Il
Risveglio latino-americano
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lunedi 29 Maggio 2006
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U.G.
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Salve alcuni reportages
embedded apparsi qua e là su quella che in Italia viene definita ancora la
“grande stampa d’informazione”, tutti stilati secondo gli umori radical-chic del
momento e con evidenti forzature di definizione dei protagonisti (tutti di
“sinistra”, lasciando però intendere di “sinistra marxista”), l’esplosiva
contemporanea situazione latino-americana viene bellamente ignorata nella
penisola e nell’Europa dell’Ue.
Chissà. Sarà forse per un senso di fastidio intrinseco alle anime suddite e
coloniali che governano (si fa per dire) la nostra parte del mondo. Un
fastidioso disagio nel dover apprendere l’emergere di una forte spinta
all’indipendenza nazionale dell’America Latina tutta. Non a caso, sugli articoli
dedicati a quell’angolo del pianeta (che pure è zeppo di italiani di varie
generazioni) il massimo spazio viene tuttora dedicato - dai vari Corriere della
sera, la Repubblica, la Stampa e il loro semi-clandestino D’Artagnan, il
Riformista - ai cossidetti “illuminati” di Brasile e Cile, Lula e Bachelet.
Sulla presidenza argentina di Kirchner, riuscita a risollevare la nazione da una
crisi spaventosa indotta dal liberismo sfrenato delle multinazionali (anche
italiane) e delle banche d’affari con il torchio del Fmi, la consegna è
pressoché il silenzio. Se si eccettua qualche accenno alle obbligazioni
svalutate o a Maradona e al suo settore-spettacolo.
Accuratamente, molto accuratamente, vengono rimosse sia la definizione esatta
del partito di appartenenza del presidente argentino Kirchner (peronista,
giustizialista, nazionalista-latinoamericano, cioè), e sia le conquiste dei
lavoratori della Cgt (peronista, dell’una o dell’altra anima anch’essa). Nessuna
notizia poi per informare sulle Fasinpat (le aziende “senza padrone”
socializzate dagli ex dipendenti, operai e impiegati diventati proprietari del
proprio lavoro), o sulle trattative di rinnovo dei contratti di settore, nelle
quali appare sempre di più l’altra linea socializzatrice della gestione e degli
utili aziendali chiamata “partecipazione” o cogestione.
Accuratamente, molto accuratamente, vengono rimosse sia la definizio esatta del
partito di appartenenza del presidente venezuelano Chavez (bolivariano,
movimento V Repubblica, nazionalista) così che la stampa di fazione italiana che
ne tratta possa sottolinearne demagogicamente e falsamente sia il “populismo” e
sia un non meglio specificato sinistrismo marxista (Bertinotti & Sansonetti).
Poche e di parte, poi le notizie per informare sulle nazionalizzazioni delle
fonte energetiche e delle aziende strategiche. Tali politiche non sono - è
evidente... - democraticamente corrette.
Accuratamente, molto accuratamente, viene rimossa ogni idea politica del
presidente boliviano Evo Morales, il cui partito - il Movimiento al Socialismo -
si richiama ad un socialismo nazionale indio, ad un etno-socialismo.
Democraticamente e marxisticamente assai più che scorretto. E come per Chavez
anche per Morales vengono accuratamente “deviate”, meglio: mistificate, le
direttive economiche socializzatrici “per l’interesse nazionale”, descritte dai
pennivendoli di destra come “comuniste” e da quelli di (falsa) sinistra
ovviamente accettate come tali.
Cortina del silenzio infine, anche per il Perù. Dove la partita presidenziale,
il prossimo 4 giugno si gioca tra il vecchio aprista-riformista Alan Garcia e l’etnonazionalista
Ollanta Humala.
Humala, vincitore indiscusso del primo turno presidenziale parte dal 30 per
cento dei voti. Il suo sfidante, è appunto l’ex presidente Garcia, fermato al
24,3 per cento. Fuori dal ballottaggio è restata la candidata dell’alta
borghesia di Lima, Lourdes Flores, con il 23,7 per cento dei voti acquisiti nel
primo turno. Naturalmente ben pochi dei voti della Flores andranno all’etno-nazionalista
Humala, ma ciò non vuol dire che sarà Garcia a beneficiarne, perché, per l’alta
borghesia peruviana, la scelta in effetti, è tra due mali: uno conosciuto,
Garcia, e uno relativamente sconosciuto, Humala. Garcia, che è stato capo dello
stato tra il 1985 e il 1990 ha lasciato un pessimo ricordo di sé. L’inflazione
era arrivata a livelli da repubblica di Weimar (fino al milione per mille) e il
paese era in preda alle insurrezioni armate. Un crollo economico che aprì la
strada al decennio autoritario - corrotto e corruttore - di Alberto Fujimori,
conclusosi con l’arrivo di Alejandro Toledo, subito però adottato dagli
americani e dal «neoliberismo» delle multinazionali. L’ultimo, contestatissimo,
atto della presidenza Toledo non a caso è stato la firma di un Trattato-capestro
di libero scambio con gli Stati Uniti.
Il primo atto della possibile presidenza di Humala sarà quello di bloccarne la
ratifica.
E Humala ha anche altri assi nella manica. Può infatti contare non solo
dell’amicizia di Chavez e quindi del confinante Venezuela, ma anche della
Bolovia di Morales e dell’Argentina di Kirchner.
Non è certo poco, contando anche la diplomatica posizione del brasiliano Lula,
più incline, negli ultimi tempi, ad adeguarsi alla squadra nazionalista-latino
americana che sta andano per la maggiore. Naturalmente, dal suo canto, lo stesso
Humala non ha fatto mistero del suo «allineamento» all’asse radicale di Chavez,
Morales e, perché no, Kirchner.
La novità latino-americana sta tutta qui: nella evidente miscela esplosiva tra
un peronismo argentino illuminato, un indipendentismo bolivarista venezuelano,
un anticolonialismo alla boliviana, alla quale sta forse per aggiungersi l’etno-nazionalismo
di Humala.
Sullo sfondo? La creazione di una dimensione geopolitica continentale
latino-americana, in aperto contrasto alle mire egemoniche degli statunitensi e
dei loro centri di pressione e di dominio internazionale. La dottrina Monroe sta
forse per finire in archivio.