 capi d’accusa, senza chiedere alcun chiarimento o una nuova lettura delle testimonianze, fatto insolito in un processo lungo e complesso come questo.
Le due principali imputazioni si basano su un’accusa - utilizzata spesso in questo tipo di caso - fondata su considerazioni politiche, sull’appartenenza a una minoranza o sulla nazionalità dell’accusato: la «cospirazione» (accordo illegale fra due o più persone per compiere un reato). Non c’è bisogno che il reato sia commesso; tutto quello che deve fare l’accusa è dimostrare, sulla base di prove circostanziali, che un accordo «deve essere esistito». Del resto raramente si trovano prove reali e dirette di un tale accordo, se non quando uno dei partecipanti le fornisce o confessa. Una situazione che in questo caso non si è verificata.
La prima accusa di cospirazione affermava che tre dei «cinque» si erano messi d’accordo «per spionaggio». Fin dall’inizio il governo ha detto che non era tenuto a provare il reato di spionaggio, ma semplicemente l’accordo per spiare. Una volta liberati dall’obbligo di presentare le prove del reato, i procuratori si sono dedicati a convincere la giuria che questi cinque cubani dovevano essersi messi d’accordo su questo punto.
Nella sua arringa iniziale, il procuratore ha ammesso che i «cinque» non avevano nelle mani alcuna pagina di informazione classificata «top secret» dal governo, anche se quest’ultimo era riuscito a ottenere più di 20.000 pagine della loro corrispondenza con Cuba - l’esame di questa corrispondenza è stata affidata a uno degli ufficiali più importanti per le questioni di intelligence al Pentagono (5). Quando è stato interrogato a questo proposito, quest’ultimo ha ammesso di non ricordarsi di aver notato alcuna informazione riguardante la difesa nazionale degli Stati uniti. Tuttavia secondo la legge in questione, questa informazione deve essere accertata per poter parlare di un reato di spionaggio.
Inoltre l’unico elemento sul quale si è fondata l’accusa è che uno dei «cinque», Guerrero, lavorasse per una fonderia della base navale di Boca Chica, nel sud della Florida. Completamente aperta al pubblico, questa base possedeva un’area in cui i visitatori potevano fotografare gli aerei che si trovavano sulla pista. Mentre vi lavorava, Guerrero non ha mai chiesto un lasciapassare di sicurezza. Non aveva il diritto di entrare nelle zone di accesso limitato e non ha mai cercato di farlo.
Durante i due anni che hanno preceduto il suo arresto, e nel corso di quelli durante i quali l’Fbi lo ha sorvegliato, nessun agente ha osservato in lui il minimo comportamento irregolare. Guerrero aveva come solo compito quello di rilevare e informare L’Avana su «quello che poteva vedere» nell’osservazione «delle attività pubbliche».
Ciò includeva delle informazioni alla portata di tutti sulla presenza degli aerei. Era inoltre incaricato di ritagliare gli articoli della stampa locale sulle unità militari che si trovavano nella regione.
Alcuni militari superiori dell’esercito e dei servizi segreti americani hanno testimoniato che Cuba non costituiva una minaccia militare per gli Stati uniti e che non c’era alcuna informazione militare da ottenere a Boca Chica. «L’interesse dei cubani per il genere di informazioni presentate al processo era di sapere se, realmente, stessimo preparando un’azione armata contro di loro» (6), ha precisato uno di questi militari.
Un’informazione di pubblico dominio non può far parte di un’accusa di spionaggio. Tuttavia, dopo aver ascoltato a tre riprese la fantasiosa affermazione dell’accusa, secondo la quale i «cinque» «avevano intenzione di distruggere gli Stati uniti», la giuria, trascinata più dalla passione che dalla legge e dalle prove, li ha dichiarati colpevoli.
Sette mesi dopo una seconda accusa di cospirazione si è aggiunta alla prima. Questa ha riguardato Hernández, al quale si rimproverava di aver cospirato con altri funzionari cubani, che non erano accusati.
L’obiettivo era quello di abbattere due aerei da turismo pilotati da esiliati cubani dell’organizzazione Hermanos al rescate (Fratelli del salvataggio) nel momento in cui fossero entrati, provenienti da Miami e nonostante gli avvertimenti delle autorità, nello spazio aereo cubano, che in precedenza avevano già violato in diverse occasioni.
In effetti i Mig cubani li hanno intercettati e, dopo gli avvertimenti di rito, li hanno mitragliati uccidendo le quattro persone a bordo.
Colpevole di reato inventato L’accusa ha riconosciuto di non avere alcuna prova a proposito di un preteso accordo fra Hernández e gli ufficiali cubani sul fatto che gli aerei sarebbero stati abbattuti e sul modo in cui ciò sarebbe avvenuto. Di conseguenza l’obbligo della legge di provare «al di là di ogni ragionevole dubbio» che un accordo del genere ha avuto luogo non è stato soddisfatto. Il governo ha ammesso davanti alla corte che si trovava di fronte a un «ostacolo insormontabile». Ha anche proposto di modificare la sua accusa, cosa che la corte d’appello non ha accettato. Nonostante tutto la giuria ha dichiarato Hernández colpevole di questo reato inventato.
I cinque cubani hanno fatto appello alle sentenze presso l’11° corte d’appello di Atlanta (Georgia). Dopo una minuziosa revisione dei documenti, un collegio di tre giudici ha reso pubblica il 9 agosto 2005 un’analisi dettagliata in 93 pagine del processo e delle prove.
Il collegio ha annullato il verdetto, sottolineando che i «cinque» non avevano beneficiato a Miami di un processo equo. Con i suoi circa 650.000 esiliati cubani che hanno dato a Bush i voti mancanti per la sua vittoria alle elezioni presidenziali del 2000, questa città è stata considerata dalla corte d’appello federale «così ostile e irrazionale» nei confronti del governo cubano da non poter essere la sede di un processo equo dei cinque accusati. Inoltre il comportamento dei procuratori, che hanno presentato degli argomenti esagerati e senza fondamento ai membri della giuria, ha rafforzato questi pregiudizi, così come hanno fatto le informazioni date dalla stampa anticastrista prima e durante il processo.
Si è quindi deciso di istituire un nuovo processo. Al di là del riconoscimento del fatto che i diritti fondamentali degli accusati erano stati violati, la corte ha ammesso, per la prima volta nella storia della giurisprudenza americana, le prove presentate dalla difesa a proposito degli attentati sanguinosi realizzati contro Cuba dalla Florida, citando anche in margine il ruolo di Posada Carriles definito un «terrorista».
Questa decisione del collegio di tre giudici ha spiazzato l’amministrazione Bush. La sentenza peraltro era stata preceduta dal rapporto del gruppo di lavoro delle Nazioni unite sulle detenzioni arbitrarie (7), che aveva considerato illegittima la detenzione dei «cinque» e aveva chiesto al governo degli Stati uniti di prendere delle misure per rimediare a questa ingiustizia.
Tuttavia l’ex consigliere di Bush e ministro della Giustizia degli Stati uniti Alberto Gonzáles ha preso l’insolita decisione di interporre appello, chiedendo al tribunale di rivedere la decisione presa dal collegio di giudici, una procedura che raramente ottiene successo, soprattutto quando la decisione dei tre giudici è presa all’unanimità ed è motivata in modo così esteso. Ma con grande sorpresa di molti avvocati che seguono il caso, i giudici si sono trovati d’accordo, il 31 ottobre 2005, per rivedere questa decisione.
I «cinque» non sono stati giudicati perché avevano violato la legge americana, ma perché il loro lavoro ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica chi - gli anticastristi - lo faceva. Infiltrandosi nelle reti criminali esistenti in Florida, i «cinque» hanno rivelato l’ipocrisia di quella lotta al terrorismo di cui gli Stati uniti si vantano di essere i primi sostenitori.
note:
* Avvocato americano che ha difeso (fra gli altri) Angela Davis e Mumia Abu-Jamal.
(1) Una parte di quello che hanno scoperto sulle attività terroristiche degli esiliati cubani (in particolare le informazioni riguardanti le bombe messe negli alberghi nel 1997) è stata trasmessa all’FBI da diplomatici presenti all’Avana. Cosa che ha permesso il loro stesso arresto!
(2) I documenti pubblicati il 10 maggio 2005 sul sito web degli archivi della sicurezza nazionale dell’università George Washington mostrano che Posada Carriles è stato utilizzato dalla Cia dall’epoca dell’invasione della baia dei Porci (marzo-aprile 1961) fino al 1974; www.gwu.edu/narchiv/
(3) Confessioni pubblicate sul New York Times il 12 e 13 luglio 1998 e trasmesse pochi giorni dopo da una rete televisiva in lingua spagnola collegata alla Cbs.
(4) Il generale James R. Clapper Jr. (in pensione), ex direttore dell’Agenzia di informazione per la difesa (Dia); Edward Breed Atkeson, general maggiore della fanteria; Eugene Carroll, contrammiraglio in pensione; Charles Elliott Wilhelm, generale in pensione dei fanti di marina, ex comandante in capo del comando sud degli Stati uniti (Southcom); Richard Nuncio, ex consigliere del presidente James Carter.
(5) Il Director of Defense Intelligence, un generale a tre stelle.
(6) General maggiore Edward Breed Atkeson (Us Army, Us Defense Intelligence College).
(7) Dipendente dalla Commissione dei diritti dell’uomo. (Traduzione di A. D. R.)
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