Un muro doppio, lungo 700 chilometri, da san Diego a
San Antonio, che attraversa tutta la California. Costerà 1220 milioni di
dollari, anche se le stime più realistiche aggiungono altri sei o ottomila
milioni ulteriori per il completamento dell’opera. Separerà gli Stati Uniti
dal Messico e, soprattutto, le braccia messicane dagli affari statunitensi che
su di esse prosperano. Il presidente Bush ha promulgato ieri la legge che da
il via alla costruzione della muraglia, tra le proteste dei democratici e
quelle dei messicani, alle quali si sono aggiunte le rimostranze dei paesi
dell’America centrale. Il governo messicano ha manifestato il suo “profondo
fastidio” per l’iniziativa, esprimendo un “energico rifiuto all’innalzamento
del muro” ed ha sottolineato come la misura “danneggia le relazioni bilaterali
nel loro insieme, essendo contraria allo spirito di cooperazione che deve
prevalere per garantire la sicurezza nella frontiera comune”.
Il Messico, attraverso il presidente del Consiglio dei Diritti Umani delle
Nazioni Unite, Luis Alfonso de Alba, ha comunque annunciato che rivendicherà
il diritto al libero transito, attraverso un progetto di risoluzione
all’Assemblea Generale dell’ONU. Bush ribadisce il via libera al progetto ma,
pur dicendosi convinto che il muro servirà a proteggere le frontiere, molto
più prosaicamente, nelle sue intenzioni servirà anche a regolare i flussi
migratori nella direzione che la supremazia bianca ritiene necessaria, per non
soccombere di fronte all’esplosione demografica dei latinos intervenuta negli
ultimi venti anni.
Il Messico scopre sulla propria pelle la differenza tra l’immigrazione latina
e quella cubana: ai cubani che raggiungono clandestinamente gli Usa arriva la
cittadinanza, gli altri trovano i cani poliziotto, i vigilantes e i muri.
“Serve a proteggere le nostre frontiere” ribadisce Bush che, in un sussulto di
lucidità, si è però detto consapevole che non sarà certo un muro, per lungo e
alto che sia, a fermare l’immigrazione clandestina. Insieme al muro, Bush -
affiancato da Dick Cheney (che, come di consueto, starà già pensando come
assegnare alle sue imprese gli appalti miliardari dei lavori) - ha chiesto al
Congresso e al Senato di approvare una legge specifica sui permessi di lavoro
temporanei per gli immigrati. Anche questa, secondo Bush, servirà a “ridurre
la pressione alle nostre frontiere”. In questa richiesta, che si lega
inscindibilmente alla creazione del muro, emerge tutta la ratio della legge,
che si fonda su un elemento semplice: le braccia a basso costo
dell’immigrazione servono per il tempo che servono e non oltre; devono
funzionare come deterrente nei confronti del costo del lavoro interno, ma non
debbono intaccare i costi sociali che ne derivano; serve il lavoro, non i
lavoratori, i quali hanno obblighi, non diritti. Sono le braccia che
consentono la crescita dell’economia statunitense e la regolamentazione al
ribasso delle politiche salariali.
La politica statunitense verso il Messico conferma così il progetto di fondo
insito nelle relazioni che Washington vuole imporre: da un lato il Nafta e l’Alca
(quest’ultima sostanzialmente seppellita dalla sinistra di governo
latinoamericana), dall’altro i muri. Da un lato esportazioni di merci
eccedenti degli Stati Uniti a drogare i mercati a sud del Rio Grande;
dall’altro l’impossibilità per l’immigrazione latina di accedere al mercato
del lavoro statunitense. Merci libere, persone prigioniere. Il Messico si
conferma essere, secondo gli strateghi Usa, una estensione del mercato
statunitense dove scaricare manufatti di bassa qualità e a basso costo, mentre
si cerca - con la forza - d’imporre dei flussi migratori ridotti per
ricollocare la disoccupazione interna in funzione supplementare a quella mano
d’opera fino ad ora garantita dall’esodo massiccio degli immigrati messicani.
I sondaggi statunitensi non sembrano premiare la scelta dell’Amministrazione,
dal momento che il 53 per cento degli intervistati si dice contrario
all’edificazione del muro, contro il 43 che si dice favorevole. Ma nella sua
politica migratoria, Bush conferma l’essenza stessa delle sue tesi sulla
civiltà: i diritti per i ricchi, i muri per i poveri.
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