Rapporto
Amnesty
International 2006
Cuba,
Colombia,
Guatemala,
Iraq,
Italia,
Regno Unito,
Stati Uniti
Cuba
Repubblica di Cuba
Capo di Stato e di governo: Fidel Castro Ruz
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con delle riserve
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmato
Hanno continuato a destare preoccupazione le restrizioni alle libertà di
espressione, di associazione e di movimento. Una settantina di prigionieri di
coscienza rimanevano in prigione. L’embargo degli Stati Uniti ha continuato a
gravare sulla situazione dei diritti umani. La situazione economica si è
deteriorata e il governo ha tentato di sopprimere le forme di iniziativa
privata. Almeno 30 prigionieri rimanevano nel braccio della morte; non vi sono
state esecuzioni.
Contesto
La mancanza di miglioramenti nella situazione dei diritti civili e politici a
Cuba ha destato preoccupazione nella comunità internazionale. Ad aprile la
Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani, a seguito di un processo
molto politicizzato, ha nuovamente condannato la situazione dei diritti umani
a Cuba.
Il governo ha continuato a tenere sotto stretto controllo le voci critiche,
arrestando molti dissidenti e difensori dei diritti umani. Malgrado ciò, a
maggio, l’Assemblea per la promozione della società civile, una coalizione di
oltre 350 organizzazioni non governative (ONG) indipendenti, ha organizzato un
incontro pubblico senza precedenti nella storia della dissidenza cubana.
Le autorità hanno lanciato un energica campagna per combattere l’economia
sommersa e la dilagante corruzione nel settore pubblico.
Prigionieri di coscienza
Sono continuati gli arresti di prigionieri di coscienza che esprimevano
pacificamente le proprie opinioni. Alcuni sono stati rilasciati per motivi di
salute.
*René Gómez Manzano e Julio César López Rodríguez sono stati arrestati nella
capitale L’Avana dopo aver partecipato il 22 luglio, assieme a diverse altre
persone, a una manifestazione pacifica anti-governativa. René Gómez Manzano,
membro dell’Assemblea per la promozione della società civile, assieme ad altri
otto a fine anno si trovava ancora in carcere in attesa di processo.
*Il 13 luglio, a L’Avana, una ventina di persone sono state arrestate mentre
partecipavano a una commemorazione pacifica dell’affondamento del battello 13
de Marzo, in cui 35 persone avevano perso la vita mentre tentavano di lasciare
Cuba nel 1994. Il battello sarebbe affondato dopo essere stato speronato dalla
marina cubana. Sei sono rimasti in detenzione senza accusa e uno è stato
condannato a un anno di reclusione per «peligrosidad predelictiva», definita
come «particolare inclinazione di una persona a commettere reati dimostrata da
una condotta manifestamente contraria alle norme della morale socialista».
*Il prigioniero di coscienza Mario Enrique Mayo Hernández, condannato a 20
anni di carcere nel 2003, è stato rilasciato con la condizionale per motivi di
salute il 1° dicembre.
Restrizioni alle libertà di
espressione, associazione e movimento
Attivisti per i diritti umani, sindacalisti e dissidenti politici sono stati
oggetto di vessazioni e intimidazioni. Spesso gli attacchi nei loro confronti
sono stati perpetrati da gruppi semiufficiali, le brigate di risposta rapida
che, secondo quanto denunciato, avrebbero agito in collusione con membri delle
forze di sicurezza.
Le libertà di espressione e di associazione hanno continuato a essere a
repentaglio. Tutti i media legalmente riconosciuti sono controllati dallo
Stato e l’informazione indipendente è vietata. I giornalisti indipendenti
hanno dovuto fronteggiare intimidazioni, vessazioni e arresti per articoli
pubblicati al di fuori del Paese. Anche difensori dei diritti umani sono stati
oggetto di intimidazioni e arresti arbitrari politicamente motivati.
Le leggi sulla diffamazione, la protezione della sicurezza nazionale e la
turbativa dell’ordine pubblico, che vengono adoperate nei confronti dei
giornalisti, non sono conformi agli standard internazionali. Secondo l’ONG
internazionale Reporters sans Frontières a fine anno si trovavano in carcere
24 giornalisti.
*Oscar Mario González Pérez, un giornalista indipendente, è stato arrestato il
22 luglio mentre stava effettuando la cronaca di una manifestazione. È rimasto
in carcere senza accusa.
Sono continuate le restrizioni nei confronti dei dissidenti che tentavano di
viaggiare all’estero.
*Miguel Sigler Amaya, membro del gruppo non ufficiale Movimento d’opzione
alternativa (Movimiento Indipendiente Opción Alternativa), è stato arrestato
all’aeroporto internazionale de L’Avana mentre stava per salire con la propria
famiglia su un aereo diretto negli Stati Uniti, nonostante fossero in possesso
di un visto d’espatrio come rifugiati politici. Amaya e la sua famiglia sono
stati rilasciati parecchi giorni dopo, e sono riusciti infine a lasciare il
Paese il 5 ottobre. I fratelli di Miguel Sigler Amaya, Guido e Ariel, entrambi
prigionieri di coscienza, stanno scontando condanne rispettivamente a 20 e 25
anni.
*A dicembre, alle Donne in Bianco (Las Damas de Blanco), un gruppo di madri,
mogli e sorelle di prigionieri politici che dal marzo 2003 ogni domenica
marcia per chiedere la liberazione dei propri familiari, è stato negato il
permesso ufficiale di recarsi a Strasburgo, in Francia, dove avrebbero dovuto
ricevere il premio Sakharov per la libertà di pensiero assegnato loro dal
Parlamento Europeo.
Colombia
Repubblica di Colombia
Capo di Stato e di governo: Álvaro Uribe Vélez
Pena di morte: abolizionista per tutti i reati
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: ratificato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmato
Sebbene il numero delle uccisioni e dei rapimenti in alcune zone del paese sia
diminuito, gravi abusi dei diritti umani commessi da tutte le parti in
conflitto hanno continuato a raggiungere livelli critici. Hanno destato
particolare preoccupazione le denunce di esecuzioni extragiudiziali perpetrate
dalle forze di sicurezza, le uccisione di civili da parte di gruppi di
opposizione armata e paramilitari, e lo sfollamento forzato di comunità di
civili. I paramilitari, che si ritiene siano stati smobilitati in base alle
condizioni della controversa legge ratificata a luglio, hanno continuato a
compiere violazioni dei diritti umani, mentre i gruppi di opposizione armata
hanno continuato a commettere gravi e diffuse violazioni del diritto
internazionale umanitario.
Presunti responsabili di crimini di guerra e crimini contro l'umanità non sono
stati assicurati alla giustizia.
Contesto
Il presidente Álvaro Uribe Vélez ha ratificato la legge giustizia e pace il 22
luglio. La legge, che fornisce un quadro legale alla smobilitazione dei
paramilitari e dei gruppi di opposizione armata, non rispetta gli standard
internazionali sul diritto delle vittime alla verità, alla giustizia e alla
riparazione e minaccia di esacerbare il problema endemico dell’impunità in
Colombia. Alla fine dell’anno i negoziati tra il governo e le organizzazioni
paramilitari raggruppate nelle Forze unite di autodifesa della Colombia (Autodefensas
unidas de Colombia - AUC) hanno condotto alla riferita “smobilitazione” di
oltre la metà degli stimati 20.000 paramilitari collegati alle AUC. Tuttavia,
i paramilitari, in zone dove si suppone siano stati smobilitati, hanno
continuato a compiere violazioni, e le prove di legami tra i paramilitari e le
forze di sicurezza hanno continuato a essere forti. Si è inoltre temuto che le
politiche governative, progettate per reintegrare i membri dei gruppi armati
illegali nella vita civile, rischiassero invece di riciclarli nel conflitto.
I tentativi per negoziare uno scambio di prigionieri con il principale gruppo
di opposizione armata, Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Fuerzas
armadas revolucionarias de Colombia - FARC) non hanno raggiunto risultati
concreti. Tuttavia, “i negoziati sui colloqui” con il minore Esercito di
liberazione nazionale (Ejercito de liberacion nacional - ELN) sono ripresi a
dicembre. Le FARC e l’ELN si sono resi responsabili di gravi e diffuse
violazioni del diritto internazionale umanitario, specialmente rapimenti,
presa di ostaggi e uccisione di civili.
Il 1° aprile la Colombia ha ratificato la Convenzione interamericana sulla
sparizione forzata di persone.
Legge giustizia e pace: smobilitazione dei paramilitari
La legge giustizia e pace concede significative riduzioni di pena ai membri di
gruppi armati illegali sotto indagine per abusi dei diritti umani che
acconsentano alla smobilitazione. Sebbene si ritenga che la maggior parte dei
beneficiari possano essere paramilitari, a fine anno la legge risultava essere
stata solamente applicata a circa 30 prigionieri ritenuti appartenenti alle
FARC. A causa del problema dell’impunità, pochi membri di gruppi armati
illegali risultavano essere sotto indagine per violazioni dei diritti umani.
La maggior parte dei paramilitari smobilitati hanno beneficiato in questo modo
delle amnistie de facto concesse dal decreto 128 promulgato nel 2003.
In base alla legge giustizia e pace gli inquirenti dispongono soltanto di
stretti termini di scadenza entro cui indagare su ciascun caso, con piccoli
incentivi ai potenziali beneficiari in caso di collaborazione con gli
investigatori. La partecipazione delle vittime nei procedimenti legali è
limitata, e non è prevista la denuncia di una terza parte, come le forze di
sicurezza, che hanno svolto un ruolo cruciale nel coordinare le violazioni dei
diritti umani perpetrate dai paramilitari.
La legge è stata criticata dall’Ufficio in Colombia dell’Alto Commissario
delle Nazioni Unite sui diritti umani, dalla Commissione interamericana dei
diritti umani e dalla Corte interamericana dei diritti umani
dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA).
Entro la fine dell’anno era prevista la smobilitazione di tutti i
paramilitari. Tuttavia, il processo ha conosciuto una fase di stallo a
ottobre, dopo che il governo ha trasferito in carcere il leader paramilitare
Diego Fernando Murillo Bejarano, alias “Don Berna”, per il suo presunto
coinvolgimento nell’uccisione del deputato Orlando Benítez, nel contesto di
voci circa la sua possibile estradizione negli Stati Uniti per l’accusa di
traffico di droga. Il processo di smobilitazione è ripreso a dicembre dopo un
accordo raggiunto il mese precedente tra il governo e le AUC che ha prorogato
i termini della smobilitazione.
Più di 2.750 tra uccisioni e “sparizioni” sono state attribuite ai
paramilitari tra l’annuncio del cessate il fuoco delle AUC nel 2002 e la fine
dell’anno. A causa del mandato limitato, la Missione di sostegno al processo
di pace in Colombia, istituita dall’OSA nel 2004 per verificare il cessate il
fuoco, non ha potuto né intraprendere azioni contro i paramilitari che non
avevano rispettato il cessate il fuoco né esprimersi sulle politiche
governative.
Il governo ha incoraggiato i paramilitari smobilitati a lavorare nelle
attività collegate all’intelligence, come la rete di informatori civili, come
ausiliari nelle operazioni delle forze di sicurezza, come “polizia civica”, e
come guardie di sicurezza private. Ciò ha accresciuto i timori che i
meccanismi che avevano condotto alla creazione dei gruppi paramilitari
avrebbero potuto ripetersi, facendo dubitare dell’impegno del governo nel
volere reintegrare completamente i combattenti nella vita civile.
Sono pervenute denunce relative al reclutamento da parte di gruppi
paramilitari di nuovi membri dopo la presunta smobilitazione. Il 25 agosto la
Commissione interamericana dei diritti umani ha scritto al governo chiedendo
chiarimenti sulle denunce di reclutamento di minorenni a Medellín da parte dei
paramilitari, nonostante la loro presunta smobilitazione del 2003.
Vi sono state numerose denunce di violazioni dei diritti umani commesse dai
paramilitari in zone dove si riteneva fossero stati smobilitati, anche a
Medellín, e prove di collusione tra paramilitari e forze di sicurezza.
*Secondo quanto riferito, il 29 gennaio i paramilitari hanno ucciso sette
contadini a El Vergel, municipalità di San Carlos, dipartimento di Antioquia.
Secondo le denunce, dal 26 al 31 gennaio membri delle forze armate erano in
pattuglia a El Vergel. Poco prima delle uccisioni, l’esercito stava cercando
una delle vittime, da loro ritenuto sovversivo.
*Secondo le denunce, il 9 luglio i paramilitari hanno ucciso sei civili a
Buenaventura, dipartimento di Valle del Cauca. Secondo quanto riferito, la
polizia, che stava pattugliando l’area, si era ritirata alcune ore prima delle
uccisioni. Il gruppo paramilitare Bloque Calima (Blocco Calima), che operava a
Buenaventura, era ritenuto smobilitato dal dicembre 2004.
Impunità
L’impunità per abusi dei diritti umani ha continuato a essere la norma.
Personale militare d’alto rango e leader paramilitari e guerriglieri hanno
continuato a sfuggire alla giustizia.
Soltanto in pochissimi casi è stata intrapresa una qualche azione. A luglio,
un tenente dell’esercito, tre soldati e un civile sono stati incriminati per
l’uccisione di tre sindacalisti avvenuta nell’agosto 2004 nel dipartimento di
Arauca, mentre la Procura generale ha disposto l’arresto di sei soldati per
l’uccisione di cinque civili, incluso un bambino, avvenuta nell’aprile 2004
nella municipalità di Cajamarca, dipartimento di Tolima. Tuttavia, le indagini
penali sul possibile coinvolgimento di altri ufficiali d’alto rango in queste
uccisioni non sono avanzate.
A gennaio la Corte Suprema ha chiuso il caso contro l’ex contrammiraglio
Rodrigo Quiñónez circa il suo ruolo nel massacro di Chengue del 2001, in cui
almeno 26 persone furono uccise dai paramilitari che operavano in collusione
con le forze armate. La Procura generale ha criticato la decisione, esortando
l’Ufficio del Procuratore generale a premere sulle indagini penali relative al
massacro.
Il 15 settembre, la Corte interamericana dei diritti umani ha condannato lo
Stato della Colombia a risarcire le famiglie di 49 contadini uccisi dai
paramilitari nel 1997 a Mapiripán, dipartimento di Meta. Il leader
paramilitare Salvatore Mancuso, ufficialmente smobilitato, e diversi ufficiali
dell’esercito, compreso il generale in pensione Jaime Humberto Uscátegui, sono
stati implicati nelle uccisioni.
Il sistema di giustizia militare ha continuato a rivendicare la giurisdizione
sui casi di possibili violazioni dei diritti umani commesse dai membri delle
forze di sicurezza, nonostante la decisione della Corte costituzionale del
1997 che assegnava le indagini su tali casi al sistema di giustizia civile.
*Ad aprile, il sistema di giustizia militare ha assolto 12 soldati
dell’esercito dalla responsabilità nell’uccisione di sette agenti di polizia e
quattro civili avvenuta nel marzo 2004 nella municipalità di Guaitarilla,
dipartimento di Nariño.
Uccisioni a opera delle
forze di sicurezza
Sono pervenute ripetute denunce di esecuzioni extragiudiziali perpetrate dalle
forze di sicurezza, con cifre che raggiungerebbero almeno un centinaio di
casi. Tali uccisioni sono spesso indebitamente descritte come “guerriglieri
uccisi in combattimento”. Sebbene il sistema di giustizia militare abbia
rivendicato la giurisdizione sulla maggior parte di questi casi, archiviandone
in seguito molti di essi, in qualche caso il sistema di giustizia civile è
stato in grado di intervenire.
*A luglio la Procura generale ha disposto l’arresto di otto soldati per
l’uccisione di Reinel Antonio Escobar Guzmán e dei fratelli Juvenal e Mario
Guzmán Sepúlveda avvenuta l’8 maggio nella municipalità di Dabeiba,
dipartimento di Antioquia. L’esercito ha dichiarato che si sarebbe trattato di
tre guerriglieri delle FARC uccisi in combattimento.
Secondo quanto riferito, civili sono stati uccisi dall’unità antisommossa
della polizia (Escuadrón móvil antidisturbios - ESMAD) nel corso di proteste.
Gli agenti dell’ESMAD non portavano alcun contrassegno d’identificazione
personale.
*Secondo le denunce, il 1° maggio, almeno otto agenti dell’ESMAD hanno
picchiato David Nicolás Neira, di 15 anni, durante la marcia del 1° Maggio a
Bogotá. Una settimana dopo è deceduto causa delle ferite riportate.
*Il 22 settembre Jhony Silva Aranguren è morto e diversi altri studenti sono
rimasti feriti dopo che agenti dell’ESMAD avrebbero sparato durante una
protesta all’università di Cali.
Abusi a opera di gruppi
di opposizione armata
Il 12 settembre il leader del’ELN, Gerardo Bermúdez, alias Francisco Galán, è
stato rilasciato dal carcere per un periodo di tempo limitato, per facilitare
la ripresa del processo di pace. Come conseguenza, a Cuba dal 16 al 22
dicembre si sono tenuti colloqui preliminari tra il governo e rappresentanti
dell’ELN.
Le FARC e l’ELN hanno continuato a commettere gravi e ripetute violazioni del
diritto internazionale umanitario, tra cui la presa di ostaggi e l’uccisione
di civili.
*Il 15 agosto l’ELN ha ucciso due preti e altri due civili sulla superstrada
Teorema-Convención nel dipartimento Norte de Santander.
*Secondo le denunce, il 23 agosto, le FARC hanno ucciso 14 contadini a Palomas,
municipalità di Valdivia, dipartimento di Antioquia.
Le FARC hanno inoltre condotto attacchi sproporzionati e indiscriminati che
hanno provocato la morte di numerosi civili.
*Il 20 febbraio tre civili e tre soldati sono morti, e 13 civili e 11 soldati
sono rimasti feriti, in seguito all’esplosione di una bomba in un hotel a
Puerto Toledo, dipartimento di Meta.
*Il 3 ottobre una bomba ha ucciso tre membri di una comunità indigena,
compresi due bambini, nella municipalità di Florida, dipartimento Valle del
Cauca.
Violenza sulle donne
Donne e ragazze hanno continuato a essere vittime di uccisioni, torture e
sequestri da entrambe le parti in conflitto.
*Il 24 maggio una donna e suo marito sono stati arrestati dall’esercito nella
municipalità di Saravena, dipartimento di Arauca. Secondo quanto riferito, la
donna è stata consegnata a un paramilitare che l’ha stuprata.
*Secondo quanto denunciato, il 9 agosto una donna indigena è stata stuprata da
un soldato a Coconuco, dipartimento del Cauca.
*Il corpo di Angela Diosa Correa Borja è stato ritrovato il 15 settembre a San
José de Apartadó, dipartimento di Antioquia. Secondo le denunce, la donna
sarebbe stata uccisa dalle FARC dopo essere stata accusata di aver collaborato
con la polizia.
Rapimenti
A novembre il governo ha annunciato un piano per istituire una «commissione
internazionale» allo scopo di favorire i negoziati per il rilascio degli
ostaggi trattenuti dalle FARC. Tuttavia, ripetute speculazioni circa un
possibile scambio di prigionieri a fine anno non avevano portato ad alcun
risultato. Le FARC e l’ELN hanno continuato a trattenere numerosi ostaggi,
compresi politici di alto livello come l’ex candidata presidenziale Ingrid
Betancourt, sequestrata dalle FARC nel 2002. Nel corso dell’anno vi sono stati
più di 751 rapimenti, contro i 1.402 del 2004, di cui 273 risulterebbero
commessi da gruppi di opposizione armata e 49 da paramilitari. In 208 casi non
è stato possibile risalire alle responsabilità.
*Secondo le denunce, il 23 gennaio l’ELN ha sequestrato il leader di comunità
Héctor Bastidas nella municipalità di Samaniego, dipartimento di Nariño. A
fine anno non era stato ancora rilasciato.
*Il 31 marzo le FARC hanno sequestrato cinque attivisti dei diritti umani che
lavoravano con le comunità afroamericane di Jiguamiandó e Curvaradó nel
dipartimento di Chocó. Sono stati rilasciati l’8 aprile.
*Il 30 agosto paramilitari hanno rapito almeno 11 bambini e 13 adulti nella
municipalità di El Carmen, dipartimento Norte de Santander, durante un attacco
in cui sono rimaste uccise tre persone e secondo le denunce una donna sarebbe
stata oggetto di abusi sessuali. I 24 sono stati successivamente rilasciati.
Le unità paramilitari operative in questa zona risultavano essere state
smobilitate alla fine del 2004.
Attacchi a civili
I civili hanno continuato a sostenere il peso del conflitto, con sindacalisti,
difensori dei diritti umani e attivisti di comunità, come pure indigeni,
comunità afroamericane e sfollati, e coloro che abitavano in zone di aspro
conflitto, particolarmente esposti a gravi rischi. Almeno 70 sindacalisti e
sette difensori dei diritti umani sono stati uccisi nel corso dell'anno,
mentre sono stati almeno 1.050 i civili uccisi o "scomparsi" in situazioni non
conflittuali nei primi sei mesi dell'anno.
Più di 310.000 civili sono stati sfollati durante l’anno, paragonati ai
287.000 del 2004. Blocchi economici imposti dai combattenti e scontri tra le
parti in conflitto hanno creato gravi crisi umanitarie in diverse parti del
Paese.
*Circa 1.300 membri della comunità indigena awa sono stati costretti a
lasciare le loro case a giugno a causa degli scontri tra l’esercito e le FARC
nel dipartimento di Nariño.
La Comunità di Pace di San José de Apartadó, dipartimento di Antioquia, che si
batte per affermare il diritto dei civili a non essere trascinati nel
conflitto, è stata nuovamente attaccata. Dal 1997 più di 150 suoi appartenenti
sono “scomparsi” o sono stati uccisi, la maggior parte a opera dei
paramilitari e delle forze di sicurezza, ma anche delle FARC. Il 21 febbraio
otto membri della comunità, compreso il leader della stessa, Luis Eduardo
Guerra, sono stati uccisi da uomini che alcuni testimoni hanno riconosciuto
quali membri dell’esercito. La comunità è stata sovente etichettata come
sovversiva dall’esercito e dai paramilitari, e accusata dalle FARC di
parteggiare per i suoi nemici. Il 20 marzo il presidente Uribe ha
pubblicamente accusato alcuni leader della comunità di essere ausiliari delle
FARC.
Anche i membri delle comunità afroamericane di Jiguamiandó e Curvaradó hanno
continuato a essere oggetto di minacce da parte delle forze di sicurezza e dei
paramilitari.
*Il 24 ottobre, il corpo dell’attivista afroamericano Orlando Valencia è stato
ritrovato nella municipalità di Chirigorodó, dipartimento di Antioquia. Era
stato sequestrato da presunti paramilitari il 15 ottobre, dopo essere stato
fermato per alcune ore dalla polizia che lo accusava di essere un membro delle
FARC.
Scontri avvenuti a seguito di attacchi delle FARC il 14 e 17 aprile contro
unità delle forze di sicurezza nella comunità indigena di Toribío,
dipartimento del Cauca, hanno provocato la morte di Yanson Trochez Pavi, di 10
anni, e il ferimento di 19 civili. Secondo quanto riferito, nel corso degli
attacchi le FARC hanno usato bombe a cilindro di gas, mentre, secondo le
denunce, le forze di sicurezza avrebbero risposto con mitragliamenti aerei a
bassa quota.
Libertà di espressione
La libertà di espressione è stata messa a repentaglio da continue minacce,
sequestri e uccisioni di giornalisti.
*L’11 gennaio il giornalista Julio Palacios Sánchez è stato ucciso da ignoti a
Cúcuta, dipartimento Norte de Santander.
*Il 20 febbraio le FARC hanno fatto esplodere un’autobomba davanti alla sede
della stazione radiotelevisiva RCN di Cali, ferendo due persone.
*Il 16 maggio i giornalisti Hollman Morris, Carlos Lozano e Daniel Coronell, i
quali, secondo quanto riferito, avevano ripetutamente denunciato violazioni
dei diritti umani da parte dei paramilitari, hanno ricevuto minacce di morte
nella forma di corone funerarie.
Aiuti militari degli
Stati Uniti
Nel 2005 gli aiuti degli Stati Uniti alla Colombia hanno ammontato a circa 781
milioni di dollari americani, l’80% dei quali in aiuti militari. Il Congresso
degli Stati Uniti ha nuovamente richiesto al Segretario di Stato di
certificare i progressi in specifiche aree dei diritti umani prima del
trasferimento dell’ultima quota del 25%. Considerata la mancanza di progresso
in diverse categorie dei diritti umani, il Dipartimento di Stato degli Stati
Uniti, prima di concederla, ha negato la certificazione per diversi mesi.
L’assistenza finanziaria degli Stati Uniti al processo di smobilitazione
paramilitare è stata approvata, seppur a determinate condizioni in materia di
diritti umani. Ad agosto il Dipartimento di Stato ha annunciato che avrebbe
interrotto l’assistenza destinata alla sicurezza della XVII Brigata
dell’esercito colombiano, in seguito alle accuse di violazioni dei diritti
umani, comprese le uccisioni di febbraio a San José de Apartadó. L’assistenza
non sarebbe stata rinnovata finché le accuse non fossero state «affrontate in
maniera credibile».
Organizzazioni
intergovernative
La Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani ha espresso
preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e del diritto
internazionale umanitario, riconoscendo la responsabilità dei gruppi di
opposizione armata, paramilitari e forze di sicurezza. Ha deplorato le denunce
di esecuzioni extragiudiziali attribuite ai membri delle forze di sicurezza e
altri dipendenti pubblici e le denunce di arresti e perquisizioni di massa
effettuati senza le opportune basi legali. Ha inoltre espresso preoccupazione
per la collusione di agenti statali con i paramilitari. Ha condannato la
violenza sulle donne compiuta da tutte le parti in conflitto e l’impunità
prevalente nel Paese.
Guatemala
Repubblica del Guatemala
Capo di Stato e di governo: Óscar Berger Perdomo
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne e relative Protocollo opzionale:
ratificati
Le uccisioni di donne hanno raggiunto cifre da record; la risposta del governo
ha continuato a essere inefficace e inadeguata e ben pochi casi giudiziari si
sono conclusi con la condanna dei responsabili. Difensori dei diritti umani
hanno dovuto affrontare ripetute minacce e intimidazioni, in special modo
contestualmente a proteste a livello nazionale contro le politiche economiche
del governo. Centinaia di casi di dispute fra comunità rurali e proprietari
terrieri sono rimasti irrisolti. Responsabili di passate violazioni dei
diritti umani, compresi casi di genocidio, commessi durante il conflitto
armato interno, non sono stati assicurati alla giustizia.
Contesto
A marzo, il Congresso ha ratificato un accordo di libero scambio (noto come
CAFTA) con gli Stati Uniti, la Repubblica Dominicana e altri Stati
dell’America Centrale. Questo fatto, unitamente ad altre politiche economiche,
come l’espansione delle attività minerarie da parte di società estere e la
proposta privatizzazione di parti del settore pubblico, ha causato notevoli
proteste a livello nazionale. Almeno due dimostranti sono stati uccisi, si
ritiene da parte di membri delle forze di sicurezza, e molti sono stati feriti
nel corso di diverse manifestazioni.
Il governo ha presentato scuse ufficiali in quattro casi relativi a violazioni
dei diritti umani commesse durante il conflitto armato interno. In un caso,
quello relativo al massacro avvenuto nel 1982 a Plan de Sánchez dove oltre 250
contadini indigeni furono uccisi da forze dello Stato, le scuse ufficiali
erano state imposte dalla Corte interamericana dei diritti umani.
A settembre è stato aperto l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite
per i diritti umani.
Più di 650 persone sono morte in Guatemala a causa dell’uragano Stan, che in
ottobre ha causato vasti danni e molti morti in America Centrale.
Gli sforzi per fare approvare una proposta, sostenuta dalle Nazioni Unite, per
stabilire una commissione volta a indagare sulle attività di organizzazioni
illegali e di gruppi clandestini sono stati del tutto vani, nonostante le
precedenti assicurazioni da parte del governo in tal senso. La proposta era
già stata respinta dal Congresso nel 2004.
Violenza sulle donne
Secondo quanto riportato da fonti di polizia, in Guatemala sono state uccise
665 donne, in aumento rispetto alle 527 uccise nel 2004. Le aggressioni sono
state in molti casi accompagnate da violenza sessuale ed estrema brutalità.
Ben pochi progressi sono stati fatti per consegnare i responsabili alla
giustizia. A gennaio i casi sono stati trasferiti a una nuova agenzia
investigativa dotata di maggiori risorse, ma ciò non ha portato a procedimenti
giudiziari che si siano conclusi con una condanna.
È rimasta in vigore una legge che ascrive a reato le relazioni sessuali con
una minorenne soltanto se costei è “onesta”. È stata invece sospesa a dicembre
dalla Corte Costituzionale, la più alta corte di giustizia, una legge che
permetteva agli stupratori, in taluni casi, di eludere l’incriminazione nel
caso sposassero la loro vittima.
*Il corpo della diciannovenne Claudina Velázquez è stato ritrovato il 13
agosto con un colpo di arma da fuoco alla testa. La giovane aveva bruciature
su una guancia e su un ginocchio e sono state trovate tracce si sperma. Sono
sorti forti dubbi circa l’efficacia delle indagini. Ad esempio, non erano
stati effettuati test sui principali sospetti per accertare se avessero
sparato con un’arma da fuoco e il pubblico ministero aveva cercato di
restituire i vestiti alla famiglia, che insisteva fossero trattenuti come
potenziale fonte di prove.
Diritti economici, sociali e
culturali
Sono stati riferiti 22 escomi di comunità rurali effettuati durante l’anno.
Nel dare esecuzione agli escomi le autorità si sono dimostrate indebitamente
parziali nei confronti di alcuni soggetti, solitamente ricchi proprietari
terrieri. Gli escomi sono stati caratterizzati da distruzione di case e uso
eccessivo della forza, che in taluni casi ha causato feriti.
Minacce e intimidazioni
Sono stati riportati 224 casi di aggressione nei confronti di attivisti e
organizzazioni per i diritti umani. Tempistica e natura di molti di questi
attacchi hanno indicato il coinvolgimento di gruppi illegali clandestini.
Il Relatore per il Guatemala della Commissione interamericana dei diritti
umani ha visitato il Paese a giugno e ha osservato la difficile situazione dei
difensori dei diritti umani. Nel commentare la dichiarazione ufficiale del
governo a sostegno dei difensori, il Relatore ha concluso che l’impunità era
un problema strutturale e che erano stati fatti pochi passi avanti
nell’indagare le passate e attuali violazioni dei diritti umani nei confronti
degli attivisti.
*A gennaio è stata aggredita Makrina Gudiel, un’attivista impegnata in una
campagna contro la corruzione e figlia di un importante difensore dei diritti
umani assassinato nel dicembre 2004. La sua auto è stata cosparsa di benzina
nel tentativo di bruciarla viva. Scampata all’attentato, Makrina Gudiel è
rimasta nascosta per gran parte dell’anno.
*A maggio l’ufficio di un’organizzazione nazionale dei lavoratori rurali è
stato oggetto di un raid, nel corso del quale sono stati asportati computer
contenenti importanti informazioni sul lavoro dell’organizzazione e sui suoi
membri, mentre molti altri oggetti di valore sono stati tralasciati.
L’organizzazione era attivamente impegnata contro il CAFTA e gli escomi
forzati delle comunità rurali.
Impunità
Non sono stati compiuti progressi nelle azioni penali contro i passati casi di
genocidio o crimini contro l’umanità in Guatemala.
A febbraio, la Corte Costituzionale, sostenendo la violazione della corretta
procedura, ha bloccato il processo relativo al massacro di Dos Erres del 1982,
nel corso del quale oltre 200 persone furono uccise dall’esercito
guatemalteco. A fine anno il caso era ancora aperto.
*Nel mese di settembre la Corte Costituzionale spagnola ha emesso una sentenza
in base alla quale potrà proseguire in Spagna il caso che vede imputato per
genocidio il generale guatemalteco Rios Montt, leader della giunta militare in
Guatemala nel periodo 1981-1982 e di altri ufficiali.
Pena di morte
Ad aprile il presidente Berger ha annunciato l’intenzione di abolire la pena
di morte. La proposta di legge è stata presentata al Congresso a maggio e a
fine anno era ancora all’esame.
In due casi separati, a giugno e settembre, la Corte interamericana dei
diritti umani ha decretato che gli articoli del codice penale relativi
all’applicazione della pena di morte per omicidio e rapimento erano poco
chiari e non potevano quindi essere applicati. La Corte ha ordinato il riesame
per due prigionieri che avevano presentato appello e per altri 18 condannati a
morte per rapimento. Se applicato, tale decreto ridurrebbe da 29 a 9 gli
attuali prigionieri nel braccio della morte.
Nessuna esecuzione ha avuto luogo nel corso dell’anno.
Iraq
Repubblica dell’Iraq
Capo di Stato: Jalal Talabani (subentrato a Shaikh Ghazi al-Yawar ad aprile)
Capo del governo ad interim: Ibrahim al-Ja’fari (subentrato a Iyad ‘Allawi ad
aprile)
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non
firmato
Sia la Forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America (MNF) e le
forze di sicurezza irachene hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani,
tra cui torture e maltrattamenti, detenzioni arbitrarie senza accusa né
processo, e uso eccessivo della forza che ha determinato la morte di civili.
Gruppi armati combattenti contro la MNF e il governo iracheno si sono resi
responsabili di gravi abusi dei diritti umani, tra cui l’uccisione deliberata
di migliaia di civili in attacchi dinamitardi e di altro tipo, cattura di
ostaggi e tortura. Decine di persone sono state condannate a morte da corti
penali e almeno tre condanne sono state eseguite. L’ex presidente Saddam
Hussein e altri sette imputati sono stati portati in giudizio. Donne e ragazze
hanno continuato a essere molestate e hanno vissuto nella paura come risultato
della continua mancanza di sicurezza.
Contesto
Le elezioni per l’Assemblea Nazionale di Transizione (TNA), il Parlamento
iracheno ad interim, tenutesi il 30 gennaio, hanno visto una larga
partecipazione nel sud e nel Kurdistan iracheno. Ciononostante, la maggior
parte dei sunniti ha boicottato le elezioni, apparentemente dando ascolto alle
richieste di religiosi sunniti e figure politiche che si opponevano allo
svolgimento delle elezioni finché la MNF fosse rimasta in Iraq; altri non
hanno votato a causa delle temute rappresaglie da parte di gruppi armati.
Un’alleanza degli sciiti ha ottenuto la maggioranza dei voti guadagnando 140
su 275 seggi nell’assemblea. Un’alleanza curda ha ottenuto 75 seggi e una
coalizione guidata dal Primo ministro uscente Iyad ‘Allawi ne ha ottenuti 40.
Dopo settimane di stallo, un accordo tra le alleanze sciita e curda ha portato
a maggio alla formazione di un nuovo governo, presieduto da Ibrahim al-Ja’fari,
membro del partito al-Da’wa e dell’alleanza sciita, e tra i cui componenti
figurano diversi sunniti. Jalal Talabani, leader dell’Unione patriottica del
Kurdistan (PUK) è stato nominato presidente.
Si sono tenuti ulteriori e protratti negoziati prima che il Comitato per la
stesura della Costituzione trovasse un accordo su una nuova bozza di
Costituzione alla fine di agosto, due settimane dopo la scadenza stabilita
dalla legge amministrativa di transizione. Il 15 ottobre, la nuova
Costituzione è stata oggetto di un referendum nazionale e approvata
complessivamente con una percentuale complessiva di tre a uno, sebbene sia
stata respinta con una percentuale di due a uno in due province con
popolazione a maggioranza sunnita, al-Anbar e Salahuddin. È stato concordato
che il nuovo Parlamento avrebbe istituito un comitato per considerare
possibili emendamenti.
Le elezioni per il nuovo Consiglio dei rappresentanti, un Parlamento di 275
seggi con mandato quadriennale, si sono tenute il 15 dicembre e hanno visto la
partecipazione di partiti sunniti, sciiti e curdi. C’è stata una notevole
affluenza al voto, ufficialmente stimata al 70%, con la maggior parte dei voti
espressi su base etnica e religiosa. A fine anno il nuovo governo doveva
ancora essere formato. In seguito a questo vuoto di potere, gruppi armati, la
MFN e le forze di sicurezza irachene hanno commesso gravi abusi, compresi
crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Abusi commessi da gruppi
armati
Gruppi armati combattenti contro la MNF e le forze di sicurezza irachene si
sono resi responsabili di gravi abusi dei diritti umani. Secondo quanto
riferito, centinaia di civili iracheni sono stati uccisi o feriti in attacchi
da parte di gruppi armati. Alcuni, compresi traduttori, autisti e altri
impiegati dalla MNF, sarebbero stati attaccati perché considerati
“collaborazionisti”; altri, tra cui impiegati statali, funzionari governativi,
giudici e giornalisti sono finiti nel mirino a causa dei loro legami con
l’amministrazione irachena. Molti altri sono stati colpiti perché appartenenti
a determinati gruppi religiosi ed etnici. Civili sono stati anche uccisi e
feriti in esplosioni di autobomba e attacchi suicidi indiscriminati compiuti
da gruppi armati miranti a colpire la polizia irachena e le forze governative,
nonché convogli militari e basi della MNF.
Gruppi armati si sono anche resi responsabili del rapimento di decine di
iracheni e stranieri, trattenuti in ostaggio. Molti degli ostaggi sono stati
uccisi, in maggioranza si trattava di civili.
*Il 25 gennaio, il giudice Qais Hashem al-Shamari, segretario del Consiglio
iracheno dei giudici, è stato ucciso insieme a suo figlio in un’imboscata
compiuta da uomini armati a bordo di un’auto. Il giudice e suo figlio erano
appena usciti di casa e si trovavano nella parte orientale di Baghdad. Il
gruppo armato Ansar al-Sunna ha rivendicato la responsabilità delle uccisioni.
*Il 28 febbraio almeno 118 persone sono state uccise e 132 ferite in un
attacco suicida con un’autobomba vicino a una stazione di polizia e un mercato
affollato ad al-Hilla, a sud di Baghdad. Le vittime comprendevano persone in
fila davanti a una clinica per ritirare certificati medici che avrebbero
permesso loro di presentare domanda di lavoro presso l’esercito e la polizia.
Molte altre vittime si trovavano nel mercato dall’altra parte della strada. In
una dichiarazione apparsa su Internet un gruppo chiamato Organizzazione della
Jihad di al-Qaeda nella Terra dei due fiumi ha rivendicato la responsabilità
dell’attacco.
*Il 14 settembre un attentatore suicida ha attirato decine di persone presso
il suo furgone con la promessa di lavoro e poi ha detonato una bomba nella
piazza al-‘Uruba ad al-Kadhimiya, un quartiere di Baghdad a predominanza
sciita. Almeno 114 civili, compresi bambini, sono stati uccisi e decine
feriti.
*Il 26 novembre quattro difensori dei diritti umani, membri del Gruppo di
pacificatori cristiani, Tom Fox, Norman Kember, James Loney e Harmeet Singh
Sooden, sono stati rapiti a Baghdad. Un gruppo armato, Spade della verità, ne
ha rivendicato la responsabilità e ha domandato il rilascio di quattro
prigionieri iracheni. A fine anno i quattro uomini erano ancora in ostaggio.
Detenzione senza accusa
né processo
Migliaia di persone sono state trattenute dalla MNF senza accusa né processo.
Per la maggior parte si trattava di sunniti arrestati nel cosiddetto triangolo
sunnita dove gruppi armati che si oppongono alla MNF e al governo iracheno
erano particolarmente attivi. Alla maggior parte è stato negato l’accesso ad
avvocati e alle famiglie durante i primi due mesi di detenzione.
Le forze militari statunitensi hanno continuato a controllare quattro
principali centri di detenzione: la prigione di Abu Ghraib a Baghdad; Camp
Bucca a Um Qasr, vicino a Bassora, nel sud del Paese; Camp Cropper vicino
all’aeroporto internazionale di Baghdad e Fort Suse, vicino a Suleimaniya, nel
nord del Paese. Alla fine di novembre più di 14.000 detenuti si trovavano in
questi centri di detenzione; più di 1.400 da oltre un anno. Tra i detenuti vi
erano anche nove donne a Camp Cropper.
*‘Ali ‘Omar Ibrahim al-Mashhadani, un cameraman di 36 anni, è stato arrestato
dalle forze statunitensi l’8 agosto dopo una perquisizione nella sua
abitazione di al-Ramadi a seguito di una sparatoria nella città. Suo fratello,
che è stato arrestato assieme a lui e poi rilasciato, ha affermato che i
soldati li avevano arrestati dopo aver visionato del materiale filmato da ‘Ali
‘Omar Ibrahim al-Mashhadani. A fine anno ‘Ali ‘Omar Ibrahim al-Mashhadani era
ancora detenuto senza accusa né processo a Camp Bucca.
Migliaia di detenuti sono stati rilasciati, compresi circa 500 detenuti per
ragioni di sicurezza rilasciati dalla MNF a ottobre, pochi giorni prima
dell’inizio del mese santo del Ramadan.
*Due studenti palestinesi, Jayab Mahmood Hassan Humeidat e Ahmad Badran Faris,
entrambi di 22 anni, sono ritornati a casa in Cisgiordania dopo essere stati
rilasciati alla fine di agosto. Essi erano stati detenuti per 28 mesi senza
accusa né processo a Camp Bucca.
Tortura e maltrattamenti
Sono state comprovate diffuse torture e maltrattamenti da parte delle forze di
sicurezza irachene. I metodi di tortura comprendevano la sospensione per le
braccia, le bruciature di sigaretta, le percosse, l’applicazione di scosse
elettriche in diverse parti del corpo, lo strangolamento, la frattura degli
arti e gli abusi sessuali. Sono state riferite torture e maltrattamenti in
centri di detenzione segreta, stazioni di polizia e in centri di detenzione in
diverse parti del Paese così come in edifici di Baghdad sotto il controllo del
ministero dell’Interno.
*A febbraio tre presunti membri dell’Organizzazione Badr sono deceduti in
custodia dopo essere stati arrestati dalla polizia irachena a un posto di
blocco. I corpi dei tre uomini, Majbal ‘Adnan Latif, suo fratello ‘Ali ‘Adnan
Latif, e ‘Aidi Mahassin Lifteh, sono stati trovati tre giorni dopo, con segni
di percosse e scosse elettriche.
*Sempre a febbraio una casalinga di 46 anni di Mosul, Khalida Zakiya, è stata
mostrata durante il programma della TV irachena “Terrorismo nella morsa della
giustizia” in cui si asseriva che aveva offerto sostegno a un gruppo armato.
Tuttavia, più tardi la donna ha affermato di essere stata costretta a rendere
una falsa confessione e ha riferito che durante la sua detenzione da parte
delle forze di sicurezza del ministero dell’Interno era stata frustata con un
cavo e minacciata di abuso sessuale.
*A luglio, 12 uomini sono stati arrestati dalla polizia irachena nel quartiere
al-‘Amirya di Baghdad. Nove dei 12 sono morti soffocati mentre erano rinchiusi
in un furgone della polizia. Le autorità irachene hanno lasciato intendere che
i 12 erano membri di un gruppo armato che aveva avuto uno scontro a fuoco con
le forze irachene o statunitensi. Tuttavia, secondo altre fonti si trattava di
un gruppo di muratori arrestati in quanto presunti insorti e poi torturati da
unità di polizia prima di essere rinchiusi in un furgone della stessa con
temperature estremamente elevate per almeno 14 ore. Il personale medico
dell’ospedale Yarmouk di Baghdad, dove i corpi dei morti sono stati portati
l’11 luglio, avrebbe confermato che alcuni avevano segni di tortura, comprese
scosse elettriche.
*A novembre le forze statunitensi hanno annunciato di aver trovato 173
detenuti segregati in un edificio controllato dal ministero dell’Interno.
Molti erano stati torturati, maltrattati ed erano malnutriti. Poco dopo, il
governo iracheno ha avviato un’indagine in merito a queste e ad altre denunce
di tortura.
Sono state anche riferite torture e maltrattamenti da parte della MNF.
*A settembre vari membri del 184° reggimento di fanteria della Guardia
nazionale statunitense sono stati condannati a pene detentive per tortura o
maltrattamento di iracheni. Secondo quanto riferito, i detenuti erano stati
arrestati a marzo in seguito a un attacco a una centrale elettrica vicino a
Baghdad. Secondo resoconti dei media, erano state usate armi che impartiscono
scariche elettriche su detenuti ammanettati e bendati.
Pena di morte
Decine di persone sono state condannate a morte da corti penali iracheni
durante l’anno. Le prime esecuzioni da quando l’Iraq ha reintrodotto la pena
di morte nell’agosto 2004 hanno avuto luogo a settembre. A fine anno il
braccio della morte contava decine di persone.
*Ahmad al-Jaf, Jasim ‘Abbas e ‘Uday Dawud al-Dulaimi, ritenuti appartenenti al
gruppo armato Ansar al-Sunna, sono stati condannati a morte a maggio da una
corte penale nella città di al-Kut, circa 170 km a sud di Baghdad. I tre
uomini sono stati giudicati colpevoli di rapimento, stupro e omicidio. Le loro
condanne a morte sono state eseguite a settembre per impiccagione.
Attacchi illegali
Le forze della MNF sono ricorse a un uso eccessivo della forza che ha causato
vittime civili. Secondo quanto riferito, non erano state adottate le
necessarie precauzioni per minimizzare i rischi per i civili.
*Ad agosto truppe statunitensi hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco Walid
Khaled, un ingegnere del suono iracheno che lavorava per l’agenzia di stampa
Reuters, e ferito il suo collega Haidar Kadhem. I soldati hanno sparato
all’auto su cui stavano viaggiando i due uomini diretti verso il luogo di un
precedente attacco di insorti a un convoglio della polizia irachena nel
quartiere di al-‘Adel a Baghdad. Un ufficiale statunitense ha in seguito
sostenuto che i soldati statunitensi aveva condotto «un’azione appropriata»
secondo le loro regole di ingaggio.
*Il 16 ottobre, circa 70 persone sono state uccise vicino ad al-Ramadi, in un
raid aereo statunitense. La locale polizia irachena ha affermato che circa 20
degli uccisi erano civili, compresi bambini che si erano riuniti attorno ai
rottami di un veicolo militare. Ufficiali dell’esercito statunitense aveva
affermato inizialmente che gli uccisi erano «terroristi». Tuttavia, stando
alle fonti, due giorni dopo hanno affermato che avrebbero indagato sulle
accuse secondo cui i civili erano stati uccisi.
Processo a Saddam Hussein
e ad altri ex funzionari
L’ex presidente Saddam Hussein è stato portato in giudizio il 19 ottobre
insieme ad altri sette, tra cui l’ex vice presidente Taha Yassin Ramadhan e
Barzan Ibrahim al-Tikriti, ex capo dei servizi di intelligence (Mukhabarat).
Essi sono comparsi di fronte alla Suprema Corte penale irachena (SICT), già
Tribunale speciale iracheno e accusati in relazione all’esecuzione di 148
persone di al-Dujail, un villaggio a prevalenza sciita, in seguito a un
attentato a Saddam Hussein durante una sua visita nel villaggio nel 1982.
Il processo si è celebrato nell’ultra fortificata Green Zone di Baghdad, con
preoccupazione per coloro che vi partecipavano ed è stato caratterizzato da
irregolarità procedurali. Ad esempio, i nomi dei testimoni dell’accusa non
sono stati riferiti alla difesa e il nome e le procedure della Corte sono
stati emendati immediatamente prima dell’inizio del procedimento. Gli
imputati, i quali, se condannati potrebbero rischiare la pena di morte, hanno
respinto le accuse e contestato la legittimità della Corte.
Il 20 ottobre l’avvocato della difesa Sa’dun al-Janabi è stato prelevato dal
suo ufficio di Baghdad da uomini armati e ucciso. Un secondo avvocato
difensore, ‘Adil al-Zubeidi, è stato ucciso a novembre quando uomini armati
hanno aperto il fuoco contro l’auto su cui viaggiava. A fine anno il processo
era ancora in corso.
Violenza sulle donne
Donne e ragazze hanno continuato a incorrere in minacce, attacchi e molestie.
Le loro libertà sono risultate fortemente limitate a causa della mancanza di
sicurezza nelle strade. Molte donne e ragazze hanno subito pressioni per
indossare lo hijab o velo islamico e cambiare il loro comportamento. Donne
sono state uccise e rapite da gruppi armati.
*Il 20 febbraio, Ra’ida Mohammad al-Wazzan, di 35 anni, giornalista e
presentatrice di telegiornale per al-‘Iraqiya, il canale televisivo di Stato
iracheno, è stata rapita da uomini armati assieme a suo figlio di 10 anni. Il
ragazzo è stato rilasciato tre giorni dopo, ma il corpo di Ra’ida Mohammad
al-Wazzan è stato trovato in una strada di Mosul il 25 febbraio e riportava
ferite d’arma da fuoco alla testa. La giornalista era stata precedentemente
minacciata da uomini armati che le avevano chiesto di lasciare il suo lavoro.
Iraq settentrionale
Abusi dei diritti umani sono stati riferiti anche in zone dell’Iraq
settentrionale controllate dal 1991 dal partito democratico del Kurdistan (KDP)
e dall’Unione patriottica del Kurdistan (PUK).
*Il 7 settembre, forze di sicurezza di Kalar, una cittadina della zona
controllata dal PUK, hanno ucciso una persona ferendone un’altra trentina
quando hanno sparato su una folla che manifestava davanti all’ufficio del
governatore contro la carenza di carburante e servizi pubblici scadenti.
*Kamal Sayid Qadir, uno scrittore curdo con cittadinanza austriaca, è stato
arrestato a ottobre ad Arbil da membri del Parastin, il servizio di
intelligence del KDP. A dicembre è stato condannato a 30 anni di carcere per
diffamazione al termine di un processo iniquo. Egli aveva pubblicato articoli
su Internet in cui si criticavano i dirigenti del KDP.
Italia
Repubblica italiana
Capo di Stato: Carlo Azeglio Ciampi
Capo del governo: Silvio Berlusconi
Pena di morte: abolizionista per i tutti i reati
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: ratificato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne e relativo Protocollo opzionale:
ratificati
I diritti dei rifugiati sono stati minacciati dall’applicazione di una nuova
legge sull’immigrazione, dalla mancanza di una legislazione specifica per
tutelare i richiedenti asilo e dall’intenzione manifestata dall’Italia di
costruire in Libia centri di detenzione per migranti. Nel corso dell’anno, a
dispetto del diritto internazionale sui rifugiati, più di 1.425 migranti sono
stati espulsi verso la Libia. Sono state comminate condanne detentive con
sospensione condizionale della pena nei confronti di funzionari pubblici e
personale civile per aggressione e maltrattamenti razzisti avvenuti in un
centro di detenzione per migranti. Sono proseguiti i processi a carico di
agenti di polizia accusati di aggressione e altri reati compiuti nel 2001
durante manifestazioni svoltesi a Napoli e, in occasione del Summit G8, a
Genova. L’Italia non ha adottato misure per risolvere il problema
dell’impunità all’interno delle forze dell’ordine, quali la creazione di un
organismo indipendente per le denunce contro la polizia, l’inserimento del
reato di tortura nel codice penale e l’obbligo per gli agenti di indossare
chiaramente un qualche segno di identificazione.
Minaccia ai diritti dei
rifugiati
Nonostante sia Stato parte della Convenzione delle Nazioni Unite sui
rifugiati, l’Italia non si è ancora dotata di una legge specifica e completa
sul diritto di asilo. Nella pratica, l’asilo è disciplinato dalla legge
sull’immigrazione del 1990, così come emendata nel 2002 dalla c.d. legge
Bossi-Fini, il cui regolamento di attuazione è entrato in vigore il 21 aprile
2005. La legge ha istituito centri di identificazione per la detenzione dei
richiedenti asilo e una procedura veloce per la determinazione del diritto di
asilo per i richiedenti detenuti, generando preoccupazione per l’accesso alle
procedure di asilo, per la detenzione dei richiedenti asilo in violazione
degli standard previsti dalla normativa internazionale e per la violazione del
principio del non-refoulement (non respingimento) che vieta di rimpatriare o
espellere forzatamente i richiedenti asilo verso Paesi in cui potrebbero
essere a rischio di gravi abusi dei diritti umani.
È stato espresso il timore che molti delle migliaia di migranti e richiedenti
asilo giunti in Italia via mare, principalmente dalla Libia, siano stati
forzatamente respinti verso Paesi in cui erano a rischio di violazioni dei
diritti umani. Tra gennaio e ottobre almeno 1.425 persone sono state deportate
in Libia.
*Tra il 13 e il 21 marzo, sull’isola di Lampedusa sono arrivati 1.235
cittadini stranieri. Il 14 marzo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per
i rifugiati (ACNUR) ha chiesto di poter accedere al centro di detenzione
dell’isola, ma la richiesta è stata respinta per ragioni di sicurezza. Il 16
marzo il ministro dell’Interno ha riferito al Parlamento che nel centro erano
stati ammessi funzionari libici, per identificare i trafficanti di esseri
umani. Secondo quanto riferito, il giorno seguente sono state espulse 180
persone, scortate in volo da agenti delle forze dell’ordine italiane fino alla
capitale libica Tripoli. Il 18 marzo l’ACNUR ha sottolineato che, se al
momento delle visite dei funzionari libici nel centro fossero stati presenti
richiedenti asilo libici, tali visite avrebbero contravvenuto i principi
basilari della tutela dei rifugiati. Il 14 aprile il Parlamento Europeo ha
espresso preoccupazione per le espulsioni dei migranti da Lampedusa attuate
tra l’ottobre 2004 e il marzo 2005. Il 10 maggio la Corte Europea dei diritti
umani ha ordinato alle autorità italiane di sospendere la prevista espulsione
di 11 migranti che erano giunti a Lampedusa a marzo.
Nei Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) sono stati detenuti
migliaia di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, mentre da alcuni
di tali centri sono state segnalate aggressioni verso detenuti da parte di
agenti delle forze dell’ordine e personale di sorveglianza. Sono state anche
segnalate condizioni di sovraffollamento e mancanza di igiene; assistenza
medica inadeguata unita a somministrazione eccessiva e illegale di sedativi; e
difficoltà per i detenuti a ottenere assistenza legale e accesso alle
procedure di asilo. Condizioni analoghe sono state riferite nei Centri di
identificazione, di nuova creazione, dove sono stati trattenuti centinaia di
richiedenti asilo.
Aggiornamenti
Nel mese di luglio il tribunale di Lecce ha condannato 16 persone accusate di
aggressione e maltrattamenti razzisti avvenuti nel novembre 2002 ai danni di
detenuti nel CPTA Regina Pacis, in Puglia. Il direttore del centro, un prete
cattolico, e due dei carabinieri addetti alla sicurezza sono stati condannati
a 16 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena. Gli altri
imputati, sei dipendenti amministrativi, due medici e altri cinque
carabinieri, hanno ricevuto condanne dai 9 ai 16 mesi di reclusione, anch’esse
con sospensione della pena.
Detenzione per procura
Nel corso dell’anno fonti non ufficiali hanno riferito della decisione
dell’Italia di costruire tre strutture di detenzione in Libia, nelle località
di Gharyan, vicino a Tripoli, di Sheba, nel deserto, e di Kufra, vicino al
confine con Egitto, Sudan e Ciad. Sono stati espressi timori che i diritti
umani dei migranti potessero essere seriamente messi a rischio. La Libia non
ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, né il suo
Protocollo, e non riconosce la presenza di rifugiati e richiedenti asilo sul
suo territorio, né lo status ufficiale dell’ACNUR.
Brutalità della polizia
L’Italia ha continuato a non voler introdurre nel proprio codice penale il
reato di tortura così come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite
contro la tortura. Inoltre, non ha adottato alcuna misura per creare un
istituto nazionale indipendente per la tutela dei diritti umani o un organo
indipendente che accolga le denunce contro la polizia e ne individui le
responsabilità. Le operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico non sono
risultate in linea con il Codice europeo di etica per la polizia che, ad
esempio, richiede agli agenti di indossare in modo ben visibile qualche segno
di identificazione, come il numero di matricola, per far sì che possano essere
individuati e chiamati a rispondere delle proprie azioni.
Aggiornamenti: operazioni
di polizia durante manifestazioni del 2001
Sono proseguiti i processi nei confronti di agenti di polizia impegnati nelle
operazioni di controllo dell’ordine pubblico durante le manifestazioni di
Napoli del marzo 2001, e del Summit G8 di Genova nel luglio 2001.
*È proseguito il processo, avviato nel dicembre 2004, contro 31 agenti di
polizia imputati per reati commessi durante la manifestazione di Napoli, che
andavano dal sequestro di persona alle lesioni personali e alla violenza
privata.
*Nel mese di marzo la Procura della Repubblica di Genova ha presentato prove
di maltrattamenti verbali e fisici ai danni delle persone trattenute nella
struttura detentiva temporanea di Bolzaneto in cui, durante il Summit G8,
furono condotti più di 200 arrestati. I detenuti avevano denunciato di essere
stati colpiti con schiaffi, calci, pugni e sputi; sottoposti a minacce, anche
di stupro, e insulti, anche di natura sessuale e oscena; e privati di cibo,
acqua e sonno per lunghi periodi. Il 16 aprile sono stati decisi 45 rinvii a
giudizio per imputazioni varie nei confronti di agenti di polizia,
carabinieri, agenti di custodia e personale sanitario. Il processo è iniziato
l’11 ottobre.
*Il 6 aprile è iniziato il processo a carico di 28 agenti di polizia, tra cui
alcuni funzionari di grado superiore, coinvolti in una irruzione notturna in
una scuola di Genova durante le manifestazioni del 2001. Nel corso del raid
quasi 100 persone vennero ferite e tre di esse entrarono in coma. Gli agenti
sono stati accusati di vari reati, tra cui lesioni gravi e percosse,
falsificazione e occultamento di prove e abuso d’ufficio. Nessuno è stato
sospeso dal servizio. Decine di altri agenti delle forze dell’ordine ritenuti
coinvolti in aggressioni fisiche, a quanto pare non hanno potuto essere
identificati.
Maltrattamenti nelle
carceri
Negli istituti di pena non è mutata la situazione di sovraffollamento cronico
e insufficienza di personale, unita a un’alta incidenza di suicidi e atti di
autolesionismo. Sono pervenute molte segnalazioni di condizioni sanitarie
carenti e di assistenza medica inadeguata e non è diminuita l’incidenza di
malattie infettive e problemi di salute mentale.
Nel corso dell’anno sono proseguiti procedimenti penali nei confronti di un
gran numero di membri del personale carcerario, relativi a maltrattamenti di
singoli detenuti o, talvolta, di gruppi di reclusi. Alcuni processi si sono
contraddistinti per gli eccessivi ritardi. Le accuse si riferivano a presunti
abusi psicologici e fisici ai danni di detenuti, in alcuni casi condotti in
maniera sistematica e talvolta equivalenti a tortura.
Monitoraggio
internazionale
A gennaio il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della
discriminazione contro le donne ha reputato inadeguate le misure adottate
dall’Italia per risolvere il problema della bassa partecipazione delle donne
alla vita pubblica. Il Comitato ha raccomandato che nella legislazione
pertinente sia inclusa una definizione di discriminazione contro le donne, per
allineare l’Italia alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne.
Il 28 ottobre il Comitato diritti umani delle Nazioni Unite, in risposta al
rapporto presentato dall’Italia sull’applicazione del Patto internazionale sui
diritti civili e politici, ha raccomandato la creazione di un organismo
nazionale indipendente per la tutela dei diritti umani. Il Comitato ha
sollecitato maggiori sforzi sia per garantire che i presunti maltrattamenti
compiuti da agenti dello Stato siano oggetto di indagine immediata e
imparziale, sia per eliminare la violenza domestica. Il Comitato ha anche
espresso preoccupazione riguardo al diritto di asilo e ha richiesto
informazioni dettagliate in merito agli accordi di riammissione conclusi con
altri Paesi, compresa la Libia. Inoltre ha sollecitato l’Italia a garantire
l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo e ha evidenziato le
proprie preoccupazioni per il sovraffollamento delle carceri.
Corte penale
internazionale
Nonostante l’importante ruolo svolto dall’Italia nella redazione dello Statuto
di Roma della Corte penale internazionale e la ratifica del medesimo, già
avvenuta nel 1999, a fine anno le autorità non avevano ancora promulgato norme
attuative che consentirebbero di indagare e processare presso i tribunali
nazionali reati inseriti nel diritto internazionale o di cooperare con la
Corte penale internazionale nel corso delle sue inchieste.
Regno Unito
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
Capo di Stato: regina Elisabetta II
Capo del governo: Tony Blair
Pena di morte: abolizionista per tutti i reati
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: ratificato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne:
ratificato
Il governo ha continuato a intaccare i diritti umani fondamentali, lo Stato di
diritto e l’indipendenza della magistratura, anche persistendo nel tentativo
di erodere il divieto di tortura sia all’interno del Paese, sia all’estero, e
promulgando e cercando di promulgare leggi contrarie al diritto interno e
internazionale sulla tutela dei diritti umani. Ciononostante, ha perso la
battaglia legale che mirava a rendere ammissibili come prove durante i
processi informazioni ottenute tramite tortura. A luglio, 52 persone sono
morte e centinaia sono rimaste ferite in seguito ad attentati al sistema di
trasporto pubblico di Londra. Misure che pretendevano di contrastare il
terrorismo hanno provocato gravi violazioni dei diritti umani e hanno
sollevato diffuse preoccupazioni per il loro impatto sulla comunità musulmana
e su altre comunità minoritarie. Sono state avviate inchieste giudiziarie
pubbliche per casi di presunta collusione dello Stato in omicidi avvenuti in
passato nell’Irlanda del Nord, ma il governo ha continuato a non voler aprire
un’inchiesta sulla morte di Patrick Finucane. Gravi motivi di preoccupazione
sono stati espressi per la proposta di norme destinate ad avere un effetto
sulle passate violazioni dei diritti umani nell’Irlanda del Nord.
Misure anti-terrorismo
Si sono verificate continue gravi violazioni dei diritti umani, compresa la
persecuzione di uomini etichettati dal governo come «sospetti terroristi
internazionali» sulla base di rapporti dei servizi segreti. Le misure proposte
e messe in atto hanno comportato la punizione di persone che le autorità
ritenevano una minaccia, ma contro le quali affermavano di non avere prove
sufficienti per rinviarle a giudizio in tribunale.
All’indomani della sentenza emessa nel dicembre 2004 dal Comitato d’appello
della Camera dei Lord (i cosiddetti Law Lords, che rivestono la funzione di
Suprema corte d’appello), che stabiliva che la detenzione a tempo
indeterminato era incompatibile con il diritto alla libertà e con la
proibizione della discriminazione, il governo non ha fornito alle vittime
alcun sollecito risarcimento. Al contrario, ha atteso fino a marzo, mese in
cui scadeva la norma di legge in base alla quale erano state incarcerate.
Contemporaneamente, il governo ha approvato una nuova legge sulla prevenzione
del terrorismo (Prevention of Terrorism Act 2005 – PTA), che si è rivelata
contraria allo spirito stesso della sentenza dei Law Lords e che consente la
violazione di un’ampia gamma di diritti umani. La nuova legge ha concesso a un
ministro del governo il potere senza precedenti di emanare «ordini di
controllo» per la restrizione di libertà, movimento e attività di persone che
sono state fatte apparire come legate al terrorismo, sempre in base a
informazioni fornite dai servizi segreti. L’imposizione di «ordini di
controllo» si è tradotta nella possibilità da parte del potere esecutivo di
«incriminare», «processare» e «condannare» una persona al di fuori delle
garanzie di equità processuale richieste dalla procedura penale.
Nel mese di marzo il governo ha emanato «ordini di controllo» nei confronti di
persone internate in base alla precedente legislazione, sottoponendole così a
gravi restrizioni e violando i loro diritti umani. In seguito sono stati
emessi «ordini di controllo» anche per altre persone, tra cui almeno un
cittadino britannico.
A giugno il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura (CPT) ha
pubblicato un rapporto sulla visita compiuta in Gran Bretagna nel marzo 2004.
Il Comitato ha rilevato che la detenzione stabilita dalla precedente legge
anti-terrorismo (Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001- ACTSA) aveva
provocato disordini psichici alla maggior parte delle persone internate, e che
la loro salute era risultata ancor più deteriorata dal carattere indefinito
della detenzione e dal non essere a conoscenza delle prove a loro carico. Il
CPT ha ritenuto che le condizioni di alcuni internati al momento della visita
erano assimilabili a trattamento inumano e degradante.
Sempre nel mese di giugno il Commissario per i diritti umani del Consiglio
d’Europa ha reso pubblico il rapporto di una visita compiuta nel novembre
2004, in cui esprimeva preoccupazione per la PTA, per l’ammissione come prova
nei processi di informazioni estorte con la tortura, per le condizioni
carcerarie, per il trattamento dei richiedenti asilo, per l’età minima per la
responsabilità penale, per la discriminazione e per la necessità di istituire
inchieste pubbliche in grado di stabilire tutte le circostanze della presunta
collusione dello Stato in casi di omicidio nell’Irlanda del Nord.
Ad agosto il Primo ministro ha proposto nuove misure per contrastare il
terrorismo. La maggior parte di esse erano contrarie agli obblighi del Regno
Unito secondo il diritto interno e internazionale in materia di tutela dei
diritti umani e molte prendevano di mira i cittadini stranieri.
Il governo ha sottoscritto protocolli d’intesa con la Giordania, la Libia e il
Libano, affermando che si poteva fare affidamento sulle «assicurazioni
diplomatiche» contenute in tali protocollli per sollevare il Regno Unito dai
propri obblighi interni e internazionali che proibiscono di trasferire un
soggetto in un Paese in cui potrebbe essere a rischio di tortura o altri
maltrattamenti.
Nel mese di agosto la maggior parte degli ex internati sono stati nuovamente
arrestati e, insieme ad altri nuovi arrestati, sono stati imprigionati, per
ragioni di sicurezza nazionale, ai sensi della legge sull’immigrazione in
attesa di essere espulsi. Il governo ha sostenuto di poter trasferire
forzatamente gli uomini arrestati grazie ai protocolli d’intesa. Gli arrestati
sono stati rinchiusi in carceri lontano dalle famiglie, dagli avvocati e dai
medici. Alcuni di essi erano stati recentemente prosciolti da un tribunale
britannico da accuse collegate al terrorismo. A ottobre, in parte a causa
delle loro condizioni fisiche e mentali gravemente deteriorate, alcuni degli
ex internati sono stati rilasciati su cauzione e costretti agli arresti
domiciliari.
Sempre a ottobre è stato reso noto un disegno di legge sul terrorismo le cui
norme erano così ampie e imprecise che, nel caso in cui fossero entrate in
vigore, avrebbero intaccato il diritto alle libertà di espressione, di
associazione, di libertà personale e il diritto a un equo processo. A novembre
il Parlamento ha respinto la proposta, contenuta nel disegno di legge, di
estendere il periodo massimo di fermo di polizia senza accusa da 14 a 90
giorni, ma ha accettato di estenderlo a 28 giorni. In seguito, il disegno di
legge è stato sottoposto a ulteriore esame da parte del Parlamento.
A dicembre il governo ha dovuto affrontare crescenti accuse secondo le quali
le autorità avrebbero concesso agli Stati Uniti d’America di utilizzare il
territorio britannico nell’ambito dei trasferimenti segreti di soggetti al di
fuori di qualsiasi procedura giudiziaria (le cosiddette “consegne”) verso
Paesi in cui, stando alle fonti, erano stati torturati e verso centri di
detenzione statunitensi in varie parti del mondo.
Sparatorie della polizia
*A luglio, dopo che a Londra la polizia aveva ucciso il brasiliano Jean
Charles de Menezes, un uomo disarmato che si stava recando al lavoro, l’avvio
di un’indagine indipendente sull’episodio ha subito cruciali ritardi. Sono
emerse prove che hanno fatto sorgere il sospetto dell’iniziale tentativo della
polizia di insabbiare l’accaduto.
*A ottobre, la pubblica accusa ha deciso di non incriminare gli agenti di
polizia coinvolti nell’omicidio di Harry Stanley, un uomo disarmato ucciso nel
1999 mentre camminava per una strada di Londra.
“Prove” estorte sotto tortura
Nel mese di dicembre, i sette Law Lords hanno confermato all’unanimità
l’inammissibilità come prova agli atti processuali di informazioni estorte
sotto tortura. Essi hanno anche stabilito che vi era l’obbligo di indagare se
la tortura avesse avuto luogo e di estromettere qualsiasi prova nel caso in
cui, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, si giungesse alla conclusione che
questa fosse stata ottenuta ricorrendo alla tortura. AI ha coordinato una
coalizione di 14 organizzazioni che sono intervenute congiuntamente sul caso.
Il caso era stato sollevato da 10 cittadini stranieri che le autorità
britanniche avevano etichettato come «sospetti terroristi internazionali». In
conseguenza del verdetto, i loro casi sono stati rimessi alla corte di prima
istanza perché ne riconsiderasse le “prove”.
Guantánamo Bay
A gennaio sono stati rilasciati gli ultimi quattro cittadini britannici
detenuti dagli Stati Uniti a Guantánamo Bay, Cuba. Tuttavia, almeno altri
sette residenti nel Regno Unito hanno continuato a essere rinchiusi nella base
americana, compresi Bisher al-Rawi, un cittadino iracheno regolarmente
residente in Gran Bretagna, e Jamil Al-Banna, di nazionalità giordana e
titolare dello status di rifugiato nel Regno Unito. Le autorità britanniche
erano implicate nella loro illegittima consegna alla custodia degli Stati
Uniti e hanno continuato a rifiutarsi di contestare alle autorità statunitensi
la loro detenzione.
*Nel mese di dicembre un tribunale britannico ha stabilito che David Hicks, un
cittadino australiano detenuto a Guantánamo Bay, aveva il diritto di essere
registrato come cittadino britannico e, pertanto, di ricevere assistenza dalle
autorità del Regno Unito.
Forze armate britanniche in Iraq
Per il ruolo svolto nell’internamento senza accusa di almeno 10.000 persone in
Iraq, il Regno Unito ha violato la normativa internazionale e interna sulla
tutela dei diritti umani. Funzionari britannici, insieme a loro pari
statunitensi e iracheni, hanno fatto parte del Consiglio congiunto per la
revisione della detenzione, che ha esaminato i casi di tutte le persone
internate da membri della forza multinazionale in Iraq (in larga parte da
truppe statunitensi). A fine ottobre, le stesse truppe britanniche detenevano
in Iraq senza accusa né processo 33 «internati per motivi di sicurezza».
*Hilal Abdul-Razzaq Ali Al-Jedda, dalla doppia cittadinanza irachena e
britannica, arrestato nell’ottobre 2004, ha continuato a essere detenuto senza
accusa in Iraq dalle forze britanniche.
*Nel mese di dicembre la Corte d’Appello per l’Inghilterra e il Galles, in
merito al caso di Al-Skeini, ha sentenziato che, in linea di principio, la
legge sui diritti umani del 1998 aveva effetto anche al di fuori del
territorio del Regno Unito e che il sistema per indagare sui decessi di
persone detenute dalle forze armate britanniche era gravemente deficitario, in
particolare per la sua mancanza di indipendenza dall’ufficiale di comando.
Rifugiati e richiedenti asilo
È proseguita in Parlamento la discussione del nuovo disegno di legge su
immigrazione, asilo e cittadinanza. Se promulgate, le norme previste dal
disegno di legge indebolirebbero uno degli scopi fondamentali della
Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, ovvero quello di garantire
protezione alle persone che cercano asilo per sfuggire a persecuzioni
politiche.
Un sempre maggior numero di persone che cercavano asilo nel Regno Unito sono
state detenute ai sensi delle norme previste dalla legge sull’immigrazione
all’inizio o al termine del processo di richiesta di asilo. Tra i detenuti vi
erano famiglie con bambini, persone sopravvissute alla tortura e altre persone
vulnerabili. Sono stati rinchiusi in pessime strutture simili a prigioni e
alcuni hanno lamentato di essere stati oggetto di insulti razzisti e di altra
natura durante la detenzione.
Per tale tipo di detenzione non era prevista una durata massima e nemmeno un
esame automatico e regolare da parte di un tribunale o analogo organo
competente sulla legittimità della decisione di detenere tali persone. Nella
maggioranza dei casi la detenzione è stata arbitraria mentre sarebbero state
sufficienti altre misure diverse dalla detenzione.
Carceri
Martin Narey, direttore generale uscente del servizio degli istituti di pena e
di libertà vigilata, ha criticato l’aumento senza precedenti della popolazione
carceraria, che ha provocato un grave sovraffollamento. Egli ha anche definito
«disgustoso» il fatto che circa 16.000 detenuti fossero costretti a usare il
gabinetto nella stessa cella in cui consumavano i pasti. Il numero di suicidi
ha continuato a essere elevato.
Legge sulle inchieste
Nel mese di giugno è entrata in vigore la legge sulle inchieste (Inquiries Act
2005), che ha indebolito lo Stato di diritto, l’indipendenza della
magistratura e la tutela dei diritti umani. La sua adozione non è riuscita a
garantire lo svolgimento di inchieste giudiziarie pubbliche efficaci,
indipendenti, imparziali o esaurienti in merito a gravi violazioni dei diritti
umani. AI ne ha chiesto l’abrogazione.
Irlanda del Nord
Per tutto l’anno è proseguito il governo diretto delle autorità centrali. A
dicembre la pubblica accusa ha ritirato tutte le imputazioni nel processo
penale che, nell’ottobre 2002, aveva accelerato lo scioglimento dell’Assemblea
dell’Irlanda del Nord e riportato la conduzione diretta del Paese sotto il
governo centrale britannico. Poco tempo dopo, una delle persone che aveva
beneficiato del ritiro delle accuse, un esponente di spicco del partito Sinn
Féin, ha pubblicamente confessato di essere un agente britannico.
Collusione e omicidi politici
Ai sensi della legislazione sull’Irlanda del Nord, durante l’anno sono state
avviate tre diverse inchieste giudiziarie pubbliche sulle denunce di
collusione dello Stato negli omicidi di Robert Hamill, Billy Wright e Rosemary
Nelson. Tuttavia, nel mese di novembre il Segretario di Stato per l’Irlanda
del Nord ha declassato l’inchiesta sul caso di Billy Wright sottoponendola
alle norme della nuova legge sulle inchieste (e non più alla legislazione
sull’Irlanda del Nord), una mossa alla quale AI si è opposta.
Il governo ha affermato di essere in procinto di avviare, ai sensi della legge
sulle inchieste, un’inchiesta sull’omicidio del noto avvocato e attivista per
i diritti umani Patrick Finucane, avvenuto nel 1989. Inoltre ha aggiunto che
era probabile che gran parte delle prove sarebbero state esaminate
privatamente poiché riguardavano temi che erano «al cuore delle infrastrutture
della sicurezza nazionale in Irlanda del Nord». AI ha denunciato come una
mistificazione la prospettiva di un’inchiesta sul caso Finucane condotta
secondo la nuova legge sulle inchieste.
Eredità del passato
Il governo ha intrapreso due iniziative illustrate come misure volte ad
affrontare l’eredità degli abusi dei diritti umani commessi in passato. Nel
mese di aprile è stato istituito un Gruppo di inchiesta storica (Historical
Enquiry Team – HET) allo scopo di affidare al servizio di polizia dell’Irlanda
del Nord l’incarico di indagare su casi irrisolti di decessi motivati dal
conflitto nordirlandese, scelta che ha sollevato preoccupazione in merito alla
mancanza di indipendenza nelle indagini. A novembre è stato presentato in
Parlamento un disegno di legge per i reati in Irlanda del Nord che, qualora
entrasse in vigore, sancirebbe l’impunità per gli abusi dei diritti umani
commessi in passato da agenti statali e forze paramilitari, e priverebbe le
vittime della possibilità di effettivo risarcimento. Alla luce di tale disegno
di legge, sono stati espressi timori sull’utilità del Gruppo di inchiesta
storica.
Abusi commessi da attori non statali
Non sono cessati gli abusi commessi da organizzazioni paramilitari, comprese
uccisioni, sparatorie e percosse. Sette omicidi sono stati attribuiti a membri
di gruppi lealisti, due a gruppi repubblicani e uno ha fatto pensare al
coinvolgimento di lealisti.
*Nel mese di gennaio è stato ucciso il cattolico Robert McCartney e un altro
uomo è stato gravemente ferito durante la stessa aggressione. Secondo la
polizia, l’aggressione è stata compiuta da esponenti dell’Esercito
repubblicano irlandese provvisorio (Provisional Irish Republican Army),
sebbene l’organizzazione non abbia rivendicato l’episodio. Nel tentativo di
ottenere giustizia, la famiglia McCartney e i suoi sostenitori hanno ricevuto
intimidazioni e minacce. A giugno due persone sono state incriminate per
l’aggressione.
*Nel mese di marzo Stephen Nelson è morto a causa delle ferite riportate in
un’aggressione avvenuta nel settembre 2004. La Commissione indipendente di
controllo ha attribuito la sua morte a membri dell’organizzazione paramilitare
lealista Associazione per la difesa dell’Ulster (Ulster Defence Association).
Violenza sulle donne
Un sondaggio d’opinione commissionato dalla sezione britannica di AI sugli
atteggiamenti verso la violenza sessuale contro le donne ha rivelato quanto
siano diffusi nel Regno Unito modi di pensare discriminatori e stereotipati.
In media due donne alla settimana vengono uccise dall’attuale o dall’ex
compagno. Il Regno Unito ha continuato a presentare percentuali di condanna
molto basse per il reato di stupro, poiché soltanto il 5,6% degli stupri
denunciati alla polizia hanno comportato la condanna del responsabile.
Stati
Uniti d'America
Stati Uniti d’America
Capo di Stato e di governo: George W. Bush
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: firmato, tuttavia senza
intenzione di ratifica
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmata
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non
firmato
Migliaia di detenuti hanno continuato a essere trattenuti sotto la custodia
degli Stati Uniti senza accusa né processo in Iraq, Afghanistan e nella base
navale di Guantánamo Bay a Cuba. Sono giunte notizie riguardanti centri di
detenzione segreti gestiti dal governo statunitense situati in località
sconosciute dove i reclusi sarebbero stati arrestati in circostanze simili a
quelle che caratterizzano le “sparizioni”. Decine di detenuti di Guantánamo
hanno intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro il duro
trattamento ricevuto e la mancanza di accesso a tribunali indipendenti;
secondo quanto riportato, alcuni di loro versavano in gravi condizioni di
salute. Sono giunte notizie di decessi durante la detenzione, torture e
maltrattamenti perpetrati dalle forze statunitensi in Iraq, in Afghanistan e a
Guantánamo. Nonostante l'esistenza di prove secondo cui il governo aveva
avallato tecniche di interrogatorio assimilabili a tortura o maltrattamenti e
“sparizioni”, nessun funzionario o militare ai più alti livelli è stato
chiamato a risponderne, anche nel caso di possibili responsabili di crimini di
guerra o crimini contro l’umanità. Sono stati celebrati diversi processi a
carico di soldati di basso rango accusati di abusi, ma nella maggior parte dei
casi le pene comminate sono state miti. Sono stati registrati casi di
brutalità e uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia negli
Stati Uniti. Sessantuno persone hanno perso la vita dopo essere state colpite
da scariche di taser in uso alle forze dell’ordine, segnando un notevole
incremento rispetto agli anni passati. Sessanta persone sono state messe a
morte portando il numero complessivo delle esecuzioni a oltre 1.000 da quando
queste furono ripristinate nel 1977.
Guantánamo Bay
A fine anno, circa 500 prigionieri provenienti da 35 Paesi continuavano a
essere detenuti senza accusa né processo nella base navale statunitense a
Guantánamo Bay, Cuba. La maggioranza dei reclusi erano stati catturati durante
l’intervento militare internazionale in Afghanistan nel 2001 e trattenuti in
quanto sospettati di avere legami con al-Qaeda o il deposto governo talebano.
Almeno due delle persone imprigionate avevano meno di 16 anni al momento della
cattura.
La legislazione approvata a dicembre (legge sul trattamento dei detenuti del
2005) ha revocato il diritto dei detenuti di Guantánamo di presentare istanze
di habeas corpus presso corti federali statunitensi contro la loro detenzione
o trattamento, permettendo soltanto limitati appelli contro le decisioni dei
Tribunali di revisione dello status di combattente (vedi oltre) e delle
commissioni militari. La legislazione ha messo in discussione il futuro di
circa 200 casi in corso in cui i detenuti avevano presentato ricorso contro la
loro detenzione in seguito a una sentenza della Corte Suprema degli Stati
Uniti del 2004 che aveva decretato il loro diritto a presentare tali ricorsi.
A marzo, i Tribunali di revisione dello status di combattente (CSRT),
commissioni amministrative istituite dal governo nel 2004, hanno reso noto che
il 93% dei 554 detenuti esaminati erano da considerarsi a tutti gli effetti
“combattenti nemici”. I detenuti non avevano un rappresentante legale e molti
di loro hanno rinunciato a partecipare alle udienze dei CSRT, che potevano
avvalersi di prove segrete e di testimonianze estorte sotto tortura.
Nel mese di agosto, un imprecisato numero di reclusi ha ripreso lo sciopero
della fame già iniziato a giugno per protestare contro la perdurante mancanza
di accesso a una corte indipendente e contro le dure condizioni di detenzione,
che sarebbero state caratterizzate anche da violenze e pestaggi. Più di 200
detenuti avrebbero partecipato almeno a una fase della protesta, sebbene il
Dipartimento della difesa abbia dichiarato che il loro numero era di gran
lunga inferiore. Diversi detenuti hanno denunciato di essere stati vittime di
aggressioni fisiche e verbali mentre venivano alimentati a forza. Alcuni hanno
riportato lesioni causate dall’inserimento brutale di cannule e tubi nel naso.
Il governo ha negato qualsiasi maltrattamento. A fine anno lo sciopero della
fame era ancora in corso.
A novembre tre esperti in diritti umani delle Nazioni Unite hanno declinato
l’offerta di visitare la base di Guantánamo presentata dal governo degli Stati
Uniti, poiché quest’ultimo aveva posto restrizioni contrastanti con quanto
normalmente stabilito dagli standard internazionali in materia di ispezioni di
questo tipo.
Commissioni militari
A novembre la Corte Suprema degli Stati Uniti si è pronunciata riguardo al
caso di Salim Ahmed Hamdan, accettando di prendere una decisione riguardo alla
legalità delle commissioni militari, istituite con un ordine presidenziale
allo scopo di processare i sospetti terroristi provenienti da altri Paesi.
Tuttavia, altri cinque detenuti di Guantánamo sono stati destinati a essere
processati dalle commissioni, che sono organi esecutivi e non corti imparziali
e indipendenti, portando così a nove il numero dei detenuti designati a essere
giudicati dalle commissioni militari. Il governo ha fissato udienze
preliminari per due degli imputati. Uno di loro è Omar Khadr, il quale aveva
solo 15 anni al momento dell’arresto e le cui condizioni psicologiche e
fisiche, a causa dei presunti maltrattamenti, hanno continuato a essere motivo
di preoccupazione.
Detenzioni in Iraq e
Afghanistan
Nel corso dell’anno migliaia di “internati di sicurezza” sono stati trattenuti
dalle forze statunitensi in Iraq senza accusa né processo. Sono state
approvate normative che prevedono il rilascio dei reclusi o il loro
trasferimento al sistema giudiziario iracheno entro 18 mesi dall’arresto, ma
che consentono alle autorità militari statunitensi il diritto di continuare a
trattenere a tempo indefinito i sospetti qualora vengano riscontrate
“perduranti e imperanti esigenze di sicurezza”. Il Comitato Internazionale
della Croce Rossa (ICRC) ha visitato i detenuti nei campi di internamento e
nelle carceri, ma non quelli custoditi subito dopo la cattura nelle strutture
detentive gestite da divisioni o brigate militari statunitensi.
In Afghanistan, centinaia di detenuti sono rimasti trattenuti nella base aerea
statunitense di Bagram senza accusa né processo e senza poter accedere a
familiari o legali, alcuni da oltre un anno. Sebbene l’ICRC abbia potuto
accedere ai detenuti di Bagram, non è stato invece possibile visitare i
detenuti in un imprecisato numero di basi operative statunitensi. Sono stati
riferiti maltrattamenti in tali strutture, con detenuti che venivano denudati
durante gli interrogatori e altri privati del cibo e del sonno.
Detenzioni in località
sconosciute
Sono pervenute continue notizie riguardanti l’esistenza di una rete di
strutture segrete di detenzione gestite dalla Central Intelligence Agency
(CIA) in vari Paesi. Secondo le denunce, tali strutture tratterrebbero persone
in incommunicado, al di fuori della tutela di legge, in circostanze
assimilabili alla pratica delle “sparizioni”. Tre detenuti yemeniti hanno
raccontato ad AI di essere stati tenuti in isolamento tra 16 e 18 mesi in tre
diverse strutture detentive apparentemente gestite dagli Stati Uniti in
località sconosciute. I loro racconti hanno suggerito che tali detenzioni non
fossero limitate a un ristretto numero di detenuti “di rilievo” come ritenuto
in precedenza. Nel mese di novembre il Consiglio d’Europa ha aperto
un’inchiesta sulla rete di prigioni segrete gestite dagli Stati Uniti,
comprese quelle che si troverebbero nell’Europa Orientale. Le autorità degli
Stati Uniti si sono rifiutate di negare o confermare le accuse.
Si sono moltiplicate le denunce riguardanti il coinvolgimento degli Stati
Uniti nei trasferimenti illegali segreti di detenuti tra differenti Paesi,
pratica che li espone al rischio di subire torture e maltrattamenti.
Tortura e maltrattamenti
al di fuori degli Stati Uniti
Sono emerse nuove prove di torture e maltrattamenti ai danni dei detenuti a
Guantánamo, in Afghanistan e in Iraq, abusi perpetrati sia prima sia dopo lo
scandalo della prigione di Abu Ghraib, venuto alla luce nell’aprile 2004. Sono
state pubblicate nuove informazioni riguardanti le tecniche di interrogatorio
ufficialmente approvate dal governo in diversi periodi della “guerra al
terrore”, tra cui il ricorso ai cani per suscitare paura, l’assumere posizioni
da sforzo, l’esposizione a temperature estremamente calde o fredde, la
privazione del sonno e l’isolamento.
I vertici della catena di comando hanno continuato a non essere chiamati a
rispondere degli abusi. Nel rapporto finale redatto dall’Ispettore generale
della Marina, viceammiraglio Church, sulle procedure di interrogatorio
adottate dal Dipartimento della difesa in tutto il mondo, il cui sunto è stato
reso noto a marzo, non è stato riscontrato «alcun legame tra le tecniche di
interrogatorio approvate e gli abusi ai danni dei detenuti». L’inchiesta
Church è stata stilata senza che un solo detenuto o ex recluso fosse sentito e
senza interpellare in materia il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld.
Nessuna inchiesta è stata aperta sull’operato della CIA, le cui attività hanno
continuato a essere avvolte nella segretezza.
Nel mese di marzo, l’esercito degli Stati Uniti ha reso noto che 27 decessi in
custodia, avvenuti durante operazioni di sicurezza, catture o nel corso della
detenzione, erano stati catalogati come omicidi, confermati o sospetti. Alcuni
di questi casi erano ancora sotto inchiesta, mentre altri sono stati
trasferiti ad altri organi governativi o predisposti per il rinvio a giudizio.
Secondo altre fonti, come i verbali delle indagini, le trascrizioni dei
procedimenti giudiziari e i referti delle autopsie hanno fatto emergere con
forza come alcuni dei detenuti fossero deceduti in seguito alle torture subite
durante gli interrogatori. Sono state riscontrate prove di come ritardi e
lacune nelle indagini abbiano ostacolato il perseguimento dei responsabili
degli abusi.
A marzo, l’Unione americana per le libertà civili (ACLU) e l’associazione
Human Rights First hanno presentato una causa in sede federale per conto di
otto uomini che erano stati torturati e maltrattati all’interno di strutture
di detenzioni statunitensi in Iraq e Afghanistan. La richiesta di
procedimento, ancora in corso a fine anno, chiamava in causa direttamente il
segretario Rumsfeld per violazione delle leggi statunitensi e internazionali e
richiedeva anche il risarcimento dei danni subiti dalle vittime.
Nel corso dell’anno, sono stati celebrati diversi processi nei confronti di
militari statunitensi accusati di abusi sui prigionieri, nella maggioranza dei
casi gli imputati erano soldati di grado inferiore. Molti hanno ricevuto
condanne che non rispecchiavano la gravità dei reati.
A marzo, il governo ha revocato un documento del Gruppo di lavoro del
Pentagono sugli interrogatori dei detenuti del 2003, nel quale si affermava,
tra le altre cose, che il presidente aveva l’autorità di ignorare i divieti
internazionali contro la tortura nel corso di operazioni militari. A novembre
il Pentagono ha approvato una nuova direttiva sugli interrogatori che avrebbe
consentito alle forze armate di pubblicare una lungamente attesa revisione del
manuale operativo. La direttiva stabilisce che «gli atti di tortura fisica o
mentale sono proibiti», ma richiede solo genericamente che i detenuti siano
trattati umanamente «in conformità con le leggi e le politiche applicabili». A
dicembre l’Esercito ha annunciato che avrebbe stilato un nuovo elenco
classificato delle tecniche di interrogatorio ammesse che sarebbe stato
allegato al nuovo Manuale operativo dell’Esercito. Nonostante nel manuale
siano espressamente vietati durante li interrogatori il ricorso a cani, la
privazione del sonno, il denudamento, la costrizione a posizioni da stress per
lunghi periodi, permane il timore che nell’elenco classificato siano ancora
incluse tecniche equiparabili ad abusi.
A dicembre il Congresso ha approvato una legge che proibisce ogni forma di
trattamento crudele, inumano o degradante nei confronti di persone in custodia
o sotto il controllo del governo degli Stati Uniti in ogni parte del mondo.
Tuttavia, il presidente Bush, nel controfirmare la legge, ha allegato una nota
che di fatto conferisce all’esecutivo il diritto di ignorare quanto stabilito
dalla legge stessa per motivi di sicurezza nazionale.
*Ad agosto e settembre sono stati celebrati i processi davanti a una corte
marziale a carico di soldati statunitensi accusati degli abusi nei confronti
di due detenuti afghani, Dilawar e Habibullah, che morirono in seguito alle
ferite multiple riportate mentre venivano interrogati in celle d’isolamento
nella base aerea di Bagram nel dicembre 2002. Alla data di dicembre, sette
militari di grado inferiore erano stati condannati a pene variabili dai cinque
mesi di carcere alla degradazione, la perdita della paga e il rimprovero.
Nessuno di loro è stato ritenuto responsabile di reati gravi come tortura o
altri crimini di guerra.
Detenzione di
“combattenti nemici” negli Stati Uniti
*Nel mese di novembre Jose Padilla, un cittadino statunitense detenuto in una
prigione militare da oltre tre anni senza accusa, è stato formalmente
incriminato da un tribunale federale assieme ad altre quattro persone di
cospirazione finalizzata all’omicidio di cittadini statunitensi all’estero e
di sostegno al terrorismo. I reati contestati non includevano il tentativo di
far esplodere una “bomba nucleare sporca” in una città degli Stati Uniti,
accusa per la quale era stato originariamente arrestato. Il Dipartimento di
giustizia ha chiesto alla Corte d’appello federale l’autorizzazione di
trasferire Padilla in una prigione federale, ma la Corte si è espressa in modo
contrario e ha emesso un’ordinanza con cui richiedeva al governo e alla difesa
di presentare i propri pareri sull’eventuale annullamento di una precedente
sentenza della stessa corte che garantiva la facoltà al presidente degli Stati
Uniti di detenere indefinitamente Padilla in quanto “combattente nemico”. A
fine anno la questione non era ancora stata risolta.
*Ali Saleh Kahlah al-Marri, cittadino del Qatar ha continuato a rimanere in un
carcere militare senza accusa né processo perché ritenuto un “combattente
nemico”. Ad agosto era stata presentata un’istanza a suo favore in cui si
lamentavano i suoi gravi problemi psicofisici causati dal trattamento subito
che comprendeva la privazione del sonno e degli stimoli sensoriali,
l’incatenamento punitivo, l’esposizione al freddo e l’assistere al vilipendio
del Corano.
Prigionieri di coscienza
*A luglio, Kevin Benderman, un sergente dell’esercito degli Stati Uniti, è
stato condannato a 15 mesi di reclusione per essersi rifiutato di ritornare in
Iraq a causa della sua obiezione di coscienza maturata durante un primo
periodo di servizio nel Paese. La sua richiesta di riconoscimento dello status
di obiettore di coscienza era stata rifiutata in quanto la sua obiezione non
riguardava la guerra in generale, ma una in particolare.
*Camilo Mejia Castillo, Abdullah Webster e Pablo Paredes, tre ex militari
imprigionati per obiezione di coscienza al servizio in Iraq, sono stati
rilasciati nel corso dell’anno.
Processo a carico di
Ahmed Omar Abu Ali
Nel mese di novembre, Ahmed Omar Abu Ali, un cittadino statunitense, è stato
riconosciuto colpevole di cospirazione finalizzata a compiere atti di
terrorismo. La correttezza del processo è stata inficiata dal fatto che la
giuria si era rifiutata di esaminare prove a sostegno delle denunce presentate
da Ahmed Abu Ali secondo cui la sua confessione filmata, la principale prova a
carico presentata dall’accusa, era stata estorta sotto tortura in Arabia
Saudita. Secondo quanto affermato dallo stesso Ahmed Abu Ali, membri dei
servizi segreti del ministero degli Interni saudita (al-Mabahith al-Amma) lo
avevano frustato e minacciato di morte mentre era trattenuto in incommunicado
in Arabia Saudita nel 2003. Nel corso del procedimento, l’accusa si è avvalsa
di dichiarazioni riguardanti il trattamento dei detenuti rilasciate da
funzionari sauditi allo scopo di confutare le denunce di Ahmed Abu Ali, mentre
gli avvocati difensori non hanno potuto presentare alcuna documentazione sul
rispetto dei diritti umani e sul ricorso alla tortura in Arabia Saudita.
Maltrattamenti e uso
eccessivo della forza
Sono pervenute continue segnalazioni di maltrattamenti e decessi in custodia
legati all’utilizzo di taser, dispositivi che impartiscono scosse elettriche
in dotazione a oltre 7.000 tra dipartimenti di polizia e istituti di
detenzione.
Sessantuno persone sono morte dopo essere state colpite con taser dalla
polizia, portando a 142 il numero totale di decessi di questo tipo dal 2001. I
medici legali hanno riscontrato che i taser avrebbero direttamente portato o
avrebbero contribuito alla morte di almeno 10 persone nel corso dell’anno,
facendo così accrescere i timori riguardo alla sicurezza di tali armi.
Secondo quanto riferito, la maggior parte delle vittime erano disarmate e non
sembravano porre serie minacce nel momento in cui sono state colpite dalla
scossa del taser. In molti casi le scosse impartite sono state multiple o
prolungate, atti potenzialmente nocivi come sottolineato anche da uno studio
preliminare diffuso nel mese di aprile dal Dipartimento della difesa.
Diversi dipartimenti di polizia hanno sospeso l’uso di taser e altri ne hanno
limitato le possibilità di utilizzo. Tuttavia la maggioranza dei reparti delle
forze dell’ordine continuano a ricorrere ai taser in un’ampia varietà di
circostanze, come ad esempio quando una persona disarmata oppone resistenza
all’arresto o si rifiuta di obbedire agli ordini degli agenti. Anche persone
con problemi mentali o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, minorenni e
anziani sono stati colpiti dalle scosse elettriche di taser.
AI ha rinnovato la richiesta alle autorità degli Stati Uniti di sospendere
l’utilizzo e la vendita di taser e di altre armi a scossa elettrica in attesa
che venga condotta un’inchiesta indipendente sul loro utilizzo e sui loro
effetti.
*A febbraio, in Florida, la polizia ha colpito con un taser una ragazza
tredicenne che era venuta alle mani con la propria madre. La ragazzina era
ammanettata sui sedili posteriori dell’auto degli agenti quando è stata
colpita dalla scarica elettrica.
*Sempre a febbraio, un ragazzo disabile mentale di 14 anni ha avuto un arresto
cardiaco dopo essere stato colpito da un taser a Chicago, in Illinois. Il
ragazzo era seduto su un divano in una casa di cura e, secondo i poliziotti,
avrebbe tentato di alzarsi in piedi «con un atteggiamento aggressivo». I
medici che lo hanno soccorso, hanno affermato che le scosse avevano causato
una grave alterazione del ritmo cardiaco che avrebbe condotto il ragazzo alla
morte se non fosse stato rianimato immediatamente sul posto.
*Il diciassettenne Kevin Omar è entrato in coma dopo essere stato colpito per
tre volte con un taser dalla polizia di Waco, in Texas. Il giovane è deceduto
due giorni dopo. Gli agenti erano intervenuti poiché il ragazzo, sotto
l’effetto di droghe, si stava comportando in maniera bizzarra. Il medico
legale ha affermato di ritenere che il taser avesse contribuito al decesso
della vittima.
Abusi ai danni di
lesbiche, gay, bisessuali e transgender
Nel mese di settembre la sezione statunitense di AI ha pubblicato un rapporto
intitolato Stonewalled: police abuse and misconduct against lesbian, gay,
bisexual and transgender people in the United States. Il documento sottolinea
come, nonostante vi sia un completo riconoscimento dei diritti di lesbiche,
gay, bisessuali e transgender (LGBT), molti di loro sono vittime di
trattamenti discriminatori e aggressioni fisiche e verbali da parte della
polizia. All’interno della comunità LGBT, transgender, persone di colore,
giovani, immigrati, senzatetto e lavoratori del mercato del sesso sono tra le
persone maggiormente esposte al rischio di abusi. Il rapporto mette in luce
anche il fatto che spesso gli agenti non intervengono adeguatamente nei casi
di reati motivati dall’odio o di violenza domestica ai danni di lesbiche, gay,
bisessuali e transgender.
Pena di morte
Nel corso dell’anno, sono state messe a morte 60 persone, portando il numero
complessivo delle esecuzioni a 1.005 da quando queste furono ripristinate nel
1977, al termine di un periodo di moratoria. Due reclusi sono stati rilasciati
dal braccio della morte dopo essere stati riconosciuti innocenti. Dal 1973,
sono stati 122 gli innocenti liberati dal braccio della morte.
Il 1° marzo, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha vietato le esecuzioni dei
condannati che avevano meno di 18 anni al momento del reato, portando gli
Stati Uniti in linea con gli standard internazionali in materia. Dal 1977
erano stati messi a morte 22 minorenni al momento del reato.
Sono continuate le esecuzioni di persone affette da malattie e disturbi
mentali, di prigionieri a cui era stata negata un’adeguata rappresentanza
legale e di persone nei cui casi era stata contestata la regolarità delle
prove a carico.
*Troy Kunkle è stato messo a morte il 25 gennaio in Texas, nonostante
soffrisse di gravi disturbi mentali, compresa la schizofrenia, i cui relativi
referti non erano stati presentati alla giuria che aveva emesso la sentenza di
morte. Kunkle aveva da poco compiuto 18 anni all’epoca del reato e
nell’infanzia aveva sofferto di abusi e privazioni.
*Frances Newton è stata messa a morte in Texas il 14 settembre nonostante
persistessero diversi dubbi sulla fondatezza della sua condanna. La donna era
stata riconosciuta colpevole sulla base di prove indiziarie e si era sempre
proclamata innocente.
L’uragano Katrina
Nel mese di agosto, l’uragano Katrina ha devastato la Louisiana uccidendo più
di 1.000 persone e lasciandone altre centinaia di migliaia senza casa,
accampate in luoghi di fortuna senza cibo, acqua pulita e cure mediche. Il
disastro umanitario ha suscitato ira nell’opinione pubblica per l’operato del
governo federale, accusato di aver risposto all’emergenza in modo lento.
Secondo le denunce, decine di detenuti della prigione municipale di New
Orleans sono stati abbandonati dalle guardie dopo l’uragano. Secondo quanto
riportato, i prigionieri sono rimasti rinchiusi nelle celle per giorni senza
cibo né acqua, mentre il livello dell’inondazione stava crescendo. Secondo
alcune notizie, negate dalle autorità della Louisiana, alcuni reclusi
sarebbero affogati. AI ha sollecitato l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto
e sulle denunce riguardanti possibili maltrattamenti avvenuti nel corso
dell’evacuazione dei detenuti, richiedendo alle autorità di rendere conto di
ogni prigioniero.
Altre preoccupazioni
Nel mese di ottobre AI e Human Rights Watch hanno pubblicato uno studio
congiunto intitolato The Rest of Their Lives: Life without Parole for Child
Offenders in the United States nel quale viene messo in luce come negli Stati
Uniti almeno 2.225 minorenni al momento del reato stiano scontando condanne
all’ergastolo senza possibilità di essere scarcerati sulla parola. Condanne di
questo tipo riguardanti minorenni sono vietate dalla Convenzione sui diritti
dell’infanzia, firmata, ma non ratificata dagli Stati Uniti. Nei casi
esaminati nel rapporto, il 16% degli imputati aveva un’età compresa tra 13 e
15 anni al momento del reato e per il 59% si trattava della prima condanna.
Molti sono stati condannati per aver preso parte a un crimine conclusosi con
un omicidio, ma in assenza di prove dirette del loro coinvolgimento nello
stesso. Il rapporto ha sollecitato le autorità statunitensi a impedire le
sentenze a vita senza libertà sulla parola per i minorenni e a consentire ai
minorenni che stanno scontando pene di questo genere l’accesso immediato alle
procedure legali per ottenere il rilascio sulla parola.
Nel mese di luglio Daniel Strauss e Shanti Sellz, due volontari
dell’associazione No More Deaths, sono stati fermati da una pattuglia della
guardia di confine mentre stavano prestando aiuto nel deserto dell’Arizona a
tre migranti messicani che necessitavano di cure mediche urgenti. Gli
attivisti sono stati accusati di reati collegati all’immigrazione clandestina
passibili fino a 15 ani di carcere. Ogni anno centinaia di migranti irregolari
o privi di documenti perdono la vita nel deserto cercando di attraversare il
confine tra Messico e Stati Uniti, soprattutto a causa delle elevate
temperature che in Arizona arrivano ai massimi livelli proprio nel mese di
luglio. AI ha chiesto che le accuse fossero archiviate in quanto i volontari
non stavano aiutando gli immigrati a eludere i controlli, ma cercavano
unicamente di salvare loro la vita.
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