17 giugno 2006 - www.prensalatina.it

 

La Bolivia rivendica il diritto a

difendere la sua sovranità

 

 

Il diritto della Bolivia a difendere la sua sovranità, compreso con le armi, si profila con chiarezza dopo essere stato rivendicato dal governo davanti ad una possibile aggressione nordamericana.

Di fronte ad eventuali critiche conservatrici, il vicepresidente, Álvaro García, ha sottolineato che è naturale che una nazione rivendichi il diritto ad utilizzare i mezzi alla sua portata per preservare la sua sovranità, compresi i coercitivi.

In tale senso ha commentato le ripercussioni di una dichiarazione del presidente Evo Morales che, in caso di un'aggressione a Cuba, Venezuela o Bolivia, “siamo disposti ad affrontare ed a difendere anche con le armi la patria e le risorse naturali e le altre trasformazioni sociali”.

Per García, la sovranità è un concetto sul quale nessun paese può cedere e sotto il presente governo si esprime anche nella lotta contro il narcotraffico senza imposizioni di nessun tipo, allusione all'ingerenza, sotto governi anteriori, degli Stati Uniti sul tema. Ha aggiunto che la Bolivia apprezza la collaborazione di Washington ed altri paesi, ma in una cornice di rispetto della dignità e della sovranità nazionale.

Ha segnalato che la sovranità è un concetto rispetto al quale nessun paese può transigere e che una dimostrazione di ciò è la decisione boliviana di lottare contro il narcotraffico, senza accettare imposizioni di nessun tipo.

“Non c’è dubbio che difendiamo l'integrità della nostra patria, la nostra sovranità e le nostre decisioni come Stato boliviano che è una struttura istituzionale che conta su meccanismi coercitivi".

In questo contesto, si sottolineano anche i commenti di Morales a favore di una campagna internazionale per ottenere l'estradizione dell'ex presidente Gonzalo Sánchez di Lozada, per la sua condanna in Bolivia per genocidio.

A detta del Presidente, questa è l'unica maniera per ottenere l'estradizione, cosa che allude alla protezione che Washington dispensa all'ex governante ed a quello che era il suo principale collaboratore, Carlos Sánchez, entrambi auto-esiliatisi negli Stati Uniti.

Il capo di Stato ha fatto la dichiarazione commentando le versioni, ufficialmente smentite, che l'ex ministro Sánchez, sia stato clandestinamente in Bolivia. “I latitanti della giustizia boliviana che utilizzarono male le forze armate e la Polizia per affrontare il popolo, non appaiono” ha detto Morales.

Il processo contro Sánchez de Lozada e vari dei suoi ex collaboratori è fermo per la mancanza di collaborazione del governo nordamericano che dovrebbe estradare gli imputati rifugiati nel suo territorio.

Una delegazione governativa e giudiziale boliviana si é recata, alcune settimane fa, negli Stati Uniti per chiedere l'estradizione degli accusati ed al suo ritorno si é lamentata della mancanza di volontà politica di Washington a collaborare col riferito giudizio.

L'ex ministro è considerato artefice della repressione, con 67 morti, della ribellione sociale che, in qualche modo, ha obbligato, nell’ottobre del 2003, Sánchez di Lozada a rinunciare alla Presidenza.

È accusato anche per il massacro di 33 persone in un'esplosione sociale scatenata da uno sciopero di poliziotti nel febbraio del 2003.

Il vice ministro dell'Interno, Rafael Puente, ha affermato che, nonostante tutto, Sánchez Berzaín ha il sostegno e l'appoggio di settori imprenditoriali conservatori, ostinati in una campagna di destabilizzazione del governo del presidente Evo Morales.

Ig/mrs