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Ride Evo Morales, mentre la
signorina procace agita contemporaneamente bikini e cartello di protesta,
profanando benevolmente la foto ricordo del quarto vertice Ue-America latina
e Caraibi. Niente chompa, il maglione-culto del nuovo corso boliviano.
Morales si presenta in giacchetta nera di pelle con inserti in tessuto
etnico, sull'onda dei completi grigio-presidente il presidente boliviano
spicca come una spiegazione. Il new deal latinoamericano si presenta a
Vienna, c'è un conto secolare da pagare tra la vecchia Europa e il
continente giovane del pianeta. Non sarà pagato oggi, ma si comincia a
capire che il passato non è più gratis. La due-giorni di Vienna si conclude
infatti con la dichiarazione di rito e il frequente ricorso a due parole
chiave: «tensione» e «populismo»
«Questo vertice si tiene in mezzo a profonde alterazioni nello scenario
politico» dice in apertura il presidente della Commissione europea José
Manuel Barroso e non potrebbe avere maggior ragione. Al vertice di Vienna
l'America latina si presenta come una rivoluzione rispetto a quella che
accudì ai summit precedenti di Rio, Madrid, Guadalajara e tra i sessanta
capi di stato e di governo riuniti a Vienna i fari sono puntati su due in
particolare, Hugo Chavez Frias e Evo Morales Ayma. Sono il «nemico»
dell'Europa liberista, e un sasso nella scarpa dell'America latina
«socialdemocratica».
Imbracciando il «decreto supremo» che a sorpresa ha nazionalizzato il gas
boliviano, a Vienna Morales si è esposto quanto più non poteva. Ha
denunciato la «storia nera» dell'Europa coloniale, ha annunciato che la
Bolivia non indennizzerà le compagnie espropriate, ha dichiarato che il
gigante brasiliano Petrobras agiva in Bolivia «illegalmente», ha scritto al
ministro degli esteri spagnolo Moratinos garantendo «sicurezza giuridica
vera e duratura» per gli investimenti della spagnola Repsol, ma niente
sconti. Di passaggio ha chiesto di poter entrare nell'Opec (l'unico altro
membro latinoamericano è appunto il Venezuela). Chavez lo ha difeso per
tutto l'incontro, gigioneggiando («la cosa più bella successa a questo
vertice», ha detto mentre portavano via la giovanotta in bikini e cartello)
e aprendo il fuoco su chi critica le recenti svolte latinoamericane. «Il
neoliberismo ha cominciato il suo declino, si avvicina la fine - ha detto -
e una nuova era è iniziata in America latina. Qualcuno la chiama populismo
per sfigurare la sua bellezza, ma è la voce dei popoli che si alza». Faccia
tosta e magniloquenza a parte, il Venezuela schiera se stesso e il suo
petrolio in direzione opposta a quella dell'Europa.
Il fuoco di risposta non ha tardato. Lo stesso europresidente Barroso si è
incaricato di spiegare che «noi siamo un'Europa contraria alle tendenze
populistiche», ed è stato Tony Blair - più che mai in disarmo come leader
europeo e come leader britannico - a premere il pedale del freno sul
problema numero uno tra i due continenti, quello petrolifero. «La politica
energetica delle nazioni che sono anche produttrici di energia, come la
Bolivia e il Venezuela, è una cosa che ci riguarda tutti quanti», ha detto.
«Spero solo che il potere che alcuni hanno avuto venga esercitato in modo
responsabile nei confronti dell'intera comunità internazionale».
Questo per quanto riguarda l'Europa. Sul fronte interno all'America latina,
mai il conflitto tra paesi «radicali» (Venezuela, Bolivia, Cuba) e paesi
«socialdemocratici» (Brasile, Argentina, Cile, Uruguay) è stato più netto.
Furioso per l'accusa di aver operato illegalmente in Bolivia, il ministro
degli esteri di Brasilia, Celso Amorim, non ha escluso che il governo Lula
possa ritirare l'ambasciatore a La Paz. «Se verificheremo che non è
possibile il dialogo - ha detto alla Bbc - esamineremo tutte le opzioni
possibili. La politica di buona vicinanza non esclude il fatto di difendere
energicamente i nostri interessi». Ed ha aggiunto a proposito del «gasdotto
del sud», i novemila chilometri di tubature che dovrebbero correre
attraverso Venezuela, Brasile, Argentina e Bolivia, che «se Petrobras non
parteciperà al gasdotto non ci sarà gasdotto: muito simple». Anche altri
latino-americani, il messicano Vicente Fox in testa, hanno attaccato il duo
Chavez-Morales.
Infine, piccola vittoria per Cuba: una dichiarazione congiunta sottoscritta
dai ministri degli esteri e adottata dai capi di stato che «per la prima
volta», dice il vicepresidente Carllos Lage, respinge «tutte le misure
coercitive di carattere unilaterale con effetti extra-territoriali».
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