La lunga lotta per

 

liberare i cubani

 

L'avv. Weinglass è il difensore di uno degli agenti dell'Avana, infiltrati nei gruppi terroristi dell'esilio anti-Castro di Miami, in carcere negli Usa dal '98. Condannati a svariati ergastoli per «cospirazione». «Un processo viziato, una sentenza politica», dice il penalista che ha difeso Angela Davis, Jane Fonda e Mumja Abu-Jamal
 

 

 G.Colotti, Roma 9 giugno 2006 tratto da http://www.ilmanifesto.it

 

 

    30 marzo 2006

 

 

«Un caso dichiaratamente politico: uno dei pochi nella giurisprudenza statunitense in cui l'ingiustizia prevale apertamente sul diritto». Così il celebre penalista Leonard Weinglass definisce la vicenda giuridica dei 5 cubani, detenuti dal '98 nelle prigioni nordamericane con l'accusa di aver cospirato contro il governo.


Un caso - afferma ancora Weinglass - «simile a quello di Anthony Russo, che mostrò le menzogne di Nixon durante la guerra del Vietnam». Weinglass, già difensore di Angela Davis, Jane Fonda e di Mumja Abu-Jamal e oggi del cubano Antonio Guerrero, condannato all'ergastolo insieme ai suoi 4 compagni - era in partenza per Roma. Doveva intervenire ieri in un albergo di Roma insieme a Gianni Minà e all'eurodeputato dei Comunisti italiani Marco Rizzo in un'iniziativa, organizzata da Italia- Cuba sulla vicenda. Ma, a seguito di un malore, il medico gli ha proibito di viaggiare in aereo. All'iniziativa, sarà presente solo Roberto Gonzalez Sehwerert, altro membro del collegio di difesa (e fratello di uno dei 5).


Al telefono, Weinglass ricapitola il caso dei cinque e spiega le ragioni del suo impegno a loro favore. La vicenda ha inizio del 1998. Allora, 5 agenti segreti cubani, 2 dei quali cittadini statunitensi, vengono arrestati a Miami, in Florida. Contro di loro, 26 capi d'imputazione per altrettante violazioni delle leggi federali nordamericane: «24 - precisa l'avvocato - sono accuse di carattere tecnico: documenti falsi per alcuni di loro, mancata registrazione come agenti segreti presso il procuratore generale. Le altre 2, invece, attengono alla cospirazione». «E' un teorema giudiziario applicato quando esistano implicazioni politiche - spiega Weinglass - e punisce un accordo illegale che intercorra fra almeno due persone: passibile di ergastolo anche quando il progetto sia rimasto allo stadio intenzionale. Basta dimostrare con prova circostanziale che è esistito il patto». Nel caso dei 5, è valso il presunto accordo.


Da qualche anno, i 5 sono infiltrati tra gli anticastristi di Miami e - come racconta lo scrittore Gabriel Garcia Marquez nel volume Il terrorismo degli Stati uniti contro Cuba, curato da Gianni Minà e edito da Sperling& Kupfer - è in corso una delicata missione diplomatica cubana presso il governo Usa. Ma questo non emerge.


I 5 - dice ancora Weinglass - non negano la loro attività «patriottica», e «in base alle leggi statunitensi, si appellano alla causa legittima», applicabile nel caso in cui «si commetta una violazione tecnica per evitare un danno maggiore in termini di vite umane». Le vite umane, sono quelle dei cittadini cubani: oltre 2.000 sono morti a causa degli attentati, subiti da Cuba via Miami. Ma i giudici della Florida - uno stato che conta circa 650.000 esiliati cubani, il cui voto ha avuto un peso determinante nell'elezione di Bush nel 2000 - valutano diversamente. E così - racconta ancora Weinglass - 7 mesi dopo, arriva l'imputazione più grave nei confronti di Gerardo Hernandez, accusato di aver «cospirato per abbattere 2 aerei da turismo di esiliati anticastristi, sconfinati nello spazio cubano». Gli aerei furono abbattuti il 24 marzo '96 e 4 esiliati morirono.


In base alla legge sulla cospirazione, racconta ancora il penalista, «Hernandez, infiltratosi nel gruppo Hermanos al Rescate, organizzazione che finanziava i voli, non è stato accusato di alcun atto specifico, ma di aver fatto parte di una cospirazione tesa ad abbattere gli aerei». Risultato? Gerardo Hernandez è condannato a due ergastoli, Antonio Guerrero e Ramon Labanino a uno, Fernando Gonzalez a 19 anni, e René Gonzales a 15. E' il dicembre 2001, a tre mesi dall'attentato dell'11 settembre e in piena «guerra al terrorismo». Il processo, cominciato nell'autunno del 2000, si è concluso 7 mesi dopo: il più lungo processo penale degli Stati uniti, che ha preso avvio «nell'unica città degli Stati uniti - dice Weinglass - in cui i musicisti che arrivano da Cuba non possono suonare -. Nella ricerca dei giudici popolari - aggiunge - furono scartati i giovani e gli afro-americani e il portavoce della giuria dichiarò che gli sarebbe piaciuto vedere la caduta del dittatore Castro».


Dopo la sentenza del 2001, i 5 ricorrono presso la Corte d'appello di Atlanta in Georgia, competente per la Florida. La lunga serie di ricorsi ottiene il primo esito favorevole il 9 agosto 2005: i giudici di Atlanta annullano all'unanimità la sentenza emessa a Miami, viziata da «parzialità». Ma il 27 settembre 2005, il procuratore generale della Florida si appella e chiede ai giudici di tornare sulla decisione. E così avviene il 31 ottobre 2005. Da allora, il collegio allargato di 12 magistrati, chiamato a decidere, non si è ancora espresso. «Possono metterci ancora altri mesi», dice Weinglass. Se va bene, i 5 avranno un altro processo. E se va male? «Ci sono ancora due appelli - dice Weinglass - ma intanto la priorità è fare uscire gli accusati dalla condizione di isolamento in cui si trovano, far sì che ottengano i permessi di visita. E' un caso che fa discutere e mobilita studenti, artisti, operai».