Tra Chavez e Porto Alegre
Vita da forum:
chi urla «Coca cola asesina» e chi la beve, un programma più fitto di quello
dell'Unione, i dibattiti e le riunioni dei «guru» per decidere il «che fare».
Divisi tra chi vuole legarsi ai governi «amici» di Venezuela e Bolivia e chi
invece spinge per l'autonomia dei movimenti
M.Matteuzzi -
Caracas 28.1.06
|
Iguru di questo e
dei forum precedenti si vedono poco in giro o nell'infinità dei panel che
si susseguono a ritmo frenetico e disordinato nelle varie sedi designate intorno
o non tanto intorno all'hotel Caracas Hilton. In genere li si può vedere di
sfuggita in qualche angolo della hall confabulare con qualcuno oppure seduti in
un tavolo appartato del bar con davanti un bicchiere di ottimo rum venezuelano o
una bottiglietta di Coca-cola (la carne è debole), mentre subito fuori l'albergo
un gruppetto sparuto ma chiassoso di giovani militanti colombiani grida slogan
contro la "Coca-cola asesina" (di sindacalisti). I veterani di forum
social-mondiali, giunto quest'anno alla sua sesta edizione, assicurano che «era
così anche a Porto Alegre». Confusione più o meno piacevole, incontri più o meno
casuali, sovrapposizione di temi e persone, politici scafati e irrecuperabili
sognatori, gente famosa e gente sconosciuta, giovani saccopelisti e vecchi
hippies americani ingrigiti che si sono portati dietro la figlioletta
sedicenne con piercing sull'ombelico e tatuaggi del Che,
professionisti di forum e vertici che non mancano mai e personaggi folclorici
che chiedono di essere notati, ex-todopoderosos caduti in disgrazia che
ormai nessuno ferma più per chiedergli l'intervista (come accade a José Dirceu,
fino a pochi mesi fa il numero due dopo Lula nel governo del Brasile e poi, in
rapida sequenza, costretto a dimettersi da ministro della Casa civile e cassato
da deputato federale) e nuove star di giornali e tv ricercatissime e seguite da
codazzi di gente e telecamere, come accade per la madre coraggio americana Cindy
Sheehan, la cui agenda la tiene qui chissà perché un barbudo cubano
incaricato di filtrare le richieste e di dare le buche (l'ha data anche a noi,
ieri mattina). Se «era così anche a Porto Alegre», per sovrapprezzo a Caracas
c'è anche la suddivisione del Forum e dei suoi eventi in luoghi diversi della
città. Che era già famosa per il suo traffico caotico e che adesso, per la gioia
della livida opposizione anti-chavista e dei suoi giornali, ha un altro
argomento su cui vomitare la sua rabbia impotente. Oltre a quello scontato dei
costi della grande kermesse, generosamente coperti dal governo
venezuelano che con quei soldi avrebbe potuto sfamare chissà quanti bambini
poveri, costruire chissà quante scuole, aprire chissà quante cliniche. Qui a
Caracas i luoghi degli eventi sono almeno quattro o cinque: la hall e i saloni
dell'Hilton, il complesso del teatro Teresa Carreño proprio di fronte,
l'università centrale del Venezuela, il terreno dell'aeroporto urbano di La
Carlota, due o tre parchi dove sono state piazzate le tende dei saccopelisti,
bagnati in questi giorni di pioggia intermittente fuori stagione: il Parque
del Oeste, il Parque Los Caobos, il Parque del Este
vicino alla Plaza Altamira. Un sintomo quest'ultimo di come sono cambiate
le cose qui in tre anni: all'inizio del 2003, in pieno sciopero
padronal-sindacal-petrolifero-golpista, la Plaza Altamira era il cuore
dell'opposizione che voleva liberarsi di Chavez paralizzando il paese e sarebbe
stato impensabile piazzare un accampamento ed eventi grosso modo riconducili al
governo in un luogo come quello.
Insomma, muoversi non è facile. Districarsi ancor meno. Il programma dei cinque
giorni è talmente grosso da sfogliare che sembra il programma di governo
dell'Unione per le prossime elezioni in Italia. I giovani volontari
sguinzagliati dall'organizzazione fin all'arrivo all'aeroporto di Maiquetia sono
gentili, sorridenti, disponibili ma hanno difficoltà a raccapezzarsi anche loro.
Le sale stampa sono dotatissime di computer ma non riescono a dirti quanti e chi
sono i partecipanti stranieri, dove si tiene quello o quell'altro meeting.
Si vaga dall'Hilton al Teresa Carreño, si va e si torna, si vede gente, ci si
scambiano indirizzi e pacche sulle spalle, si entra nei teatri e nelle sale,
molte volte piene e molto partecipate, ci si accascia nel bar dell'albergo
esausti con un rum "Selecto" per tirarsi su. Vita da forum. Non c'è da
lamentarsi. L'attesa, quanto più si avvicina il giorno di chiusura, è per capire
come finirà. Per questo i guru si vedono poco in giro e nei panel:
stanno sicuramente rintanati al chiuso di sale più discrete discutendo e magari
litigando sulle linee strategiche che il movimento dovrà adottare a partire da
lunedì. I veterani degli altri forum dicono che questa volta almeno in pubblico
il dibattito e gli scontri sono stati molto meno virulenti che a Porto Alegre.
Anche a Caracas si ruota a due strade: l'indipendenza rigorosa e ostinata della
rete dei movimenti sociali da salvaguardare di fronte ai governi, per quanto
amici essi possano essere, ovvero l'esigenza di articolare alcuni obiettivi
principali una serie di grandi obiettivi "minimi" su cui convogliare le energie
e le forze dei movimenti - le guerre americane, l'Alca, il Wto sono quelli più
ovvii - cogliendo appieno l'opportunità storica offerta qui in America latina
dall'irruzione sulla scena politica di governi amici a vario titolo e grado:
Chavez in Venezuela, Kirchner in Argentina, Morales in Bolivia fino ai pallidi e
controversi Lula in Brasile, Vazquez in Uruguay e Michelle Bachelet in Cile.
Nulla di nuovo rispetto all'anno scorso quando «il gruppo dei 12» (il direttore
di Le Monde Diplomatique Ignacio Ramonet, Eduardo Galeano e altri)
presentò in chiusura un documento che indicava questa seconda direzione,
provocando le irate reazioni degli «indipendentisti».
Se la decisione sul che fare da domani è il nodo che si presenta sempre, a un
determinato momento, ai movimenti sociali, una novità rispetto ai forum
precedenti c'è e consiste nel numero crescente di governi «amici» che da Porto
Alegre a Caracas si schierano sul campo di battaglia. L'anno scorso non c'era la
Bolivia di Evo Morales, che non sarà una potenza come il Brasile o il Venezuela
ma il cui valore simbolico è straordinario. Come ha detto il vecchio guerriero
rosso-verde Emilio Molinari, che presiedeva ieri il Foro del Agua in
un'aula della Universidad central de Venezuela, «i
movimenti sociali hanno pesato nel cambio della politica, specie in America
latina, e ora dentro i governi c'è gente che si riconosce nei movimenti
sociali». Quindi la necessità di mantenersi autonomi dai governi ma di
interloquire e collegarsi con i politici-politici e con i governi. Per passare,
come ha detto la compañera Adriana, sindacalista uruguagia, «dalla
democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa». Lo stesso Foro del
Agua ha articolato una proposta globale sull'acqua come «diritto umano, bene
comune e bene pubblico» da sottrarre «alla mercantilizzazione e alla
privatizzazione», che sarà presentata ai vari governi e istituzioni
internazionali al prossimo vertice mondiale sull'acqua di Città del Messico. E
non è un caso che fra gli interventi previsti ieri ci fosse quello di Abel
Mamani, leader della battaglia dell'acqua contro la transnazionale francese
Suez Lyonnaise des Eaux a El Alto, la città satellite di La Paz, che non è
potuto venire a Caracas perché appena nominato ministro per le risorse idriche
da Morales (c'era però il piccolo grande Oscar Olivera, l'eroe della «guerra
dell'acqua» di Cochabamba). Vedremo presto cosa uscirà dal cilindro degli
incontri dei guru del movimento e delle varie istanze in sui si stanno
discutendo i pro e i contro dell'una o dell'altra strada: il Consiglio
internazionale del Forum, il Consiglio emisferico delle alleanze sociali,
l'assemblea dei movimenti sociali, l'alleanza sociale continentale. Nell'attesa
la gente continua il suo andare e venire nella hall del Caracas Hilton, davanti
a un rum "Selecto" o - contraddizione interna al movimento - a una
Coca-cola.