|
In tutto il continente c’è un grande movimento in ambito di
integrazione. Da quando si sono pronunciati contro l’ALCA, gli Stati
Uniti hanno inizato un processo di attrazione di gruppi di paesi e di
sottoscrizione di accordi bilaterali per ottenere i Trattati di Libero
scambio (TLC). Così hanno fatto con l’America Centrale, la Colombia e il
Perù, proprio come all’inizio aveva fatto con il Cile e ancor prima con
il Canada e il Messico. Gli Usa non sono riusciti a riunire tutti nello
statuto dell’ALCA e cercano di farlo singolarmente attraverso la
strategia di riduzione delle tasse doganali e la liberalizzazione
dell’economia. E’ una strategia sviluppata per favorire la circolazione
di capitali, mercanzie, servizi, la richiesta di capitali più
concentrati, transnazionali statunitensi, che cercano di chiudere i
mercati regionali ai capitali europei, giapponesi o di qualsiasi altro
mercato che non provenga dai territori governati da Bush.
E’ vero che ci sono anche altri attori con dei progetti riguardo al sud
del continente e a Vienna vi è stato il summit dei presidenti
dell’Europa e dell’America Latina. L’obiettivo era procedere nella
liberalizzazione economica sostenuta dalle multinazionali, in questo
caso, di origine europea, e facilitare il loro ingresso regionale nella
disputa per l’appropriazione della ricchezza. Il tema non è meno
rilevante se si pensa che negli ultimi dieci anni gli investimenti
europei hanno superato quelli statunitensi. Gli europei hanno sfruttato
in modo maggiore l’onda di privatizzazioni provocata dalla politica
neoliberale egemonica nel paese. I popoli hanno manifestato il loro
rifiuto a questo tipo di politica e i nuovi governatori, che emergono da
queste proteste, si dividono tra la prosecuzione di quel tipo di
politica, che implica l’affermazione di istituzioni e legge, e la
rottura di questa maglia strutturale. (...)
Esiste anche il sud
Riconosco che il movimento per l’integrazione ha delle caratteristiche
specifiche in America Latina, specialmente nel sud. E’ dal Brasile
infatti che è nata l’iniziativa della Comunità Sudamericana delle
Nazioni (CSN) sulla base della Comunità Andina delle Nazioni (CAN) e il
MERCOSUR. Oltre ai propositi di fondo, pochi passi avanti sono stati
fatti in questo senso. Tuttavia, un nuovo attore politico irrompe sulla
scena latinoamericana e interviene con un’iniziativa forte per dare un
nuovo orientamento al percorso verso l’integrazione in America Latina e
nei Caraibi: il Venezuela. Data la sua posizione di socio del MERCOSUR,
il paese produce non pochi dibattiti a proposito del destino
dell’economia e della politica regionali. Contemporaneamente, la
richiesta del Venezuela di ritiro dalla CAN indebolisce questa istanza
di integrazione e riapre la discussione sul contenuto dell’articolazione
economica, oltre allo scambio commerciale sostenuto dagli statunitensi e
dagli europei. Ed è a Caracas che è nata l’Alternativa Bolivariana dei
Popoli (ALBA), concretizzata con accordi ratificati nel dicembre del
2004 con Cuba e che ora comprende anche la Bolivia; trasformando così
l’ALBA attraverso la strategia dei Trattati Commerciali dei Popoli (TPC)
sostenuti da La Paz.
Da Caracas ha preso vita un’iniziativa differenziata per favorire
l’integrazione tra il Sud America, Cuba e i Caraibi. Una delle basi su
cui si fonda questa integrazione è la questione energetica, e nessuno
dubita, ovviamente, dei vantaggi che il governo Chávez ottiene grazie al
costante aumento del prezzo del petrolio. Con questi prezzi, il
Venezuela si trasforma nella principale riserva di petrolio ed è chiara
l’importanza strategica dell’attuale situazione. L’idea di produrre
gasdotti che percorrano l’intera regione, ha fatto scaturire una serie
di dibattiti riguardo alla mappatura delle tubazioni, ma anche riguardo
alla tecnologia e alla forza lavoro coinvolta. Alcune società
multinazionali attive nella regione già si sono messe in lista per
entrare a far parte dell’impresa: Repsol, Techint o Roggio, tra le altre
aziende, che fanno parte delle classi dominanti del paese.
Le varie possibilità
Tutto questo ci mostra una dinamica in movimento per l’integrazione
economica. Ma di quale strategia fanno parte i diversi attori? Che
strategia scelgono i governi? E le classi dominanti? Qual è la scommessa
politica delle classi più basse? Il conflitto tra l’Uruguay e
l’Argentina, presentato come una questione ambientale, mentre il vero
motivo sono gli accordi preesistenti tra gli Stati nazionali e le
aziende multinazionali per preservare la sicurezza giuridica dagli
investimenti esteri. I Trattati Bilaterali per gli Investimenti (TBI)
servono ad assicurare alle aziende la tassa di guadagno sui loro
investimenti di fronte ai limiti imposti nei loro paesi di origine. La
rilocalizzazione territoriale degli investimenti è vincolata alla
necessità di aumentare la rentabilità del capitale. Non si tratta solo
di Botnia ed Ence con lo stato uruguayano, ma dell’insieme dei TBI
ratificati negli anni ’90 in tutti i paesi del Sud America e soprattutto
in Argentina, paese in testa nella lista degli stati con il maggior
numero di accordi ratificati e con il più alto livello di
internazionalizzazione raggiunto dalla sua economia.
La resistenza popolare alla liberalizzazione economica si concretizza
nelle molteplici mobilitazioni, sia con il No all’Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC) a Seattle nel 1999 e nelle successive
manifestazioni, come l’ultima avuta luogo ad Hong Kong, sia con il No
all’ALCA e ai TLC ratificati dai governi del paese con gli Usa. In
queste manifestazioni, il popolo ha espresso il desiderio di un ordine
alternativo a quello sostenuto dalle multinazionali. Ecco un componente
essenziale nella discussione sull’integrazione, ma non è con i “no” che
si raggiunge l’obiettivo: è necessario discutere nuovi progetti di
costruzione di quest’altro mondo possibile chiesto dal popolo nelle
proprie lotte. E’ importante ricordare l’ipotesi contraddittoria di
progetti sostenuti dal paese come per esempio la dichiarazione del
Presidente dell’Argentina secondo cui la “ricostruzione del capitalismo
nazionale” e ciò che ha dichiarato il Presidente del Venezuela secondo
cui “il capitalismo non porta soluzioni per l’America Latina e bisogna
lottare per il socialismo del XXI secolo”.
E’ evidente che si percorrono strade diverse e anche in contraddizione.
La risposta per definire l’una o l’altra strada arriverà, come sempre,
dalla dinamica sociale espressa per costruire un’altra società. Non si
tratta solamente di analizzare quello che succede nei Summit tra i
Presidenti, ma anche avere la capacità di osservare quello che succede
nelle manifestazioni di protesta della società resa invisibile dai mezzi
di comunicazione, ma che costruisce e accumula una forza sociale e
politica per un altro mondo possibile.
Traduzione perlumanita.it (copyleft)
di Silvia Gernini
|