L’America Latina
torna a sperare. Dopo i progressi iniziali dell’ALBA di Hugo Chavez e
l’affermazione di forze progressiste al governo in molte nazioni
sudamericane, è arrivata l’ora della Bolivia. Il paese più povero
dell’America latina, il cui spirito indomito non è stato ancora fiaccato da
cinque secoli di vessazioni subite dallo sfruttatore di turno, ha deciso di
cambiare rotta affidando il timone a Evo Morales, leader carismatico del MAS
(Movimento per il Socialismo).
Il successo elettorale ottenuto dalla coalizione izquierdista, che al primo
turno aveva già superato il 51% dei voti, è stato un trionfo senza
precedenti; anzi, il risultato delle elezioni boliviane ha quasi del
miracoloso, se si tiene conto dell’ostruzionismo esercitato dai media
televisivi - CNN in testa - e della campagna d’odio scatenata contro il MAS
da parte dell’oligarchia dominante.
La scalata al potere di Evo Morales, indigeno di umili origini, ha radici
molto lontane nel tempo. La lotta di Evo per i diritti degli indios comincia
dalle piantagioni di coca del Chapare con l’impegno a favore dei contadini
sfruttati ed esclusi dall’iniqua distribuzione della ricchezza, prosegue con
la lunga militanza nel sindacato dei cocaleros, per giungere finalmente sul
più alto gradino istituzionale.
Ma il sogno di “Evo presidente” non si sarebbe mai realizzato senza la lotta
degna e coraggiosa di migliaia di indigeni, passata alla storia come “Guerra
dell’Acqua”, che a partire dal 2000 cominciava lentamente a sgretolare quel
potere politico-economico “imposto vent’anni or sono dall’impero e dal
capitale finanziario internazionale con la complicità dei partiti politici
tradizionali e della destra”.* Da questo punto di vista, la storica “svolta
a sinistra” può essere considerata la naturale conseguenza del ciclo di
mobilitazioni popolari per la difesa del libero accesso alle fonti idriche
del paese; un diritto primordiale minacciato dal tentativo di un consorzio
di multinazionali di impossessarsi degli acquedotti situati nella regione di
Cochabamba. Le rivolte per l’acqua ebbero pieno successo giacché, dopo la
morte di cinque persone ed il ferimento di altre centinaia tra i
manifestanti, il popolo di Cochabamba riuscì infine a cacciare il consorzio
“Aguas del Tunari” (a cui appartengono - tra le altre - l’impresa
statunitense Bechtel e l’italiana Edison) e a riappropriarsi dell’azienda
municipale.
Tuttavia, la stagione delle lotte conobbe il suo apice sul finire del 2003.
Ondate di scioperi e proteste popolari attraversarono nuovamente la Bolivia,
in seguito alla decisione assunta dal governo in carica di svendere il gas -
risorsa di cui il paese andino ancora abbonda - alle compagnie straniere.
L’entrata in vigore dell’infausta Ley de Hidrocarburos, un autentico regalo
per le multinazionali, costò la testa al presidente Sanchez de Losada (detto
“el gringo” per l’eccessiva deferenza verso gli Stati Uniti), costretto
frettolosamente a lasciare il suo paese di fronte ad un clima di violenza
crescente che egli stesso aveva contribuito ad alimentare autorizzando l’uso
della forza contro i manifestanti.
Rafforzato da tante esperienze di lotta, il movimento spontaneo denominato
“Coordinadora en defensa del agua y de la vida”, insieme ad un variegato
schieramento di altre forze sociali, è riuscito negli ultimi sei anni a
condizionare l’agenda politica del paese vincolandola alla realizzazione di
una serie di riforme considerate necessarie, se non addirittura impellenti:
1)
Riappropriazione del patrimonio comune attraverso la nazionalizzazione del
gas e delle fonti idriche, ovvero le due principali risorse che continuano a
far gola agli investitori stranieri.
2) Assemblea
costituente su base popolare, senza ingerenze da parte dei partiti.
3) Riforma
agraria per consentire finalmente una più equa distribuzione
della terra.
4) Fine
dell’impunità per i responsabili dei delitti politici e di lesa umanità
contro il popolo e gli esponenti della società civile boliviana.
Guidata da questi precisi orientamenti, la coalizione di Evo Morales si
appresta dunque a varare il nuovo piano di governo, sotto l’occhio vigile
della destra messa nell’angolo dalla mobilitazione popolare ma pur sempre
pericolosa, potendo ancora contare sull’appoggio “in risorse materiali e
intellettuali delle multinazionali e dell’imperialismo statunitense, mentre
continuano a restare in vigore le sue leggi di manipolazione, che hanno
stabilito e consacrato la gerarchia sociale escludente e razzista garantendo
lo sfruttamento”.* Oltre alla destra tradizionale, c’è in agguato un altro
nemico da cui la stessa società civile boliviana dovrà guardarsi; si tratta
di quella forza sociale - oscura ed amorfa - formata dai tecnocrati caduti
in disgrazia con la fine del vecchio regime (ma sempre pronti a riciclarsi
con il nuovo) e dai nuovi arrivisti della politica. Entrambi considerano
l’ascesa al governo del MAS una ghiotta opportunità per ottenere posti di
spicco nell’apparato statale.
Nonostante tutte le insidie e le contraddizioni insite nell’esercizio del
potere, l’esecutivo in carica dovrà sforzarsi di mettere in pratica il
principio del “comandare obbedendo”- come dicono gli zapatisti -,
rispondendo al bisogno di giustizia di tutti quei boliviani che, organizzati
e mobilitati dal basso, “non saranno mai più disposti a lasciare che
qualcuno li inganni, né che amministri o negozi le loro conquiste”.*
“Ora non rimane che lottare per l’unità
latinoamericana, ricostruire il Tahautinsuyo, la Patria Grande di Bolivar,
per ottenere una vita migliore”.
Evo Morales
Note:
* “Evo presidente” di Oscar Olivera (“Coordinadora en defensa del agua y
de la vida” di Cochabamba) – da Carta Etc n°2, marzo 2006.