Il Forum riscopre la «revolucion» Centomila a Caracas Il «socialismo del XXI secolo» di Chavez conquista i no global ma rischia di snaturarne l'eterogeneità. Il «caudillo» incontra i rappresentanti dell'Assemblea dei movimenti sociali e cita Trotsky: la rivoluzione in un solo paese è impossibile. Grande protagonismo dei cubani.
M.Matteuzzi -
Caracas 31.1.06
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Il Forum sociale
mondiale si è chiuso in un tripudio di grida al cielo e bandiere al vento, fra
impegni di lotta e obiettivi da raggiungere. E con un problema serio, che
probabilmente c'era anche nelle cinque edizioni precedenti ma che qui è emerso
con forza particolare. Quello di tenere insieme le suorine colombiane che nella
marcia d'inaugurazione di martedì sfilavano scandendo slogan contro l'Alca e il
mais transgenico, e i duri del Movimiento Revolucionario Internacionalista
che inneggiavano a «Marx-Lenin-Mao» e alla «guerra rivoluzionaria», le donne in
rosa americane del Pink code che esigevano la libertà di disporre del
proprio corpo e gli internazionalisti cubani che gridavano «Viva Fidel», i gay
venezuelani che chiedevano la fine dell'omofobia e i Sem Terra brasiliani
abituati a rispondere per le rime alla violenza degli agrari. Non solo l'anno
prossimo quando no-global e anti-liberisti, pacifisti e anti-imperialisti
sfileranno a Nairobi ma più ancora quando dovranno scendere nelle strade delle
città del mondo a battersi per quegli impegni di lotta e quegli obiettivi da
raggiungere. Le suorine e i marxisti-leninisti costituiscono gli estremi
opposti, volutamente schematici, del vastissimo spettro del movimento dei
movimenti da Seattle in poi, l'infinita varietà che ha rappresentato e deve
continuare a rappresentare la ricchezza straordinaria del «popolo delle cause
perse». Che sono poi le cause dell'umanità. Le suorine e i marxisti-leninisti
servono per esemplificare il nodo emerso non per caso, più ancora che nel
capitolo Africa di Bamako, in quella America latina del Forum. Il dibattito,
diciamo pure lo scontro, fra l'anima movimentista e l'anima
istituzionalista. O, come diceva un compagno argentino dall'acre spirito
porteño, fra gli «angelitos» che vogliono mantenere l'autonomia e la
purezza assolute dei movimenti rispetto ai governi e alcuni noti intellettuali
che pretendono di dare una svolta operativa ad esso, in qualche misura
istituzionalizzandolo e legandolo all'opportunità nuova offerta dai governi
«amici» sorti in America latina. Lo «spirito di Bandung» che Samir Amin ha
portato dal Mali in Venezuela.
Ufficialmente non è che se ne sia parlato tanto, ma è evidente che questo nodo
ha accompagnato tutti i cinque giorni del Forum venezuelano. A tal punto che se
forse è troppo dire, come è stato detto, che le due anime - gli
indipendentisti e i governativi - «non si parlano», è certo che hanno
avuto serie difficoltà di comunicazione. Il Forum di quest'anno, per la prima
volta, si è trovato in un contesto dichiaratamente «rivoluzionario». Una
rivoluzione democratica e pacifica qual è quella del presidente Chavez, al
contrario di quanto provano a far credere l'opposizione anti-chavista di qui e
l'amministrazione Usa, però senza se e senza ma, dura e netta. Una rivoluzione
che si proclama bolivariana ma anche socialista, sia pure di un socialismo
riveduto e corretto «del secolo XXI». Anche se la parola d'ordine resta quella
di Fidel Castro, forse un po' lugubre rispetto all'allegria del movimento:
«Socialismo o morte». Neanche a Porto Alegre, prima e soprattutto dopo
l'elezione di Lula, il contesto era stato simile. Per la prima volta forse il
contenitore del Forum sociale era, o appariva, più importante del contenuto. E
si è sentito. Il presidente Chavez lo aveva già detto a chiare lettere nel suo
intervento di sabato al Poliedro: rispetto l'autonomia dei movimenti ma
credo che dal Forum debba venir fuori la scelta di un «grande fronte
internazionale anti-imperialista». Lo ha ripetuto domenica sera, quando ha
ricevuto al Circulo militar i rappresentanti dell'Assemblea dei movimenti
sociali che in mattinata avevano approvato l'agenda dei prossimi campi di
azione: «Noi e il mio governo non abbiamo esercitato alcuna ingerenza sul Forum»
ma, come ricordava il vecchio Leone Trotzky, «la rivoluzione in un solo paese è
impossibile».
In realtà la personalità prorompente di Chavez, il suo impegno spasmodico nel
portare avanti una rivoluzione democratica e socialista in Venezuela, la sua
contrapposizione frontale con l'impero di «Mr. Danger», come lui
definisce Bush, il suo geniale (e generoso) uso di quell'arma strategica che è
il petrolio, i suoi sforzi per l'integrazione dell'America latina (vecchio sogno
bolivariano) era impossibile che non si facessero sentire sul Forum e sui suoi
oltre 100 mila partecipanti arrivati da più di cento paesi. Se fino a qualche
anno fa all'estero, e specie fra gli europei con la puzza sotto il naso, si
tendeva a sorridere dell'esuberanza verbale e del progetto politico di Chavez,
ormai il suo peso e il suo carisma costringono tutti a prenderlo molto sul
serio. Ma sono proprio queste sue qualità che accendono anche i timori dei
movimentisti (sempre scontando lo schematismo di queste definizioni) e degli
angelitos. Qui ha fatto impressione, positiva o negativa a seconda dei
punti di vista, la presenza cubana. Forte, compatta, vistosa. Perché se il
giudizio generale su Cuba e sul suo ruolo nella «resistenza» contro l'arroganza
«dell'impero», contro il neoliberismo e l'Alca, è pressoché unanime, l'unanimità
cessa d'incanto quando si intravede la possibilità che l'eterodossia dei
movimenti sociali venga egemonizzata dall'ortodossia dei cubani. I
movimentisti e gli angelitos dicono di non essere preoccupati dai
governisti e dagli intellettuali, perché i movimenti hanno acquisito
una loro forza e una loro autonomia tali da mandare all'aria ogni tentativo di
incapsularli e, eventualmente, metterli in riga. In effetti il documento
dell'Assemblea dei movimenti sociali, presieduta dall'italiano Piero Bernocchi,
fissa una serie di temi e appuntamenti che sono quelli sui quali il movimento si
è mobilitato in questi anni: in piazza contro la guerra a marzo, poi contro il
Wto, e l'Alca, la Banca mondiale di Paul Wolfowitz, il prossimo G8 a San
Pietroburgo e il vertice Ue-America latina a Vienna. Il movimento ormai va con
le sue gambe. I governisti e gli intellettuali ribattono che i
movimentisti (certo non tutti) e gli angelitos (specie le ong) in
realtà temono non solo la forte svolta «anti-imperialista» di Caracas ma anche
l'altro suo merito, innegabile: avere riaperto, dopo molti anni e molte
sconfitte, la discussione sul socialismo e su quale socialismo. In America
latina prima di tutto, ma non solo.