La ‘guerra’ del gas



| Lunedi 6 Marzo 2006 - 14:22 | Cristiano Tinazzi |
 

 

Il gas boliviano, ora che sta tornando pienamente sotto il controllo statale, è oggetto di un corteggiamento serrato portato avanti da più Stati. La disputa, attualmente, è tra Cile e Messico, anche se i giochi sono già stati chiusi a causa di un contenzioso tra i due Paesi andini di importanza vitale per la Bolivia: lo sbocco al mare.
L’amministrazione Morales non intende così cambiare la politica di chiusura nei confronti del Cile che tolse a La Paz l’unica via di accesso all’oceano dopo la ‘guerra del Pacifico’ vinta contro Bolivia e Perù a fine Ottocento. Il presidente Lagos ci ha provato, sapendo dell’imminente incontro tra il Ministro dell’Energia messicano e quello boliviano, a ricucire lo strappo: ha detto che per la Bolivia “il miglior partner potrebbe diventare il Cile”, aggiungendo a tal proposito che il Paese sta per avere un rigassificatore che gli permetterà di mantenere prezzi competitivi per il prezioso elemento. Ma non c’è stato verso. La Bolivia continuerà a non vendere il suo gas naturale al Cile e non pagherà alcun nolo ai porti cileni per le esportazioni di questa sua risorsa. Morales, non appena eletto, lo scorso dicembre, aveva affermato che “parlare del Cile è parlare del mare. Se vogliono la diplomazia - aveva aggiunto - devono dare il mare alla Bolivia”. E questo vale anche per il gas. Il Cile importa dall’Argentina 22 milioni di metri cubi di gas al giorno, importazione che negli ultimi due anni ha subito delle restrizioni dovute a necessità interne del vicino Paese. Ora deve fare una scelta. Rispettare il trattato stipulato nel 1904 concedendo così lo sbocco sul mare alla Bolivia o rinunciare all’economico gas boliviano.
Intanto il Messico sta concretizzando la realizzazione di una società mista con lo stato Boliviano per trasportare il gas nel Paese centroamericano. La visita a La Paz di Fernando Canales, Ministo dell’energia messicano, insieme al direttore della Pemex (Petróleos Mexicanos), Luis Ramírez Corzo, insieme a tecnici e funzionari della Commissione Federale dell’Elettricità, ha portato a un accordo tra i due Paesi. Dopo la riunione con il Ministro boliviano per gli Idrocarburi, Andrés Soliz, Canales ha detto che il suo Paese ha le capacità per la trasformazione del carburante sia mper la Bolivia che per il Perù, Paese nel quale sta avviando delle prospezioni di nuovi giacimenti.
Il ministro messicano ha detto che il suo Paese sta costruendo due impianti di rigassificazione nei porti di Altamira e di Ensenada e che farà nel maggio prossimo licitazione internazionale per assicurarsi la fornitura di gas dal 2010 per un terzo impianto che sorgerà a Manzanillo.
Ma le intenzioni del Messico non sono quelle di rifornirsi solamente del gas della Bolivia, ma di formare una società “nel processo di estrazione e industrializzazione dello stesso”, ha aggiunto Canales. “Abbiamo sottoscritto un Trattato di Libero Commercio con la Bolivia, e ora vogliamo applicarlo anche nel settore energetico”, ha aggiunto. Una delle possibilità vagliate durante la riunione per la costituzione della società mista tra Pemex e YPFB è la vendita di gas boliviano agli Stati Uniti attraverso i gasdotti messicani che sono in progettazione e che avranno i loro terminali in California. L’ultima parola però spetta al governo di Morales, che potrebbe non essere d’accordo su questa soluzione. Tutto sta nei futuri rapporti diplomatici tra i due Paesi.
Intanto l’accordo sottoscritto tra Colombia e Stati Uniti nell’ambito del TLC, sta causando seri problemi al settore della produzione di soia boliviana, che verrà tagliata fuori dal mercato colombiano: le esportazioni di soia provenienti dalla Bolivia infatti, verranno quasi completamente sostituite da quelle provenienti dal Nordamerica. Morales ha assicurato che le esportazioni di soia in Colombia sono assicurate per altri cinque anni, ma dopo? “Abbiamo alcuni anni per rinegoziare o trovare altri mercati”, ha detto il presidente. Morale ha poi convocato una riunione urgente della Comunità Andina delle Nazioni (CAN) per chiedere il rispetto degli accordi regionali.