Bolivia

 

Europa, Spagna e Brasile

 

«inquieti» e arrabbiati

 

Governi riuniti a Madrid e Brasilia che minacciano ritorsioni. Il solito Solana è il peggiore
 


| Bruxelles Mercoledì 3 Maggio 2006 | Alberto D'Argenzio |



La nazionalizzazione di Evo Morales scuote le cancellerie del pianeta, causando riunioni di emergenza in Brasile e Spagna - i paesi che più hanno investito in Bolivia - e provocando tanta «preoccupazione» e pure un bel po' di «insoddisfazione» in un'Unione europea in ansia per le sue imprese e per il prezzo del petrolio. Il più duro è il solito Javier Solana, a cui la decisione di Morales ha creato «grande inquietudine e insoddisfazione» anche perché, secondo lui, il presidente boliviano «non ha capito» quello che qualche tempo fa lui stesso gli aveva detto, ossia che «la sicurezza giuridica è fondamentale per favorire gli investimenti stranieri». «Credevo - afferma Solana con tracotanza venata di razzismo - che avesse capito quello che gli avevo detto ma forse non lo ha capito bene». In attesa degli sviluppi, il superministro degli esteri Ue non ha dubbi e preeconizza che se non si cambia la decisione «saranno i boliviani a soffrire».
La Commissione europea è più prudente, ma non nasconde comunque le critiche: «Sapevamo che il governo boliviano avrebbe preso misure per aumentare il controllo dello Stato nel settore - ha spiegato Johannes Laitenberger, portavoce di Barroso - ma speravamo di essere consultati in anticipo»". La Commissione, dice, «studierà con cura i dettagli di questa decisione» e in particolare il suo «impatto sugli investimenti esteri che riguardano anche alcune società europee». Prudenza a Parigi, in ansia per la sua Total. I 25 avranno occasione di parlare direttamente con Morales nel vertice Ue-America latina del 12 e 13 maggio a Vienna.
Le più angosciate e arrabbiate sono Madrid e Brasilia perse dietro agli interessi di Repsol-Ypf (spagnola-argentina) e Petrobras. Il governo Zapatero ha espresso a Morales la «sua più profonda preoccupazione» e ha poi annunciato che convocherà nei prossimi giorni le imprese con capitali a La Paz. «La Bolivia ha bisogno di investimenti stranieri e in questa maniera si disincentivano e questo non è bene per i boliviani».
A Brasilia il presidente Lula ha convocato una riunione d'emergenza del suo governo allargata al presidente della Petrobras (che controllava il 14% delle riserve gasifere della Bolivia e importa da quel paese il 51% del gas consumato in Brasile), José Sergio Gabrielli, che ha definito la decisione di Morales «non amichevole» e ha promesso «una reazione forte». «Sorpresa» e silenzio per il momento in Argentina, l'altro grande fruitore del gas boliviano, per una notizia che arriva a due settimane dall'inizio dei nuovi negoziati bilaterali sui prezzi.

 

 

 

 

   Bolivia

 

Decisione coraggiosa.

 

E piena di rischi



| Mercoledì 3 Maggio 2006 | Maurizio Matteuzzi |



Il gobierno popular del compañero Evo Morales ha «rivoltato la frittata». Dal primo maggio - data emblematica delle festa dei lavoratori e dei primi cento giorni dall'entrata al Palacio Quemado di La Paz del primo presidente indio: lui - l'82% dei proventi del petrolio e del gas boliviani andranno allo Stato, attraverso la compagnia rinazionalizzata YPFB (Yacimientos Petroliferos Fiscales Bolivianos), e il 18% resteranno alle imprese transnazionali.
Dopo il '97, quando lo sfegatato neo-liberista Sanchez de Lozada aveva privatizzato tutto - dall'acqua al gas: l'ultima risorsa dopo il grande e plurisecolare saccheggio -, era l'esatto contrario: l'82% di profitti alle compagnie (e senza contare la voce storicamente sostanziosa del contrabbando), il 18% alle rachitiche casse dello Stato. In soldoni voleva dire 780 milioni di dollari contro 140. Dopo la «guerra del gas» dell'ottobre 2004, con relativa cacciata e fuga (a Miami) di Sanchez de Lozada, e prima che la bomba del gas scoppiasse fra le mani anche dell'onesto ma pallido Carlos Mesa, il referendum sulla «rinazionalizzazione» del giugno 2004 aveva portato quei 140 milioni di dollari a 460. Qualcuno, aveva gridato al «tradimento» di Evo, allora ancora leader cocalero e del Moviemiento al Socialismo, che aveva sostenuto il sì alla proposta. Adesso, tre mesi dopo l'insediamento, la frittata e le proporzioni si sono capovolte. I 780 milioni di dollari l'anno andranno alla Bolivia, anzi, per la prima volta, ci resteranno e non per finire - si suppone e si spera - nelle mani di militari nazionalisti ma generalmente golpisti o dell'oligarchia bianca, come era stato per le altre due o tre nazionalizzazioni tentate. Ma - si suppone e si spera - nelle mani di un governo popolare eletto da e fatto di organizzazioni sindacali e movimenti sociali in prevalenza indigeni che si sentono e sono stati sistematicamente esclusi fin dall'indipendenza,nel 1825.
La mossa di Evo ha preso tutti di sorpresa - dalle compagnie transnazionali ai campesinos dell'altipiano, dai governi di riferimento di quelle compagnie all'oligarchia criolla. Nei suoi primi tre mesi di governo, aveva mostrato molta moderazione e prudenza. All'estrema sinistra sindacale e india già lo si metteva in graticola, non solo per la rinazionalizzazione del gas che aveva promesso - con qualche margine di ambiguità - in campagna elettorale.
Ci si aspettava una suo mossa light
che esigesse una spartizione della torta meno iniqua e neo-coloniale ma lasciasse intatte le intoccabili leggi del «mercato» nei paesi periferici. Invece il «decreto supremo 28701», accompagnato dall'«occupazione» dei campi petroliferi e gasiferi da parte dei militari e dal limite di 180 giorni dato alle compagnie per rinegoziare i nuovi contratti, più duro di così non poteva essere. Ora la palla passa alle compagnie e ai relativi governi. Prima di tutto quelli «amici» di Brasile, Argentina e Spagna. Le prime reazioni non sono incoraggianti. Anche tralasciando quelle, penose, dell'uccellaccio del malaugurio europeo, il «socialista» spagnolo Javier Solana (così duro con il boliviano Morales e così morbidamente cieco sui voli segreti della Cia), le big dell'energia - Total, Exxon Mobil, British Gas, Shell...- hanno reagito con durezza prevedibile. Fin qui nulla di nuovo. Ma bisognerà vedere la risposta di Lula (la Petrobras conta per il 20% del Pil boliviano), di Kirchner e Zapatero (la ispano-argentina Repsol è la seconda per business) hanno riunito i loro governi in sedute d'emergenza. Si vedrà presto cosa risponderanno a una mossa concreta e sacrosanta, anche se non piacevole, dopo tante belle parole sulla solidarietà con i paesi del sud e sull'integrazione latino-americana.
Quello di Evo Morales è un passo deciso e decisivo verso la rottura di quel modello neo-liberista che ha sconquassato l'America latina negli ultimi 30 anni. Ma è un passo ad altissimo rischio, economico e politico. In altri tempi non lontani a quest'ora i tank sarebbero già nella Plaza Murillo di La Paz. Forse è anche il segnale di rottura della nuova onda di (centro)sinistra latino-americana: Chavez, Fidel ed Evo (che è andato a firmare un «accordo strategico» a tre solo pochi giorni fa all'Avana) da una parte - quella radicale-; Lula, Kirchner e l'uruguayano Tabaré Vazquez dall'altra - quella ortodossa. Ma di questa eventuale non si potrà incolpare l'indio Evo Morales.