12 maggio 2006 tratto da www.comunisti-italiani.it

 In Bolivia l’insubordinazione continua

 

 

di Oscar Olivera, Dirigente sindacale e portavoce della Coordinadora de Defensa

del Agua y de la Vida di Cochabamba

 

“Evo Presidente” sono le due parole che ricorrono non soltanto nelle redazioni dei mezzi di comunicazione di tutto il mondo, ma anche sulle labbra della gente semplice e lavoratrice della Bolivia. Quel che molti dimenticano, però, e per questo cercheremo di rinfrescare la memoria storica del nostro popolo, è che «Evo Presidente» non sarebbe stato possibile senza la lotta dignitosa, eroica, di milioni di indigeni e degli strati popolari della Bolivia nel corso dei secoli. Ma soprattutto, questa vittoria elettorale non sarebbe stata possibile se nel 2000 il nostro popolo non avesse costruito quello spazio di ribellione conosciuto a livello mondiale come «la Coordinadora». E’ stato grazie alla cosiddetta «Guerra dell’acqua» che ha iniziato a sgretolarsi il modello politico ed economico imposto vent’anni prima dall’impero, ovvero dal capitale finanziario internazionale con la complicità dei cosiddetti partiti politici tradizionali o della destra. Questo significa che Evo Morales oggi non sarebbe al governo se sei anni fa a Cochabamba, in Bolivia, non ci fosse stata la guerra intrapresa dal basso dalla gente, una guerra per l’acqua e per la vita, che ha inaugurato un ciclo di mobilitazioni politiche e di vittorie.

 

IL 18 DICEMBRE COME VITTORIA DELLE LOTTE PORTATE AVANTI

 

Il 54% dei voti ottenuto dal partito di Evo Morales alle elezioni –una percentuale che non è stata più alta sia per l’illegale cancellazione di votanti dalle liste elettorali operata dalla Corte nazionale elettorale, sia perché non hanno votato i boliviani residenti all’estero– in fondo non è una nuova vittoria del Movimiento al Socialismo o di Evo Morales; è una vittoria in più nel processo inarrestabile, irreversibile e degno del popolo boliviano che abbiamo intrapreso per trasformare le strutture di dominio, esclusione e subordinazione imposte dai nuovi padroni del mondo. Nel corso di questo processo, iniziato nel 2000, il nostro popolo ha impedito il saccheggio dei nostri beni comuni, come l’acqua e gli idrocarburi, cacciando dal paese le multinazionali e respingendo l’avanzata devastante del capitale trasnazionale. E ha rifiutato inoltre le imposizioni degli organismi finanziari internazionali, come la Banca Mondiale, il FMI e l’OMC. In giornate storiche, negli ultimi sei anni abbiamo messo sotto assedio e sconfitto le pretese di questi interessi, decisi a perpetuarsi al potere: aprile e settembre 2000, luglio 2001, febbraio 2002, febbraio e ottobre 2003, gennaio e marzo 2005, maggio e giugno 2005, ed infine il 18 dicembre scorso. Quelle giornate sono altrettante dimostrazioni della volontà collettiva –di uomini, donne, giovani, bambini e anziani–, costruita a partire dalle cose più quotidiane, di trasformare quei rapporti di sfruttamento, di saccheggio e imposizione, ai quali abbiamo risposto con «Ora basta» lotte e sacrifici.

Le azioni collettive orizzontali, senza capipopolo, senza avanguardie, senza leader né partiti, hanno significato centinaia di morti, migliaia di feriti e incarcerati, mentre i responsabili intellettuali e materiali di quei crimini godono sicuramente della più assoluta impunità. E’ per queste ragioni che il risultato elettorale del 18 dicembre non può essere considerato una semplice vittoria di singoli individui. Questa vittoria è stata possibile non grazie al carisma di Evo Morales o alla statura intellettuale di Alvaro García Linera, ma è anzitutto il segno, espresso nella quantità di voti, della necessità e dell’obbligo da parte dei governanti, chiunque essi siano, di rispettare l’agenda che gli indigeni, i contadini e i settori popolari immiseriti hanno fissato a partire dal 2000:

 

• Riappropriazione di tutto il nostro patrimonio comune, a partire dalla nazionalizzazione degli idrocarburi.

 

• Assemblea Costituente: popolare, originaria e senza patrocini partitici.

 

• Riforma agraria per eliminare il latifondo accumulato dai possidenti legati al potere politico.

 

• Rinvio a giudizio degli assassini e vendipatria.

 

Sono questi gli obiettivi per i quali i boliviani hanno lottato e sono morti negli ultimi sei anni.

 

LO SCENARIO ATTUALE

 

Attualmente sono tre le forze sociali riconoscibili in Bolivia. Prima di tutto la nostra –quella della gente, dei movimenti, degli uomini e delle donne che con le loro azioni e i loro sforzi hanno scritto la storia, vittoria elettorale compresa-. C’è però anche la destra, oggi costretta all’angolo ma viva e ancora in bal-lo, e che sicuramente può contare su tutto l’appoggio materiale e ideologico delle multinazionali e dell’imperialismo nordamericano. Sicuramente sono loro il vero nemico, e aspettano di riorganizzarsi per sferrare un attacco alle nostre conquiste; sono loro la forza che non dobbiamo smettere di combattere, dato che restano in piedi tutte le loro leggi manipolatrici ed estranee a noi e ai nostri interessi, come pure tutte le loro istituzioni, che hanno prodotto e consacrato una gerarchizzazione sociale escludente e razzista, che garantisce a pochi lo sfruttamento del lavoro. Infine, c’è la forza sociale del MAS che, in mancanza di un’altra categoria, possiamo definire come la forza sociale del mist´i [parola aymara che definisce l’area vasta e dai confini imprecisati e raccoglie gli arrivisti, la piccola borghesia, gli opportunisti di sempre, alcuni residui della vecchia sinistra, etc]. Si tratta di un’amalgama nel quale, oltre a contadini, indigeni e gente umile e lavoratrice, troviamo la piccola borghesia e i tecnocrati espulsi dalle sfere del potere, che oggi vengono a reclamare un posto nella conduzione del paese e, naturalmente, nelle nomine statali. Parlo perciò di una forza enorme e volubile, che sarà al governo, ma non sappiamo bene cosa farà, cosa che del resto neppure loro sanno con chiarezza.

In questo scenario, con la destra e il capitale trasnazionale messi all’angolo –e proprio per questo pericolosi– e con un governo del MAS attraversato da ogni sorta di contraddizioni, sono convinto che la gente mobilitata e organizzata che ha avviato questa fase di cambiamenti non permetterà a nessuno di ingannarla, né di amministrare o negoziare le sue conquiste.

 

COSA FACCIAMO ORA?

 

La gente in basso e a sinistra, come dicono bene gli zapatisti, sa che è necessario tracciare un orizzonte comune a coloro che per tanto tempo hanno sacrificato le loro vite. E per questo è necessario consolidare una politica autonoma dei movimenti sociali: delineare una strategia che rinsaldi il nostro comune procedere –a El Alto come a Cochabamba e fra le popolazioni indigene dell’Oriente.


In questo modo la nostra agenda sarà subordinata soltanto alle nostre domande, che inoltre dovranno tradursi in mandati per i nuovi governanti. Per questo proseguiremo nel lavoro di sempre: costruire ponti per rafforzare un nuovo tessuto sociale in difesa della nostra vita, della nostra dignità e dei nostri beni comuni. Sappiamo che oggi al governo siedono compagni e alleati di tante battaglie. Fratelli con i quali i movimenti sociali possono dialogare affinché sia rispettata la volontà collettiva di riappropriarci di quanto ci è stato sottratto, di ricostruire la proprietà pubblica smantellata durante il neoliberalismo, di fissare delle leggi e un’impalcatura istituzionale che non permetta più la spirale di ruberie e devastazioni che abbiamo subito negli ultimi vent’anni. I veri nemici sono le oligarchie decadenti e il potere trasnazionale. Loro cercheranno di corrompere, assediare, colpire e distruggere il movimento popolare, e di snaturare e portare dalla loro parte il governo di Evo Morales e Alvaro García Linera. Per questo insisteremo nel far rispettare i punti sui quali c’è convergenza, come la restituzione effettiva di ciò che ci hanno espropriato e la convocazione dell’Assemblea Costituente. Riteniamo necessaria anche una ricostruzione dello spazio pubblico, perché quel poco che ne esisteva in Bolivia prima del 1985 è stato completamente liquidato. Ci aspettiamo dal governo del MAS la costruzione di nuovi campi sportivi, di sedi sociali, di spazi ad uso collettivo nei quali il dialogo e la discussione continuino ad alimentare la nostra creatività sociale. Da lì, dai consigli municipali e dalle assemblee, sorgerà il vero mandato per Evo e Alvaro, se è vero che il principio «governare obbedendo» da loro ribadito è stato assunto con trasparenza e generosità. Forse anche la gente semplice e lavoratrice della Bolivia dovrà governare certe proposte, ma credo che il nostro compito sia di ribadire al governo di Evo Morales gli obiettivi di una politica a favore di tutti che pervenga ad accordi fondamentali per ottenere quel che la gente vuole. Per questo dobbiamo costruire un cuneo per impedire che l’enorme roccia della nostra volontà retroceda. Questo cuneo, che è stato l’assedio sferrato per bloccare l’avanzata del capitale, è la garanzia che il processo avviato nell’aprile 2000 è irreversibile, inarrestabile e giusto.