La rivincita dei movimenti sociali
nella trincea degli idrocarburi
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giovedì 18 Maggio 2006
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G.De Marzo
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Ancora una volta il controllo
delle risorse energetiche e gli accordi commerciali internazionali sono al
centro del conflitto in America Latina, e dopo Venezuela e Bolivia l'onda lunga
investe l'Ecuador. Un conflitto sociale all'interno, uno diplomatico - non meno
duro - all'esterno.
Sta finendo l'epoca dello sfruttamento selvaggio e dell'impunità per le
multinazionali petrolifere? Fino a poco tempo fa le ex «sette sorelle» e tutta
la famiglia degli estrattori internazionali di idrocarburi erano le sole padrone
dell'oro nero. Dalle enormi macerie lasciate si intuisce quanto grande sia stato
e per certi versi continui ad essere l'enorme debito che hanno accumulato
dividendo in blocchi il paese andino-amazzonico e dedicandosi al suo
sfruttamento. La sola Texaco in Ecuador ha accumulato un «debito ecologico» che
è stato contabilizzato dalle organizzazioni ecuadoriane in 709 miliardi di
dollari. Una cifra pari a 51 volte il debito estero del paese, calcolata
stimando il valore dei miliardi di galloni di greggio sversati nei fiumi, dei
boschi tagliati, delle foreste inquinate, del lavoro sottopagato, di leucemie e
tumori lasciate in eredità a coloro che vivevano nei pressi dei pozzi. Migliaia
di miliardi di dollari letteralmente rubati ad un paese e alle sue future
generazioni: ci vorranno secoli per riparare almeno a una parte dei danni fatti.
Anche l'Italia gioca un ruolo in questo scandalo: si chiama Ente nazionale
idrocarburi. L'Eni è tristemente nota agli ecuadoriani per i danni prodotti e
per le umiliazioni inflitte. Come quella dei palloncini, delle bandiere e dei
piatti e bicchieri in cambio dei quali ha fatto firmare (con le impronte
digitali) a un'intera comunità indigena il diritto a sfruttare il suo
territorio. L'Eni ha inoltre contribuito, con le altre «cugine» petrolifere
anglofone, a devastare l'Amazzonia con un megaoleodotto che persino la Banca
mondiale non ha voluto finanziare, e così via.
Il confronto tra multinazionali del petrolio e paesi sfruttati non è stato
combattuto dai governi. In generale sono stati i movimenti sociali
latinoamericani il motore di una trasformazione che ha iniziato producendo lotte
e sta finendo per produrre presidenti. E di «grandissima e storica vittoria dei
movimenti sociali» dice al manifesto Blanca Chancoso, una delle principali
leader del movimento indigeno latinoamericano, attualmente responsabile
internazionale della Conaie (la confederazione delle nazionalità indigene
dell'Ecuador). «La vittoria contro la Oxy è la dimostrazione che le cose sono
cambiate e che vi è una coscienza collettiva che restituisce sovranità al nostro
paese. L'Ecuador è pronto per una svolta radicale, adesso dobbiamo continuare su
questa strada e non abbassare la guardia».
Su questi temi i movimenti italiani ed ecuadoriani si aspettano che il nuovo
governo italiano cambi la sua politica estera e la politica dell'Eni che, è bene
ricordarlo, appartiene ancora per il 30% allo stato. Quanto sta accadendo nel
continente latinoamericano rappresenta per lo stesso governo italiano una grande
occasione per esercitare un ruolo di leadership in Europa nella costruzione di
una relazione forte con l'ondata di nuovi governi sudamericani. Nei prossimi
mesi, infatti, anche in Ecuador si vota e con molte probabilità sarà la sinistra
a trionfare, con un'alleanza popolare costruita su quello che viene definito il
programma della «gente comune». Eduardo Delgado, il rettore dell'Università
Salesiana e presidente della Coordinadora dei movimenti sociali, dovrebbe
guidare una coalizione che basa il suo programma sul concetto di sovranità e di
unità latinoamericana.
giuseppedemarzo@asud.net