Il Forum di Caracas dice

«No alla guerra»  

Nel Venezuela di Chavez la marcia di oltre 100mila «sostenitori delle cause perse», folta e allegra, contraddittoria ma profondamente unitaria nei grandi obiettivi al centro dell'edizione latinoamericana

 

 

M.Matteuzzi - Caracas 26.1.06

 

 

Eccoli qui, tutti i sostenitori delle «cause perse», come sottolineva ieri mattina con velenosa malevolenza uno dei più fetidi giornali di Caracas - uno di quelli che detestano, ricambiati, il presidente Chavez e che strillano all'estero per i pericoli corsi dalla libertà di stampa in Venezuela. In folte e allegre schiere - le cifre variano, ma erano tanti, diciamo più di centomila - martedì pomeriggio e poi fino a notte hanno marciato dalla Plaza Las Tres Gracias verso il Paseo de Los Proceres, una lunga spianata buona per le sfilate militari, con in mezzo il monumento con i nomi dei padri della patria, in testa a tutti ovviamente il libertador Simon Bolivar, e delle battaglie che, ai primi dell'800, fecero se non un'America latina unita, almeno l'indipendenza dei suoi singoli paesi dalla Spagna. Una marcia folta e allegra, diversa e contraddittoria ma allo stesso tempo profondamente unitaria, per tutte le magnifiche cause perse in cui credono, per cui resistono, si ribellano e si battono milioni di persone in tutto il mondo ma soprattutto qui in America latina, e ora per la sorpresa di molti anche qualche governo di questa parte del pianeta. A cominciare dalla prima, per così dire originaria, di quelle cause che apriva la passeggiata, scritta su un grande striscione portato dal «popolo» venezuelano, uomini, donne, giovani, anziani, bambini: «No a la guerra, no al imperialismo. Un otro mundo es posible, una otra America es posible».

Tutti contro, alla rinfusa

Alla rinfusa, come alla rinfusa hanno camminato: «Viva el Marxismo Leninismo Maoismo» su uno grande striscione firmato dal Movimiento Revolucionario Internacionalista e portato con fatica da quattro gatti solitari, con dietro a incalzarli i gay con le loro bandiere arcobaleno e lo striscione «
Por una Venezuela libre de la homofobia». «George Bush terrorista, Tony Blair terrorista, Berlusconi terrorista» della coalizione inglese Stop the War e "Não ao rebaixamento da edade penal" di un gruppo brasiliano di San Paolo. "100% à gauche" dei francesi della Lcr e la "Direccion de Pueblos y Culturas Indigenas"; "Liberacion Popular no es terrorismo" e "End the occupation of Iraq". "Chavez amigo, Mexico està contigo" gridato dai messicani contro il «loro» presidente Vicente Fox, e «Chavez amigo, Colombia està contigo» gridato dai colombiani contro il «loro» presidente «lacché» Alvaro Uribe. "No al trabajo y al abuso infantil" di un gruppo non identificato e "U.S., Canada, Francia, U.N. hands off Haiti" di uno sparuto ma applauditissimo gruppetto di nordamericani.

I duri della «Corriente Marxista Bolivariana» che gridavano «l'urgenza di un Partido Revolucionario vanguardia de la Revolucion» e le suorine dietro lo striscione del «Movimiento de Cristianos por la Paz con Justicia y Dignidad» che lanciavano slogan contro l'Alca. I «Viva Ollanta Humala» scanditi dai peruviani in onore del nuovo (e forse un po' prematuro) simbolo della lotta nazional-indigena-antiliberista del Perù che potrebbe seguire nelle elezioni di aprile le orme di Evo Morales in Bolivia.

I gruppetti sparuti e chiassosi delle galassie trotzkiste argentine in difficoltà ad attaccare «da sinistra» il presidente Kirchner e i brasiliani del Pt e della Cut, anch'essi in sofferenza ma per la caduta di Lula-presidente, con la sua politica economica continuista, dal cielo degli eroi del movimento. I nostalgici (o visionari?) spagnoli che inalberavano la bandiera della Repubblica, i gringos di Boston che portavano scritto il «Gracias Chavez» per il petrolio regalato agli americani poveri.

I duri del Movimiento de Resistencia Popular Mundial, un Mrpm «in via di costruzione per aiutare le lotte di tutto il pianeta a confluire in un torrente irresistibile» e i ciclisti-ambientalisti della Fundacion Ecologica Bolivar en Martì che fanno della bicicletta l'arma principale per «la costruzione di stili di vita alternativi». Fino ai brasiliani di Critica Radical che si battono «per il rifiuto e il superamento del denaro» in nome di una società «umanamente diversa e senza feticci, ecologicamente esuberante e bella, socialmente ugualitaria e creativa, che ama l'ozio produttivo e completamente libera».

Poi le donne, di tutte le età e di tutti i colori, di tutti i tipi. Allegre e cattive, belle e brutte, con la loro infinità di slogan e proposte: "No mas muertos por abortos clandestinos", "Ya basta con la violencia de genero", contro il machismo e la discriminazione sessuale.

In questo grande fiume multicolore c'erano anche gli italiani. Non molti ma c'erano. Fra loro, e fatte salve eventuali (e involontarie) omissioni, qualche bandiera di Rifondazione Comunista (presente con una delegazione nutrita), qualcuno di Legambiente (riconoscibile Massimo Serafini per degli sgargianti pantaloni giallo-arancioni), qualche bandiera dei Cobas (qui c'è Piero Bernocchi, attivissimo come membro del Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale), una esponente dell'ufficio internazionale dei Ds (che avrà modo anche di dare un'occhiata al Venezuela chavista contro cui il partito di Fassino e D'Alema ha avuto una posizione di incredibile cecità), le magliette arancioni dei militanti del «Contratto acqua» (fra loro l'instancabile Giuseppe De Marzo) reduci dalle vittoriose battaglie boliviane a Cochabamba e El Alto.

Quando la marcia era arrivata quasi a destinazione, all'entrata del Paseo de Los Proceres, e prima dei gruppi musicali e dell'applauditissimo intervento della madre coraggio americana Cindy Sheehan che ha gridato più volte in spagnolo «No a la guerra», si è avuta la sorpresa cubana. 800 cubani delle «missioni sociali» in cui sono impegnati qui in Venezuela grazie agli accordi di cooperazione fra Fidel e Chavez, attendevano il corteo e ne hanno preso decisamente la testa, dandogli una connotazione, anche visiva, colorata e nettissima. Una presenza non casuale, che alla fine ha fatto passare in secondo piano quella numericamente più numerosa dei colombiani, dei brasiliani, dei nordamericani, dei messicani. E ben più vistosa di quella dei padroni di casa venezuelani.

C'è chi fa il raffronto fra la preponderante presenza dei brasiliani nei quattro forum di Porto Alegre. Ma in Brasile c'era un movimento sociale già forte e consolidato che faceva da supporto naturale dell'Fsm: il Pt, la Cut, i Sem Terra, la Via campesina, i gruppi sociali urbani, i movimenti delle donne, dei neri, degli indios, le comunità ecclesiali di base.... Qui in Venezuela il movimento sociale è ancora in fase di costruzione ed è il presidente Chavez che spinge verso il basso anziché i movimenti sociali a spingere verso il vertice della piramide politica.

La presenza di Chavez e quella dei cubani sono al centro del vivace dibattito in corso (anche) in questo Forum Americhe e che proseguirà fino a domenica quando la kermesse si chiuderà.

Cambiamento e fedeltà

I problemi, schematizzando al massimo, sono due. Il primo è il rapporto del movimento con i governi, specialmente adesso che i governi potenzialmente «amici» sembrano moltiplicarsi in America latina. C'è un settore - per personificare, Ignacio Ramonet, il direttore di Le Monde Diplomatique, ma certo non solo lui - che considerata l'inevitabile perdita di spinta, dopo sei anni, dello strumento Forum sociale mondiale sostiene la necessità, non di creare qualcosa riconducibile alla forma partito ma di individuare due, tre, quattro punti politici su cui il movimento dovrebbe muoversi. Facendo naturalmente leva sui governi «amici», da Chavez a Morales, da Kirchner allo stesso Lula.

C'è un altro settore - di cui è esponente di punta l'industriale brasiliano Oded Grajew, che ha lanciato il movimento per «l'industria responsabile», è uno degli ideatori dell'Fsm ed era un grande sostenitore di Lula - che al contrario sostiene la necessità che il movimento dei movimenti rimanga fedele alla originaria «carta di principi» di Porto Alegre/1 e, proprio sulla base di quel che è successo con Lula-presidente, si mantenga rigorosamente autonomo dai governi, sia pure amici o presunti tali. Questo settore vede con molte riserve la forte - per quanto legittima - presenza sia di Chavez sia dei cubani.

D'altra parte è innegabile che alcuni degli obiettivi prossimi su cui punterà alla fine il forum caraqueño su cui si è mossa e si sta muovendo l'intera America latina, siano obiettivi storicamente fidelisti e chavisti: la guerra americana, l'Alca, il Wto...