| sabato 13 maggio 2006 | M. Matteuzzi | da www. ilmanifesto.it

 

 

 

 

 

L'America latina divisa. A sinistra

 

 

 

 

Forse per la prima volta l'America latina si doveva presentare al vertice di Vienna con l'Unione europea su posizione di forza. Capace di far valere, contro un'Europa che predica bene e razzola male, i suoi diritti in campo politico e il suo peso in campo economico per esigere un tratto non più di parente povero e di territorio di conquista delle ricchezze che - nonostante il secolare saccheggio - la rendono ancora un Eldorado. Forte per aver mostrato di non essere più solo il cortile di casa degli Stati uniti e aver indicato qualche via d'uscita in controtendenza rispetto al devastante neo-liberismo di rapina degli ultimi 20-30 anni.
Ma a Vienna si è presentata un'America latina divisa. E una sinistra latino-americana divisa.
E' innegabile che l'America latina si ritrovi a uno snodo cruciale. La svolta verso (centro)sinistra di questi ultimi anni non basta più a nascondere i problemi e i contrasti. Problemi e contrasti che si sono riacutizzati senza che i nuovi meccanismi di integrazione siano riusciti prima ancora che a risolverli, a evitarli, facendo emergere contenziosi vecchi e nuovi corredati da un'infinità di guerre e guerricciole anche recenti nonché da rivendicazioni che avvelenano i rapporti (fra i vecchi basta ricordare il secolare contenzioso sullo sbocco al mare della Bolivia negato dal Cile, fra i nuovi lo scontro fra Argentina e Uruguay per le papeleras).
All'inizio sembrava che il brasiliano Lula, l'argentino Kirchner, il venezuelano Chavez, l'uruguayano Vazquez, il boliviano Morales e perfino la cilena Bachelet potessero stare tutti nello stesso calderone. Sembrava che il Mercosud, il Mercato economico del sud costituito nel '91 da Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay (a cui sta per aggiungersi il Venezuela e vorrebbe aggiungersi la Bolivia, con il Cile come distante associato) potesse progredire verso la strada impervia dell'integrazione, dandosi una struttura più vicina alla Ue anziché rimanere più o meno al livello di un'unione doganale. Sembrava che il fermo rifiuto di Lula e di Kirchner all'Alca made in Usa potesse coincidere con l'iper-attivismo (anche sul piano ideologico) di Chavez e, ora, di Morales. Sembrava che la «Comunità sudamericana di nazioni», nata a Cuzco nel 2004, potesse accelerare il processo. Sembrava che la intifada india nei paesi andini e l'antimperialismo spinto di Chavez potessero confluire nella socialdemocrazia ortodossa di Lula (e ora di Vazquez) o eterodossa di Kirchner. Sembrava che il nazionalismo energetico - il petrolio venezuelano, il gas boliviano, il grande gasdotto latino-americano - potesse far partire una macchina che invece ora è in panne. E' bastata una mossa logica, attesa, per nulla rivoluzionaria come la nazionalizzazione del gas boliviano per grippare un motore che già sbuffava.
Per farla ripartire l'America latina oggi si trova di fronte a tre diversi «meccanici». Uno è il meccanico del Mercosud che, privo com'è di strumenti di compensazione a favore dei soci più piccoli - basti ricordare il ruolo dei fondi strutturali della Ue per Spagna e Portogallo -, rischia di frantumarsi fra le tentazioni egemoniche del pur essenziale asse «socialdemocratico» Brasile-Argentina e la giustificata rabbia degli anelli deboli Uruguay-Paraguay. Il secondo meccanico su piazza è l'asse Chavez-Morales (con il Fidel Castro nel ruolo di grande vecchio), che anche lasciando da parte le idiozie alla Repubblica sulla «sinistra militarista», ha in testa un progetto molto più radicale, antimperialista e antineo-liberista (e molto più rischioso). Il terzo meccanico è una vecchia conoscenza: il meccanico di Washington che, non riuscendo a mettere in moto la macchina dell'Alca, «offre» (impone) a ciascun paese il suo bel Trattato di libero commercio su scala bilaterale. A lui si sono già rivolti paesi amici (come il Cile del socialista Lagos) o vassalli (come il Perù di Toledo e la Colombia di Uribe) e altri sono tentati (come l'Uruguay del socialista Vazquez e l'Ecuador).
L'America latina dovrà sciogliere i suoi nodi a sinistra. Perché se no tornerà la terra da preda che è sempre stata per tutti i conquistadores.