Il muro della vergogna
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Mercoledì 1 Febbraio 2006 - 13:41
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Cristiano Tinazzi
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Un muro. Lungo 1500 chilometri.
Non siamo in Palestina né al confine nordirlandese. Siamo alla frontiera tra
Messico e Stati Uniti. Tra i due Paesi corrono 3.200 km di frontiera: un milione
di persone ogni giorno la attraversa in entrambi i sensi. In direzione Sud,
nessun controllo. In direzione Nord, entrare non è così facile. La linea la
possono attraversare verso gli USA solo i cittadini americani e gli stranieri
con il visto d’ingresso. Nel 2000, su due milioni di messicani che avevano
richiesto la famigerata ‘green card’, l’hanno ottenuta solo in 174 mila. E chi
rimane fuori cerca di entrare comunque. In qualsiasi modo, spesso morendo nel
tentativo di attraversare la frontiera. Secondo le statistiche dell’Ins (Immigration
and Naturalization Service), 929.809 persone sono state arrestate nel tentativo
di attraversare la frontiera illegalmente nell’anno fiscale 2002 (dall’ottobre
del 2001 all’ottobre del 2002); mentre dal gennaio al novembre 2002 sono morte
350 persone. 2.200 i morti di frontiera dal 1994.
Pare un paradosso questa decisione di costruire un muro che nei fatti, priverà
le industrie americane di manodopera a basso costo. E la pratica di andare a
prelevare forza lavoro direttamente in Messico per introdurla illegalmente negli
Stati Uniti era ed è talmente diffusa che il governo è dovuto intervenire di
malavoglia nei confronti di numerose aziende, in special modo di quelle del
settore agricolo e della macellazione e trasformazione delle carni, che
addirittura organizzavano viaggi in pullman dal Messico a varie località
statunitensi con tanto di pubblicità nelle radio locali messicane. Il perché di
tutto ciò è abbastanza chiaro: non si deve risarcire chi si fa male sul posto di
lavoro o spesso muore, perché non si può risarcire chi non esiste. Non si devono
pagare le spese mediche, non si pagano contributi e liquidazioni. Fantasmi,
diremmo, se ci trovassimo in un teatro a vedere il Macbeth. Nella realtà la
parola esatta è un’altra. Sfruttati.
Nonostante sia passato più di un secolo da quando Upton Sinclair scrisse ‘La
giungla’, un romanzo di denuncia sociale che riportava le terribili condizioni
degli immigrati nei macelli di Chicago, niente è cambiato nelle pratiche di
sfruttamento della manodopera a basso costo fornita dai Paesi latinoamericani
agli States.
Il Messico, per diversi motivi, non è mai stato d’accordo sulla costruzione del
muro. Vicente Fox, il 16 dicembre scorso, aveva espresso sdegno per quello che
considerava un vero e proprio atto di discriminazione, definendo l’approvazione
della legge che prevede la costruzione del muro da parte della Camera
statunitense un “pessimo segnale per un Paese che si ritiene democratico”.
In attesa del definitivo passaggio al senato americano, il Parlamento
centroamericano (Parlacen) ha espresso il suo “energico rifiuto” alla cosiddetta
‘Legge di protezione frontaliera, antiterrorismo e controllo dell’immigrazione
illegale’ (Hr 4437), definita “uno strumento di violazione dei diritti umani
universalmente tutelati”. In un documento inviato dal presidente del Parlacen,
il panamense Julio Palacio Sembrano, alla Camera dei Deputati messicana, i Paesi
centroamericani sollecitano il Senato Usa a depennare dalla nuova normativa le
disposizioni che criminalizzano l’immigrazione, in particolare quella relativa
“al vergognoso muro che dovrebbe essere costruito in quattro Stati di confine
con gli Stati Uniti Messicani” per frenare il flusso di clandestini. Una simile
barriera, sostiene il Parlacen, “non contribuisce affatto al rafforzamento della
necessaria cooperazione che deve esistere tra gli Usa e i paesi dell’America
Latina per affrontare con possibilità di successo le nuove minacce alla
sicurezza e il consolidamento del processo democratico nel nostro emisfero”.
L’assemblea centroamericana ha inoltre sollecitato Washington a mantenere il
trattamento preferenziale accordato ai migranti centroamericani, a eccezione del
Guatemala, attraverso il cosiddetto ‘Status di protezione temporanea’ (Tps); la
risoluzione del Parlacen è stata trasmessa al Dipartimento di Stato Usa, alla
Commissione interamericana dei diritti umani, all’Organizzazione degli Stati
americani (Osa) e alle Nazioni Unite. E’ un dato di fatto che i principali
flussi migratori provengano dal continente americano, dal Messico e, attraverso
il Messico, dagli altri paesi dell’America latina. Nel corso di pochi decenni la
popolazione latina legalmente residente è arrivata a circa il 12 per cento del
totale, 40 milioni, oltre a 11 milioni di clandestini.
Ora si attende la valutazione della legge al Senato degli Stati Uniti e non è
detto che passi.
Pare un caso ma, ad oggi, tra i Paesi che stanno costruendo delle mura lungo i
propri confini (presunti o reali che siano) ci sono Israele e Stati Uniti. Forse
non è proprio un caso: in questa ‘special relationship’ esistente tra i due
Paesi, è giusto condividere anche le vergogne.