Tra l’8 e il 9 dicembre, i
rappresentanti di 12 nazioni latinoamericane, tra i quali il brasiliano Lula da
Silva, il venezuelano Hugo Chavez, la cilena Michelle Bachelet e l’uruguaiano
Tabarè Vasquez, si sono riuniti a Cochabamba, in Bolivia, per il secondo
incontro della "Comunità della Nazioni Sudamericane". L’organizzazione, nata nel
2004, si propone di favorire la solidarietà e l’integrazione regionale favorendo
lo sviluppo delle relazioni commerciali interstatali e la cooperazione
energetica. L’incontro si è svolto in un momento particolare: pochi giorni dopo
la vittoria elettorale di Chavez, che rappresenta l’ultima tappa - in ordine di
tempo - di quella ondata di vittorie di candidati progressisti che, tra la fine
del 2005 e l’intero 2006, ha interessato molte nazioni del continente
latinoamericano e nello stesso giorno in cui moriva Augusto Pinochet, uno dei
più sanguinari dittatori che la regione abbia mai conosciuto.
Due elementi che si possono interpretare come due facce di una stessa medaglia:
da una parte l’affermazione di nuovi leader progressisti sulla scena politica
latinoamericana potrebbe costituire l’inizio di una formidabile spinta verso il
progresso economico e sociale in una regione governata per decenni da esponenti
militari che, spesso, si sono ammantati di poteri di tipo autoritario;
dall’altra, la scomparsa di Pinochet che potrebbe indicare il definitivo
distacco da un passato di miseria, vessazioni politiche e violazioni drammatiche
dei diritti umani.
Colui che ha organizzato il vertice, il boliviano Evo Morales, consapevole della
specialità del momento, ha aperto i lavori sostenendo che tutti i leader
convenuti a Cochabamba avevano la straordinaria opportunità di chiudere “le vene
aperte dell’America Latina”, citando il famoso libro scritto nel 1971 da Eduardo
Galeano per descrivere lo sfruttamento delle materie prime latinoamericane,
indiscriminato e senza rispetto delle popolazioni locali, da parte delle potenze
occidentali.
Il risultato finale del summit è stata la dichiarazione di Cochabamba, nella
quale si ritrovano vari accenni alla necessità di una maggiore integrazione
sociale e politica tra i paesi facenti parte della Comunità della Nazioni
Sudamericane, con la volontà comune di porre un rimedio alle asimmetrie tra le
diverse economie dell’area, inteso come primo passo verso una concreta
integrazione.
Ma la di là delle semplici dichiarazioni di principio, le parti riunite in
Bolivia hanno adottato anche misure tangibili: in particolare, è stata decisa
l’istituzione di una Commissione di Alti Rappresentanti con l’obiettivo di
studiare le modalità per favorire l’integrazione latinoamericana in materia di
energia, infrastrutture, commercio, finanze e produzione industriale, sul
modello dell’esistente Unione Europea. Come ha specificato il Presidente Lula,
tale commissione resterà in carica fino al prossimo vertice della Comunità che
si terrà a fine 2007 a Cartagena, in Colombia.
Il risultato, anche se limitato, può essere considerato un passo importante
verso l’integrazione del continente. Tuttavia, dietro tale esito, devono essere
evidenziati altri aspetti che sono emersi dai colloqui tra i leader intervenuti
che, quanto indicato dalla dichiarazione finale, non hanno rivelato.
In primo luogo le due diverse concezioni di integrazione espresse da una parte
da Hugo Chavez e dall’altra da leader come il peruviano Alan Garcia. Rafforzato
dai successi elettorali di uomini a lui politicamente vicini, come Rafael Correa
in Ecuador e Daniel Ortega in Nicaragua, il presidente venezuelano ha voluto
rilanciare il progetto di cooperazione energetica conosciuto come “Gasducto del
Sur”, opera che vorrebbe collegare tramite un gigantesco gasdotto (lungo oltre
9000 km) il suo paese con Brasile, Argentina, Uruguay e Cile.
L’obiettivo di Chavez è di quello di utilizzare la cooperazione energetica tra i
Paesi latinoamericani per favorirne l’integrazione prima economica, poi
commerciale nonché, in un secondo momento, politica, estesa oltre i già ampi
confini del Mercosur (il Mercato Comune del Sud, in cui il Venezuela è stato
ammesso questo anno ndr), in vista di una contrapposizione più efficace nei
confronti dei tentativi egemonici statunitensi sulla regione. L’impostazione
antistatunitense, giustificata dal processo di neocolonizzazione del sudamerica,
operato da Washington per decenni, non è stata condivisa da tutti i
partecipanti.
Se tutti si sono detti d’accordo sulla necessità di favorire l’integrazione
latinoamericana, soprattutto nel campo del commercio e delle infrastrutture,
passaggio essenziale per colmare il gap attualmente esistente con i sistemi
economici europeo e statunitense e per competere efficacemente con la potenza
economica della Cina, vi sono però stati dei distinguo riguardo la possibile
caratterizzazione antistatunitense del processo di integrazione. Ad esempio, il
presidente peruviano Alan Garcia, se da una parte ha evidenziato come proprio la
mancanza di concreti passi verso l’integrazione regionale rappresenti un
elemento di debolezza dietro cui si nasconde il potenziale mondiale immenso
dell’area, dall’altra non ha rinnegato il trattato di libero commercio stipulato
con gli Usa dal suo predecessore Alejandro Toledo e che il suo governo si è
affrettato a confermare.
Nonostante ciò, anche se permangono più modi di intendere il processo di
integrazione, il vertice di Cochabamba potrebbe essere ricordato come un
importante passo avanti verso tale obiettivo.
Esso ha infatti rappresentato uno slancio importante verso tale scopo e lo
stesso Morales, concludendo i lavori, ha sostenuto (forse con ottimismo) che per
realizzare l’integrazione latinoamericana non dovranno passare 50 anni come è
accaduto per l’Ue, ma tale traguardo dovrebbe essere conseguito entro cinque
anni.
Un obiettivo ambizioso e probabilmente difficile da ottenere, ma che può essere
considerato un indice dei progressi compiuti nel recente summit. Non si deve
dimenticare che, ad esempio, dopo le asprezze e le offese che Chavez e Garcia si
erano scambiati in primavera, in occasione della campagna elettorale di
quest’ultimo contro il candidato sostenuto da Caracas, Ollanta Humala, al
vertice di Cochabamba, le due diplomazie hanno lavorato a fondo per superare le
passate contrapposizioni. Lo stesso è avvenuto per ciò che concerne i contrasti
tra Ecuador e Perù. Nel 1995 tra i due Paesi scoppiò un conflitto dovuto a
motivi di confine e, da allora, i rapporti tra Quito e La Paz sono sempre stati
molto tesi. In occasione del vertice di Cochabamba il neo eletto Correa ha avuto
un lungo colloquio con il suo collega Garcia e al termine dell’incontro il primo
ha sostenuto che le relazioni tra i loro due Paesi si trovavano ora nel loro
momento migliore.
Il vertice di Cochabamba ha permesso di ottenere risultati positivi anche
riguardo le relazioni bilaterali tra Cile e Bolivia. La ruggine tra le due
nazioni risale al 1879, quando i loro eserciti si scontrarono per negare alla
Bolivia la possibilità di avere un accesso al mare. Nel corso del vertice la
presidente cilena Michelle Bachelet ha avuto lunghe discussioni con Evo Morales
per appianare gli esistenti motivi di contrasto, in particolare riguardo il
commercio e le infrastrutture energetiche.
Gli sviluppi registrati nelle relazioni bilaterali sono stati considerati da
molti degli intervenuti al summit un viatico importante verso il processo di
integrazione; tanto che Chavez, con la consueta capacità di sintesi e coloritura
di linguaggio che lo contraddistingue, a chi gli chiedeva se a suo giudizio vi
erano stati progressi in direzione del traguardo di una maggiore unione tra le
nazioni della regione, rispondeva positivamente, aggiungendo però che ormai, per
fare il passo successivo, cioè tradurre in azione quanto deciso in comune c’era
bisogno di un “viagra politico”, un ulteriore sforzo per creare strutture
istituzionali in grado di adottare atti concreti con cui implementare le scelte
fatte insieme.