29 giugno 2006 - N.Diaz www.granma.cu |
BOLIVIA
Un’altra ossessione
che fa
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Domenica 2 luglio, quando i boliviani si recheranno alle urne per eleggere i loro rappresentanti nell’Assemblea Costituente, incaricati di dare al paese una nuova Carta Magna, la cui lettera e spirito garantiscano l’uguaglianza dei cittadini e difendano il loro patrimonio nazionale dalla rapina straniera, potrebbero venire sepolti i tentativi dell’opposizione e di Washington di far fallire il primo Governo indigeno dell’America Latina ed impedire che si ripetano nella regione esperienze di questo tipo.
Quando Evo Morales, nel dicembre scorso, demonizzato dalle campagne contro di lui e dai sondaggi manipolati, ha conquistato la vittoria nelle urne con il 54% delle preferenze dell’elettorato, un nuovo sasso è entrato nelle raffinate scarpe del presidente George W. Bush e dei suoi principali consiglieri.
Liberarsi da questa molestia è divenuto uno dei principali impegni di questa Amministrazione, che in questo secondo ed ultimo mandato ha già accumulato più fallimenti di quanti immaginasse quando, l’11 settembre 2001, capitalizzò a suo favore la tragedia della distruzione delle Torri Gemelle.
Allora Afghanistan, Iraq, Iran, Venezuela e Cuba vennero definiti "oscuri angoli" del mondo che, mostrando il pollice verso, sarebbero stati cancellati.
Un trionfo dell’indigeno Evo Morales era impensato e non era necessario dedicargli un minuto di tempo.
Quando il Movimento al Socialismo (MAS) ha vinto la contesa elettorale, la situazione di Washington si stava iniziando a rovesciare: non era riuscita a pacificare l’Afghanistan, un numero sempre maggiore di suoi soldati venivano uccisi dalla resistenza irachena, l’Iran non si lasciava piegare e Cuba e Venezuela stavano continuando ad avanzare sulla via del socialismo.
Attaccare la Bolivia, crearle problemi, sovvertire il suo ordine interno sostenendo l’opposizione borghese, soffiare sul fuoco del prefabbricato separatismo, inventare campagne di discredito del Presidente nel senso di una presunta subordinazione al Governo di Caracas ed al massimo leader bolivariano, sono state alcune delle offerte del suo menù destabilizzatore.
La nazionalizzazione degli idrocarburi, avvenuta il 1º maggio, l’approfondimento di un’effettiva riforma agraria, la revisione dei contratti minerari affinché i loro benefici vadano al popolo e non alle transnazionali che sottraggono gli introiti del paese, il recupero d’imprese vitali (come quella dell’elettricità e delle telecomunicazioni), dando allo Stato il controllo del 51% delle decisioni e degli utili, così come portare salute ed istruzione nei più appartati e necessitati luoghi della geografia boliviana sono, per i gusti dell’impero, conquiste troppo grandi per un popolo vissuto a testa bassa durante tanti secoli di dominazione e colonialismo.
Per impedirlo, tra le altre manovre, hanno tirato fuori dalla cassetta degli attrezzi un personaggio di seconda categoria: Antonio Franco, nientemeno che il capo del Dipartimento dell’America Latina nell’Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID), eufemismo dietro il quale si nasconde una vera e propria fabbrica di calunnie, discredito e sovversione, che serve a tutte le Amministrazioni nordamericane contro il continente.
Franco ha espresso i timori degli USA sui presunti "pericoli antidemocratici" in Bolivia, opinione riprodotta e strombazzata dall’ultraconservatore e destrorso quotidiano The Miami Herald.
"Il nuovo Governo boliviano ha dimostrato molte volte la sua inclinazione a rafforzare il potere Esecutivo e promuove riforme potenzialmente antidemocratiche attraverso l’Assemblea Costituente e con altri mezzi" ha aggiunto Franco, che ha inoltre accusato Evo Morales di "esercitare pressioni" affinché "la Costituente sia simile a quella che sostenuta, a suo tempo, dal presidente Hugo Chávez in Venezuela".
Tra gli argomenti citati da Franco, da questi presentati come una prova delle intenzioni antidemocratiche di Morales, c’è la decisione di nazionalizzare le risorse naturali, comprese quelle del settore energetico, così come le sue presunte decisioni d’ingerenza negli affari giudiziari ed elettorali.
Franco, come se queste dichiarazioni non fossero sufficienti ha anticipato, certo di essere un ventriloquo della Casa Bianca, che USAID appoggerebbe "il contrappeso rispetto al controllo di un solo partito, sia in campo giudiziario che per quanto riguarda l’indipendenza dei mezzi di comunicazione, oltre alla formazione di leader di una Società Civile forte ed istruita".
A queste minacce interventiste si somma la presenza di soldati nordamericani a La Paz camuffati da accademici, che sono stati al centro della denuncia e dell’attenzione degli organi di stampa boliviani in quest’ultima settimana.
È stata la statale Agenzia Boliviana d’Informazione (ABI), a denunciare che la detta infiltrazione dura da mesi, accusa rispetto alla quale lo stesso presidente boliviano ha preteso pubblicamente una spiegazione da parte dell’Ambasciata USA nel paese, giacché è stata confermata dai servizi segreti, che hanno assicurato che una buona parte dei 23 statunitensi partecipanti al corso sui "conflitti interni", in corso a La Paz, sono militari.
La denuncia è stata avallata dal vicepresidente Alvaro García, dal ministro di Governo Alicia Muñoz e da quello della Difesa Walker San Miguel.
Le rivelazioni citano come esempio i casi già comprovati dei sergenti Mark Patrick Peláez e Michael Humire. Quest’ultimo, oltre ad essere stato addestrato come franco tiratore, è un esperto in esplosivi ed operazioni speciali.
Il presidente boliviano ha ribadito le denunce sulla messa in moto da parte dell’Amministrazione repubblicana di George W. Bush di una cospirazione contro il suo Governo nella quale sarebbero coinvolti non solo gli oppositori interni degli sconfitti partiti tradizionali, ma anche transnazionali petrolifere che vedono pregiudicati i loro interessi. Questo conferma le sorprendenti dichiarazioni di Franco quando, nel colmo della prepotenza e dell’arroganza, ha avvertito minacciosamente che il presidente degli Stati Uniti "sta perdendo la pazienza con la Bolivia".
Vedremo dal risultato dell’elezione di domenica prossima fino a dove può
arrivare l’impotenza statunitense quando un popolo come quello della Bolivia
decide di prendere in mano, senza ingerenze e paure, il suo destino.
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