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Una parte importante dell'America Latina cerca
di chiudere le sue vene aperte dopo un'emorragia di secoli e diventa un
laboratorio che può insegnare molto ai movimenti europei (per non dire dei
governi). I suoi poveri sono riusciti a defenestrare 11 presidenti negli ultimi
sei anni e perfino si sono dati governanti che dai movimenti sociali vengono e
che tali tuttora si ritengono, come ha sottolineato il Ministro dell'Acqua
boliviano Abel Mamani partecipando al «controvertice» Enlazando Alternativas (Ea)
conclusosi ieri a Vienna dopo quattro giorni di incontri fra attivisti europei e
latinoamericani (ma con inviti estesi ai governanti di Venezuela e Bolivia).
In parallelo si svolgeva il Vertice dei capi di stato di Europa, America Latina
e Caraibi, a negoziare accordi economico-commerciali i quali, se possono
apparire alternativi all'abbraccio mortale degli Usa, si ispirano, ha detto la
messicana Maria Atilano della Rete di azione contro gli accordi di libero
commercio, «alle stesse logiche neoliberiste e competitive dell'Organizzazione
mondiale del Commercio, all´espansione dei mercati e degli investimenti
multinazionali europei, con il corredo di privatizzazione dei servizi e di mano
pesante sulle risorse minerali, sull'acqua, sulla biodiversità, sui contadini e
sulle fasce deboli. Adesso la minaccia più imminente è l'accordo Ue-Centramerica,
così come i negoziati europeo-messicani che appaiono intrisi di dialogo e
concertazione, certo coperti di panna rispetto a quelli con gli Usa, ma
avvelenati allo stesso modo».
Contro questi accordi i movimenti sociali delle due «sponde» lavorano insieme:
«Si è rivelata forte la combinazione di lotte locali e di solidarietà
internazionale contro le multinazionali, anche europee». Del resto la stessa
integrazione europea è di stampo neoliberista (come la relativa Costituzione) e
poi, ha detto l'economista argentino Julio Gambino, «che il vostro continente
mantenga un certo welfare state, a differenza degli Usa, non vuol dire che lo
applichi negli accordi con paesi terzi e più impoveriti. Le sue imprese sono
allo stesso modo aggressive».
Certo, sono gli Usa a occupare militarmente il continente con il pretesto della
lotta al narcotraffico o ad Al Qaeda; però l'Ue non si oppone. L'installazione
di una base operativa del Plan Colombia statunitense ad Aruba e Curacao è una
gentile concessione olandese. Le attività di cooperazione dell'Unione suscitano
molti dubbi: è il caso non unico del finanziamento a un programma governativo
messicano di «sviluppo sostenibile» nelle zone zapatiste. Ed è confermato
l'appoggio europeo alla pretestuosa «lotta alle droghe» con il suo approccio
repressivo rispetto ai produttori di coca e micidiale per i diritti umani e
l'ambiente; l'Europa al più aggiunge lo zuccherino della «sostituzione delle
colture».
Intanto il debito ingiusto dell'America Latina non è stato cancellato e torna a
essere un'arma di ricatto, anche negli accordi commerciali. «Chi è in debito con
chi?» si è chiesto il Tribunale popolare sulle politiche neoliberiste e le
multinazionali europee in America Latina. E al debito ecologico e sociale,
storico e attuale dell'Occidente, se ne aggiunge uno nuovo: per l'ispirazione,
le pratiche, i progetti di cambiamento offerti dai movimenti sociali
dell'America Latina. E perfino da certi governi; sipensi a quel «non rubare, non
mentire, lavorare tanto» (i tre obblighi che la cultura andino-boliviana impone
ai governanti); o il progetto bolivariano di integrazione continentale solidale,
complementare e non competitiva, chiamato Alba.
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