Al Forum il trionfo di Chavez
Leader del movimento. A Caracas il
presidente venezuelano propone al social forum una svolta organizzativa e
antimperialista che farà discutere. Sostenuto da intellettuali come Ignacio
Ramonet e Samir Amin e osannato dal popolo no global.
M.Matteuzzi -
Caracas 29.1.06
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Hugo Chavez Frias è planato infine,
venerdì sera, sul Forum sociale mondiale di Caracas. L'ombra del carismatico
presidente venezuelano incombeva fin dall'inizio. Si diceva che potesse fare
un'apparizione a sorpresa alla fine della grande marcia d'inaugurazione, martedì
sera sul palco montato nel Paseo de los Poceres. Si vociferava che
tenendo fede al suo personaggio scoppiettante potesse apparire all'improvviso in
qualcuno dell'infinità di atti ed eventi previsti in città. Ma quelle voci si
erano rivelate infondate. L'intervento di venerdì sera, al chiuso del
Poliedro gremito, ribollente, entusiasta, era annunciato dal programma. E al
programma Chavez ha tenuto fede alla lettera. In tutti i sensi. Perché ci è
entrato, come si suol dire e con il dovuto rispetto, mettendo i piedi nel
piatto. Ossia gettando tutto il suo peso di «simbolo della rivoluzione
bolivariana», come lo ha presentato padre Marcelo Barros, priore benedettino
brasiliano, e di «leader della rivoluzione latino-americana e mondiale», come lo
ha accomiatato lo speaker del Canal 8 della tv (l'unico non in possesso
dell'opposizione), su una delle due posizioni che - schematicamente - si
confrontano in questo Forum sociale delle Americhe (ma, a quanto sembra, non
solo in questo). Durante le quasi due ore di discorso - neanche tanto visti i
suoi tempi abituali e le attese di una platea entusiasta - ha ripetuto più volte
la necessità che dal Forum, da questo Forum, esca un grande «fronte
internazionale anti-imperialista».
Il lungo tavolo posto al fianco della podio da cui parlava il «comandante», in
camicia rossa da battaglia, del resto non lasciava dubbi. I cubani Ricardo
Alarcon e Abel Prieto, presidente dell'Assemblea nazionale e ministro della
cultura; i francesi Ignacio Ramonet e Bernard Cassen, di Le Monde
Diplomatique e Attac; l'egiziano-francese Samir Amin e l'haitiano
Camille Chalmers; l'india ecuadoriana Blanca Chancoso e il teologo della
liberazione brasiliano Marcelo Barros; una vecchia e una nuova icona come Aleide
Guevara, la figlia del Che, e Cindy Sheehan, la madre coraggio
nordamericana. Ossia tutti gli esponenti più in vista dell'ala del Forum sociale
che spinge per una qualche forma di istituzionalizzazione del movimento. Non è
certo un caso che Chavez abbia ricordato, nel suo intervento, «la cumbre de
Bandung», il vertice del 1955 in cui si ritrovarono l'indiano Nehru,
l'egiziano Nasser, l'indonesiano Sukarno (con il cinese Zhou Enlai come
«osservatore») per avviare alla testa di 29 paesi afro-asiatici quello che
sarebbe poi stato, nel '61 (e anche con lo jugoslavo Tito), il Movimento dei
Non-allineati. Dello «spirito di Bandung» e di una nuova «Bandung dei popoli»
aveva parlato Samir Amin, bandiera mai ammainata del terzomondismo, nel capitolo
Africa del Forum sociale appena concluso a Bamako, nel Mali. La differenza
rispetto alla Bandung di allora, subito rilevata da Chavez, è che quella in
Indonesia era stata pensata e proposta «a partire dai governi», mentre il «nuovo
spirito di Bandung» s'innerva - se mai riuscirà a realizzarsi nella pratica -
nell'intreccio fra movimenti sociali e (alcuni) governi che si muovono entrambi
su posizioni di anti-imperialismo e in qualche caso di anti-capitalismo. Come
non è un caso che Chavez, in un altro passaggio, si sia soffermato sul pericolo
«nefasto» che il Forum sociale, anno dopo anno, si converta «in folclore». Per
cui Chavez, pur partendo da lontano: dall'amatissimo Bolivar «visionario e
precursore dell'antimperialismo», ha più e più volte ribadito il concetto. Pur
rendendo omaggio e rispettando «l'autonomia dei movimenti» ha «osato» chiedere e
«fatto appello» che gli uni e l'altro escano da Caracas domani con «un piano di
lavoro e di azione unitario e capace di unire e articolare la lotta contro
l'imperialismo». Secondo lui e quelli che ne condividono l'impostazione sarebbe
«strano» che il Forum si chiudesse senza «conclusioni» in questa direzione e,
peggio, sarebbe «una perdita di tempo». Perché, dopo i tentativi bolivariani di
liberazione nell'800 e quelli del `900 in Africa, Asia e America latina (con
ovvia citazione di Cuba e di Fidel), sempre inconclusi, il secolo XXI sarà il
secolo di «socialismo o morte», la morte della specie umana a cui «ci sta
portando il capitalismo».
Chavez, per l'entusiasmo della folla che l'ascoltava, assicura che «ci sono
molte ragioni per essere ottimisti», perché questa, come diceva il compañero
Evo Morales, «non è più l'era dell'Impero ma l'era dei popoli»; perché, come
disse l'eroe indio Tupac Katari ai suoi carnefici spagnoli prima di essere
squartato «tornerò e saremo milioni» e ora «Tupak Katari è tornato ed è
milioni»; perché «l'impero più perverso, più genocida, più immorale, più cinico
della storia dell'umanità, anche peggiore di quello di Roma in quanto parla di
democrazia e diritti umani», è sulla difensiva mentre «noi siamo all'attacco»;
perché questo «siatene certi, è il secolo in cui seppelliremo l'impero
nordamericano». Anche se ha reso omaggio all'Africa («che tutti noi
latino-americani ci portiamo dentro»), all'Asia e al Nordamerica («viva el
pueblo de los Estados Unidos, noi contiamo su di voi»), il discorso di
Chavez ha marcato un'altra differenza dall'originaria Bandung. Questa volta il
cuore dell'«indipendenza» e della liberazione che né Bolivar né Fidel hanno
potuto concludere, non è più in Africa e in Asia ma in America latina.
Un'America latina che si muove, che gira a sinistra, che - dice e spera - ride
della distinzione fra una «izquierda loca» (lui e Fidel) e una «izquierda
estadista» (Lula, Ricardo Lagos e Tabaré Vazquez) ed è decisa a sfidare
«l'impero» con le sue stesse armi: il petrolio e il gas prima di tutto,
l'integrazione economica e politica. Solidarietà anziché libero commercio,
cooperazione anziché annessione. Un socialismo «nuovo, fresco che non copia
modelli falliti», un «socialismo indigenista» che si rifà a Mariategui, un
«socialismo cristiano».
Vedremo oggi quali saranno le conclusioni del Forum di Caracas. Di sicuro ci
sarà un testo finale dai forti accenti antimperialisti, che non si farà irretire
nella trappola guerra-terrorismo e che lancerà almeno quattro campagne di
mobilitazione: contro la guerra (in marzo), contro il Wto, contro il G8 di San
Pietroburgo, contro l'Fmi e la Banca mondiale. Basterà per avviare le nuove
Bandung-Tricontinental ? Riuscirà a tenere unito e rilanciare il grande
fiume dei movimenti? Potrà convincere quell'ala del Forum sociale mondiale che
considera impresindibile l'assoluta indipendenza dai governi, anche da quelli
progressisti e «amici»? Qui a Caracas la linea prevalente e che ha vinto è
l'altra e non poteva essere diversamente considerata la forte personalità e il
carisma crescente di Hugo Chavez. Ma i pericoli di uno slabbramento del
movimento no-global ci sono e devono essere considerati.