Il primo governo popolare-indio nella storia della
Bolivia, guidato dal presidente Evo Morales e
dal vice-presidente Álvaro García Linera, si è insediato il 22 gennaio scorso
a La Paz, fra le speranze della gran maggioranza della popolazione, in cui il
suo indice di gradimento tocca l'80%, e i timori della minoranza, generalmente
bianca, che aveva finora sempre detenuto tutte le leve del potere (anche)
politico.
Qual è il bilancio di queste prime settimane, dottor García Linera?
Nel primo mese e mezzo di governo si sono prodotte un insieme di
azioni-simbolo che segnano il nostro orizzonte. La nomina dei ministri rivela
già di per sé che una generazione di attori nuovi è entrata nello Stato. Per
la prima volta, per scegliere il governo non si è andati a pescare nelle
ambasciate, nelle grandi imprese, nei clan familiari tipici della struttura
sociale boliviana. Un'altra azione-simbolo è
l'etica del lavoro: il presidente Evo Morales si è ridotto della metà il suo
stipendio e lavora tre volte di più del normale, arrivando al Palazzo
Quemado alle 5 della mattina e ritirandosi spesso dopo mezzanotte. E' e
vuole essere in senso pieno un servitore pubblico e mettere a disposizione
tutte le sue capacità intellettuali e fisiche a beneficio della comunità e
dello Stato.
La proposta di Morales di un'assemblea costituente con poteri illimitati è
un'esperienza inedita nella storia recente dell'America latina. Quale livello
di radicalità potrà avere il cambiamento?
Si tratta di dare realtà a un fatto storico: gli indigeni non sono mai stati
presi in considerazione nella costituzione formale e materiale dei poteri
pubblici. E' la consacrazione del loro diritto storico, come maggioranza, di
partecipare in prima persona e a pieno titolo alla costruzione di una nuova
struttura statale. Questo non significa che si debba disfare tutto, sarà la
stessa costituente a decidere cosa cambiare e cosa tenere. Ma sarà la volontà
dei popoli stessi della Bolivia e non
un'imposizione esterna. Il gioco è questo: sottoporre tutto l'esistente a un
giudizio storico di convalida, non fare tabula rasa e ricominciare
tutto da zero.
Quanto paga il governo il fatto di non avere a disposizione quadri
politici-amministrativi sperimentati?
Questo è un punto interessante. Mi vengono in mente le riflessioni di Lenin
sulla presa del potere e sulla necessità di reclutare quadri del vecchio
regime. Primo, l'assenza di quadri amministrativi, perché il Mas non è un vero
partito e non ha esperienza di governo. Bisogna mantenere parte della
struttura vecchia per incorporare conoscenza sul maneggio dello Stato, e
questa è una complicazione. Ma l'aspetto positivo è non c'è un'inerzia
amministrativa e burocratica nei quadri politici e la volontà di cambio si
presentano con una evidenza e un impeto molto maggiori che in un partito con
precedenti esperienze di governo. C'è un approccio alla realtà con meno
fedeltà alla tradizione e al vecchio. C'è un mix fra il mantenimento
temporaneo del vecchio e una propensione verso il nuovo e il cambio, che è
positivo ma anche problematico.
E c'è il rischio di una eccessiva concentrazione di potere nelle mani del
presidente...
Il problema non è che troppo potere si concentri nell'esecutivo ma che ciò non
si accompagni a un sufficiente dinamismo dei movimenti sociali. In questo mese
e mezzo abbiamo potuto vedere un'allegria fantastica nei settori sociali e una
sorta di allentamento dei loro slanci, e questo rende più difficili le cose.
La concentrazione delle decisioni nell'esecutivo ma con costante impulso
sociale, quella sì che è un meccanismo di trasformazione rapida dello Stato.
Lei, come intellettuale, ha mostrato una certa simpatia per le teorie
dell'autonomia, assumendo in parte le posizioni di Antonio Negri, ma questo
governo, anche nel ruolo del leader, sembra più vicino alla matrice populista
e nazionalista degli anni 50. Come la vede?
Il problema dell'autonomia può essere visto da un punto di vista teorico però
in termini di pratica politica quando ho riflettuto sull'autonomia della
società rispetto allo Stato l'ho sempre fatto dalla prospettiva di come la
società si organizzava per assediare lo Stato. Ma quello che si verifica oggi
è che la stessa società ha occupato, eroso, perforato, trapassato lo Stato. E
questo è il grande dibattito attuale, che va oltre le riflessioni di Negri.
Che significa l'occupazione dello Stato da parte dei movimenti sociali? E
ancora: è possibile l'occupazione/trasformazione dello Stato da parte dei
movimenti sociali? Su questo non c'è stata ancora una sufficiente riflessione.
A che tipo di Stato stanno dando luogo questi movimenti sociali? Quali sono i
loro limiti?
E' un problema essere insieme un sociologo «critico» e vicepresidente della
repubblica?
No, al contrario, è un'eccellente opportunità, perché permette di analizzare
con freddezza siberiana quel che sta succedendo e le tue azioni. E come
vicepresidente puoi vedere qualcosa che non avresti mai potuto vedere dal suo
ufficio di sociologo.
Molti stanno già protestando perché ancora non si è vista la
nazionalizzazione degli idrocarburi...
La forza di questo governo è una società deliberante sui diversi punti
dell'agenda pubblica. Il problema è quando la società si ritrae. La
nazionalizzazione deve essere lo scenario in cui questo governo si presenta
come Stato, ossia come una combinazione di consenso e coercizione.
La posizione più «amichevole» dell'ambasciata Usa verso il governo del Mas
è il risultato della sua mediazione?
Credo che sia solo un problema di rispetto diplomatico di due attori politici
che devono conoscersi e che hanno scelto questa strada anziché l'aggressività
verso quello che non si conosce. E, d'altra parte, è una sorta di realismo
contingente verso quello che siamo noi in quanto piccolo paese.
Lei durante la campagna elettorale ha prospettato una sorta di «capitalismo
andino»...
Era un concetto accademico, in ogni caso sincero, sulle nostre capacità e
potenzialità.
Come va il nuovo modello economico che avete proposto?
La prima mossa è stata il riposizionamento del ministero della
pianificazione. Non è più il mercato a decidere l'assegnazione delle risorse.
La direzione dell'economia adesso passa a una decisione politica e non resta
nelle mani di una presunta spontaneità del mercato, che in realtà è il comando
del più forte, il comando del capitale. Ora c'è un governo che indica gli
obiettivi, definisce l'orizzonte, anche forzando la mano allo Stato stesso.
Oltre a questo c'è la fine del modello di esportatore primario assegnato alla Bolivia. Ultimo e più importante, sarà la
nazionalizzazione degli idrocarburi.
E' il ritorno a Raúl Prebisch e al desenvolentismo della Cepal?
Qui non stiamo puntando sulla sostituzione delle importazioni com'era negli
anni 60. Ora si tratta di approfittare dei mercati internazionali, però in
tutta la catena produttiva e non soltanto nei settori primari. In secondo
luogo dobbiamo creare un mercato interno, ma non mediante l'omogeneizzazione,
come indicava il modello Prebisch, bensì articolando il moderno con il
semimoderno e con l'arcaico. E con lo Stato come regulatore.