Quella
mattina del 17 luglio 1980 Marcelo Quiroga Santa Cruz si era svegliato
prestissimo, come di consueto. Aveva indossato la camicia bianca appena
inamidata da Cristina, si era annodato la cravatta e aveva calzato i suoi
mocassini. Il sole era molto caldo e la giacca appesantiva la sua pelle, ma
Marcelo la metteva ogni giorno e l'avrebbe fatto anche oggi. Mentre
sorseggiava il suo mate, pensò compiaciuto alla sua primogenita Marisol
ormai divenuta una donna, e salutò idealmente il secondo figlio Rodrigo,
emigrato per studiare in Germania. Baciò sua moglie e lasciò la casa nel
centro di La Paz per dirigersi alla sede della Centrale operaia boliviana.
Era una giornata piena di impegni, Marcelo dopo il colpo di stato contro il
neoeletto presidente Hernán Siles Zuazo, orchestrato dal generale Luis
García Meza, era nervoso e aveva una riunione con i compagni del sindacato
per organizzare l'opposizione. Non era ancora mezzogiorno quando udì delle
urla e sentì le scarpe pesanti dei militari salire frettolosamente le scale.
In quel momento capì che non sarebbe stato il solito controllo: si arrivava
alla resa dei conti. I paramilitari - uomini della scorta di Hugo Banzér
Suarez, si seppe dopo - costrinsero tutti i presenti a scendere le scale in
una fila ordinata. Cercarono di separarlo dagli altri, ma Marcelo si
divincolò e tornò al suo posto. Arrivati al pianoterra iniziarono gli
insulti e le percosse, Marcelo intese e alzò le mani in segno di resa. Partì
una raffica di proiettili che gli trapassò il torace, mentre una serie di
colpi uccise Carlos Flores, il suo compagno di lotte nonché dirigente
sindacale. Marcelo barcollò e crollò sul corpo di Carlos. I paramilitari
trascinarono tutti per le scale, vivi e morti, li caricarono su di
un'autoambulanza e li portarono allo stato maggiore.
Dalle foto scattate nella sede delle forze armate sappiamo che Marcelo
arrivò ancora vivo. Le immagini lo ritraggono esangue mentre indica qualcosa
fuori dall'obiettivo. Alle cinque del pomeriggio arrivò una telefonata alla
moglie Cristina Quiroga: «Non cercatelo più, Marcelo è morto». Quanto
accaduto dopo è ancora un mistero. Secondo le ricostruzioni del processo al
generale García Meza, condannato negli anni novanta per aver dato l'ordine
di assassinarlo, i militari si liberarono dei cadaveri senza che i medici
legali eseguissero l'autopsia, ma prima vollero infierire con calci, colpi
di baionetta e altri spari. Il corpo di Marcelo, torturato e seviziato prima
di morire, fu fatto a pezzi, bruciato nella fonderia di Vinto, nei pressi di
Oruro e, per non essere mai più ritrovato, disperso nella selva. Lo stato
maggiore aveva il timore di una rivolta popolare.
Battaglie per la sovranità popolare
Marcelo Quiroga Santa Cruz, socialista, è stato una figura centrale nelle
lunghe battaglie dei boliviani per la sovranità popolare dagli anni sessanta
in poi, ed è stato uno dei più strenui sostenitori della nazionalizzazione
del petrolio boliviano (da poco rimessa in atto dal presidente Evo Morales
contro lo strapotere delle compagnie petrolifere). Nel 1969 fu lui, in
qualità di ministro delle miniere e del petrolio del governo Ovando, a
firmare il decreto che rendeva gli idrocarburi della Bolivia un bene
pubblico. Una vittoria per il paese e per Marcelo, se non fosse che dopo
pochi mesi il petrolio, sotto la pressione degli Usa e della Gulf Oil, fu
nuovamente privatizzato. Marcelo si trovò a dover iniziare una lunga
opposizione, durata dieci anni, ai generali-dittatori e agli interessi delle
multinazionali del petrolio, un impegno che gli sarebbe costato la vita.
Oggi nella sua terra è considerato un eroe civile per la sua condotta
irreprensibile; e anche una sorta di Cassandra che ha previsto e denunciato
il destino della nazione, ricchissima di materie prime (la Bolivia è il
secondo produttore di gas dell'America del sud) ma la più povera dell'area.
La storia del leader socialista è quasi sconosciuta fuori dai confini
boliviani, le sue vicissitudini si perdono nelle foreste insieme al suo
corpo.
La prima interpellanza per chiedere conto della marcia indietro sulla
nazionalizzazione degli idrocarburi, Marcelo la tenne in una sola notte.
Aveva chiesto un dibattito di almeno tre giorni, ma il governo, per paura
che l'opinione pubblica potesse reagire, lo obbligò a esporre i fatti in
un'unica seduta. Marcelo parlò per 14 ore di fila senza mai fermarsi,
nonostante le angherie e le continue interruzioni dei parlamentari. Ecco
alcuni stralci del suo discorso: «La legge sul petrolio è stata scritta da
avvocati pagati dalle compagnie straniere con l'evidente proposito di
garantire loro guadagni smisurati a spese della nostra misera economia
nazionale... Questa legge ha trasferito la proprietà e il diritto di
esportazione del petrolio alle imprese private, violando la costituzione.
Non consente allo stato di controllare i guadagni delle compagnie
petrolifere alle quali fa pagare tasse ridicole... Dobbiamo controllare il
prezzo dei combustibili se vogliamo industrializzare il paese: non avremo
mai le acciaierie se i costi non lo permettono, e i costi non saranno mai
bassi se il combustibile è caro». All'alba Marcelo lasciò la sede del
parlamento, era atterrito moralmente, sconfortato e sfinito fisicamente.
Poche settimane dopo si dimise e da quel momento divenne un uomo scomodo per
tutti i governi che poi si succedettero.
Ma già nel 1966, quando era stato eletto come deputato indipendente, era
stato immediatamente chiaro che Marcelo Quiroga Santa Cruz era un uomo che
doveva essere fermato. Nel 1968, dopo l'assassinio di Ernesto Che Guevara,
in Bolivia per organizzare una campagna rivoluzionaria, Santa Cruz chiese
l'incriminazione di René Barrientos quale infiltrato della Cia e per il
ruolo che aveva avuto nel delitto insieme ai berretti verdi statunitensi.
Chiese quindi l'espulsione di Barrientos dal parlamento e il suo
imprigionamento in Amazzonia. Per tutta risposta fu lui ad essere accusato
di spionaggio. Quiroga si presentò spontaneamente in tribunale: fu arrestato
dalla Direzione d'investigazione criminale e confinato nella giungla, nella
regione di Madidi.
Una breve tranquillità
Fu liberato durante il breve mandato di Luis Adolfo Siles Salinas per poi
diventare ministro del petrolio durante il governo del generale Alfredo
Ovando Candia. La sua tranquillità però durò poco. Nel 1971 aveva appena
fondato il Partito socialista uno (Ps-1) quando avvenne il colpo di stato di
Hugo Banzér. Marcelo, nel momento in cui seppe della presa militare del
parlamento, imbracciò il suo vecchio fucile e scese nelle strade a
combattere insieme a studenti e operai. Per un giorno intero la resistenza
fronteggiò i militari, le perdite tra i civili furono alte, la rivolta venne
sedata nel sangue. Quiroga fu costretto ad andare in esilio con moglie e
figli in Argentina. Qui divenne commentatore del periodico Noticias
(ala rivoluzionaria del peronismo) e insegnò all'Università di Buenos Aires.
Dopo il colpo di stato di Pinochet,nel 1973, si trasferì in Messico, dove
scriveva per El Día, ottenendo una cattedra universitaria all'Unam.
Era il 1977 quando Marcelo decise di tornare in patria. Il nipote José
Antonio organizzò il suo rientro. Con documenti falsi attraversò la
frontiera del Perù. Una coppia di amici lo aspettava in macchina: lo
aiutarono e lo tennero nascosto. Dopo qualche mese la dittatura di Banzér
cominciò a vacillare. Iniziarono quattro donne con uno sciopero della fame
contro i delitti e le prepotenze della dittatura. In due settimane erano in
migliaia a digiunare. Banzer cadde, Marcelo riorganizzò il Partito
socialista, che divenne il quarto nel paese durante le elezioni che lo
portarono nuovamente in Parlamento. Appena venne eletto, il leader del Ps-1
iniziò il processo a Banzér. «Il generale e i suoi ex ministri hanno
imprigionato, assassinato e torturato» - disse Quiroga in un discorso
parlamentare. «I funzionari di Banzér hanno arraffato a piene mani generosi
crediti a fondo perduto e decine di migliaia di ettari statali sono stati
spartiti fra ministri parenti e amici del regime. Per i contadini invece,
solo repressione e massacri».
Presto la Bolivia ripiombò nel caos. Le elezioni del '79 e dell'80 furono
segnate da brogli. Ci furono colpi di stato, rovesciamenti di fronte e
governi guardiani. Nel marzo 1980, il generale Luis Garcìa Meza fu
l'artefice di un violento golpe. Il suo governo sarebbe divenuto tristemente
noto per le violazioni dei diritti umani, il narcotraffico, la cattiva
gestione economica e finanziaria. Perfino gli Usa gli rifiutarono
ufficialmente qualsiasi relazione politica formale. Il 21 giugno 1980 Meza
minacciò pubblicamente Marcelo: il 17 luglio lo fece assassinare. Il
rapporto ufficiale parla di 13 morti e dieci feriti nell'assalto alla
Centrale operaia, la stampa riportò le immagini di almeno ottanta cadaveri,
il popolo ricorda che quel giorno morirono in duecento: corpi accatastati
nei camion e fatti sparire. Ancora oggi la vedova Cristina Quiroga Santa
Cruz e i suoi figli non sanno dove siano stati dispersi i resti di Marcelo e
chiedono di veder condannati i suoi assassini.