11 giugno 2006

Rapporto Amnesty

International 2006

 

 

Cuba, Colombia, Guatemala, Iraq, Italia, Regno Unito, Stati Uniti

 

 

 

 

 

 

Cuba

Repubblica di Cuba

Capo di Stato e di governo: Fidel Castro Ruz
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con delle riserve
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmato

Hanno continuato a destare preoccupazione le restrizioni alle libertà di espressione, di associazione e di movimento. Una settantina di prigionieri di coscienza rimanevano in prigione. L’embargo degli Stati Uniti ha continuato a gravare sulla situazione dei diritti umani. La situazione economica si è deteriorata e il governo ha tentato di sopprimere le forme di iniziativa privata. Almeno 30 prigionieri rimanevano nel braccio della morte; non vi sono state esecuzioni.

Contesto

La mancanza di miglioramenti nella situazione dei diritti civili e politici a Cuba ha destato preoccupazione nella comunità internazionale. Ad aprile la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani, a seguito di un processo molto politicizzato, ha nuovamente condannato la situazione dei diritti umani a Cuba.

Il governo ha continuato a tenere sotto stretto controllo le voci critiche, arrestando molti dissidenti e difensori dei diritti umani. Malgrado ciò, a maggio, l’Assemblea per la promozione della società civile, una coalizione di oltre 350 organizzazioni non governative (ONG) indipendenti, ha organizzato un incontro pubblico senza precedenti nella storia della dissidenza cubana.

Le autorità hanno lanciato un energica campagna per combattere l’economia sommersa e la dilagante corruzione nel settore pubblico.

Prigionieri di coscienza

Sono continuati gli arresti di prigionieri di coscienza che esprimevano pacificamente le proprie opinioni. Alcuni sono stati rilasciati per motivi di salute.

*René Gómez Manzano e Julio César López Rodríguez sono stati arrestati nella capitale L’Avana dopo aver partecipato il 22 luglio, assieme a diverse altre persone, a una manifestazione pacifica anti-governativa. René Gómez Manzano, membro dell’Assemblea per la promozione della società civile, assieme ad altri otto a fine anno si trovava ancora in carcere in attesa di processo.

*Il 13 luglio, a L’Avana, una ventina di persone sono state arrestate mentre partecipavano a una commemorazione pacifica dell’affondamento del battello 13 de Marzo, in cui 35 persone avevano perso la vita mentre tentavano di lasciare Cuba nel 1994. Il battello sarebbe affondato dopo essere stato speronato dalla marina cubana. Sei sono rimasti in detenzione senza accusa e uno è stato condannato a un anno di reclusione per «peligrosidad predelictiva», definita come «particolare inclinazione di una persona a commettere reati dimostrata da una condotta manifestamente contraria alle norme della morale socialista».

*Il prigioniero di coscienza Mario Enrique Mayo Hernández, condannato a 20 anni di carcere nel 2003, è stato rilasciato con la condizionale per motivi di salute il 1° dicembre.

Restrizioni alle libertà di espressione, associazione e movimento

Attivisti per i diritti umani, sindacalisti e dissidenti politici sono stati oggetto di vessazioni e intimidazioni. Spesso gli attacchi nei loro confronti sono stati perpetrati da gruppi semiufficiali, le brigate di risposta rapida che, secondo quanto denunciato, avrebbero agito in collusione con membri delle forze di sicurezza.

Le libertà di espressione e di associazione hanno continuato a essere a repentaglio. Tutti i media legalmente riconosciuti sono controllati dallo Stato e l’informazione indipendente è vietata. I giornalisti indipendenti hanno dovuto fronteggiare intimidazioni, vessazioni e arresti per articoli pubblicati al di fuori del Paese. Anche difensori dei diritti umani sono stati oggetto di intimidazioni e arresti arbitrari politicamente motivati.

Le leggi sulla diffamazione, la protezione della sicurezza nazionale e la turbativa dell’ordine pubblico, che vengono adoperate nei confronti dei giornalisti, non sono conformi agli standard internazionali. Secondo l’ONG internazionale Reporters sans Frontières a fine anno si trovavano in carcere 24 giornalisti.

*Oscar Mario González Pérez, un giornalista indipendente, è stato arrestato il 22 luglio mentre stava effettuando la cronaca di una manifestazione. È rimasto in carcere senza accusa.

Sono continuate le restrizioni nei confronti dei dissidenti che tentavano di viaggiare all’estero.

*Miguel Sigler Amaya, membro del gruppo non ufficiale Movimento d’opzione alternativa (Movimiento Indipendiente Opción Alternativa), è stato arrestato all’aeroporto internazionale de L’Avana mentre stava per salire con la propria famiglia su un aereo diretto negli Stati Uniti, nonostante fossero in possesso di un visto d’espatrio come rifugiati politici. Amaya e la sua famiglia sono stati rilasciati parecchi giorni dopo, e sono riusciti infine a lasciare il Paese il 5 ottobre. I fratelli di Miguel Sigler Amaya, Guido e Ariel, entrambi prigionieri di coscienza, stanno scontando condanne rispettivamente a 20 e 25 anni.

*A dicembre, alle Donne in Bianco (Las Damas de Blanco), un gruppo di madri, mogli e sorelle di prigionieri politici che dal marzo 2003 ogni domenica marcia per chiedere la liberazione dei propri familiari, è stato negato il permesso ufficiale di recarsi a Strasburgo, in Francia, dove avrebbero dovuto ricevere il premio Sakharov per la libertà di pensiero assegnato loro dal Parlamento Europeo.

 

Colombia

Repubblica di Colombia

Capo di Stato e di governo: Álvaro Uribe Vélez
Pena di morte: abolizionista per tutti i reati
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: ratificato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmato

Sebbene il numero delle uccisioni e dei rapimenti in alcune zone del paese sia diminuito, gravi abusi dei diritti umani commessi da tutte le parti in conflitto hanno continuato a raggiungere livelli critici. Hanno destato particolare preoccupazione le denunce di esecuzioni extragiudiziali perpetrate dalle forze di sicurezza, le uccisione di civili da parte di gruppi di opposizione armata e paramilitari, e lo sfollamento forzato di comunità di civili. I paramilitari, che si ritiene siano stati smobilitati in base alle condizioni della controversa legge ratificata a luglio, hanno continuato a compiere violazioni dei diritti umani, mentre i gruppi di opposizione armata hanno continuato a commettere gravi e diffuse violazioni del diritto internazionale umanitario.

Presunti responsabili di crimini di guerra e crimini contro l'umanità non sono stati assicurati alla giustizia.

Contesto

Il presidente Álvaro Uribe Vélez ha ratificato la legge giustizia e pace il 22 luglio. La legge, che fornisce un quadro legale alla smobilitazione dei paramilitari e dei gruppi di opposizione armata, non rispetta gli standard internazionali sul diritto delle vittime alla verità, alla giustizia e alla riparazione e minaccia di esacerbare il problema endemico dell’impunità in Colombia. Alla fine dell’anno i negoziati tra il governo e le organizzazioni paramilitari raggruppate nelle Forze unite di autodifesa della Colombia (Autodefensas unidas de Colombia - AUC) hanno condotto alla riferita “smobilitazione” di oltre la metà degli stimati 20.000 paramilitari collegati alle AUC. Tuttavia, i paramilitari, in zone dove si suppone siano stati smobilitati, hanno continuato a compiere violazioni, e le prove di legami tra i paramilitari e le forze di sicurezza hanno continuato a essere forti. Si è inoltre temuto che le politiche governative, progettate per reintegrare i membri dei gruppi armati illegali nella vita civile, rischiassero invece di riciclarli nel conflitto.

I tentativi per negoziare uno scambio di prigionieri con il principale gruppo di opposizione armata, Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia - FARC) non hanno raggiunto risultati concreti. Tuttavia, “i negoziati sui colloqui” con il minore Esercito di liberazione nazionale (Ejercito de liberacion nacional - ELN) sono ripresi a dicembre. Le FARC e l’ELN si sono resi responsabili di gravi e diffuse violazioni del diritto internazionale umanitario, specialmente rapimenti, presa di ostaggi e uccisione di civili.

Il 1° aprile la Colombia ha ratificato la Convenzione interamericana sulla sparizione forzata di persone.

Legge giustizia e pace: smobilitazione dei paramilitari

La legge giustizia e pace concede significative riduzioni di pena ai membri di gruppi armati illegali sotto indagine per abusi dei diritti umani che acconsentano alla smobilitazione. Sebbene si ritenga che la maggior parte dei beneficiari possano essere paramilitari, a fine anno la legge risultava essere stata solamente applicata a circa 30 prigionieri ritenuti appartenenti alle FARC. A causa del problema dell’impunità, pochi membri di gruppi armati illegali risultavano essere sotto indagine per violazioni dei diritti umani. La maggior parte dei paramilitari smobilitati hanno beneficiato in questo modo delle amnistie de facto concesse dal decreto 128 promulgato nel 2003.

In base alla legge giustizia e pace gli inquirenti dispongono soltanto di stretti termini di scadenza entro cui indagare su ciascun caso, con piccoli incentivi ai potenziali beneficiari in caso di collaborazione con gli investigatori. La partecipazione delle vittime nei procedimenti legali è limitata, e non è prevista la denuncia di una terza parte, come le forze di sicurezza, che hanno svolto un ruolo cruciale nel coordinare le violazioni dei diritti umani perpetrate dai paramilitari.

La legge è stata criticata dall’Ufficio in Colombia dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite sui diritti umani, dalla Commissione interamericana dei diritti umani e dalla Corte interamericana dei diritti umani dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA).

Entro la fine dell’anno era prevista la smobilitazione di tutti i paramilitari. Tuttavia, il processo ha conosciuto una fase di stallo a ottobre, dopo che il governo ha trasferito in carcere il leader paramilitare Diego Fernando Murillo Bejarano, alias “Don Berna”, per il suo presunto coinvolgimento nell’uccisione del deputato Orlando Benítez, nel contesto di voci circa la sua possibile estradizione negli Stati Uniti per l’accusa di traffico di droga. Il processo di smobilitazione è ripreso a dicembre dopo un accordo raggiunto il mese precedente tra il governo e le AUC che ha prorogato i termini della smobilitazione.

Più di 2.750 tra uccisioni e “sparizioni” sono state attribuite ai paramilitari tra l’annuncio del cessate il fuoco delle AUC nel 2002 e la fine dell’anno. A causa del mandato limitato, la Missione di sostegno al processo di pace in Colombia, istituita dall’OSA nel 2004 per verificare il cessate il fuoco, non ha potuto né intraprendere azioni contro i paramilitari che non avevano rispettato il cessate il fuoco né esprimersi sulle politiche governative.

Il governo ha incoraggiato i paramilitari smobilitati a lavorare nelle attività collegate all’intelligence, come la rete di informatori civili, come ausiliari nelle operazioni delle forze di sicurezza, come “polizia civica”, e come guardie di sicurezza private. Ciò ha accresciuto i timori che i meccanismi che avevano condotto alla creazione dei gruppi paramilitari avrebbero potuto ripetersi, facendo dubitare dell’impegno del governo nel volere reintegrare completamente i combattenti nella vita civile.

Sono pervenute denunce relative al reclutamento da parte di gruppi paramilitari di nuovi membri dopo la presunta smobilitazione. Il 25 agosto la Commissione interamericana dei diritti umani ha scritto al governo chiedendo chiarimenti sulle denunce di reclutamento di minorenni a Medellín da parte dei paramilitari, nonostante la loro presunta smobilitazione del 2003.

Vi sono state numerose denunce di violazioni dei diritti umani commesse dai paramilitari in zone dove si riteneva fossero stati smobilitati, anche a Medellín, e prove di collusione tra paramilitari e forze di sicurezza.

*Secondo quanto riferito, il 29 gennaio i paramilitari hanno ucciso sette contadini a El Vergel, municipalità di San Carlos, dipartimento di Antioquia. Secondo le denunce, dal 26 al 31 gennaio membri delle forze armate erano in pattuglia a El Vergel. Poco prima delle uccisioni, l’esercito stava cercando una delle vittime, da loro ritenuto sovversivo.

*Secondo le denunce, il 9 luglio i paramilitari hanno ucciso sei civili a Buenaventura, dipartimento di Valle del Cauca. Secondo quanto riferito, la polizia, che stava pattugliando l’area, si era ritirata alcune ore prima delle uccisioni. Il gruppo paramilitare Bloque Calima (Blocco Calima), che operava a Buenaventura, era ritenuto smobilitato dal dicembre 2004.

Impunità

L’impunità per abusi dei diritti umani ha continuato a essere la norma. Personale militare d’alto rango e leader paramilitari e guerriglieri hanno continuato a sfuggire alla giustizia.

Soltanto in pochissimi casi è stata intrapresa una qualche azione. A luglio, un tenente dell’esercito, tre soldati e un civile sono stati incriminati per l’uccisione di tre sindacalisti avvenuta nell’agosto 2004 nel dipartimento di Arauca, mentre la Procura generale ha disposto l’arresto di sei soldati per l’uccisione di cinque civili, incluso un bambino, avvenuta nell’aprile 2004 nella municipalità di Cajamarca, dipartimento di Tolima. Tuttavia, le indagini penali sul possibile coinvolgimento di altri ufficiali d’alto rango in queste uccisioni non sono avanzate.

A gennaio la Corte Suprema ha chiuso il caso contro l’ex contrammiraglio Rodrigo Quiñónez circa il suo ruolo nel massacro di Chengue del 2001, in cui almeno 26 persone furono uccise dai paramilitari che operavano in collusione con le forze armate. La Procura generale ha criticato la decisione, esortando l’Ufficio del Procuratore generale a premere sulle indagini penali relative al massacro.

Il 15 settembre, la Corte interamericana dei diritti umani ha condannato lo Stato della Colombia a risarcire le famiglie di 49 contadini uccisi dai paramilitari nel 1997 a Mapiripán, dipartimento di Meta. Il leader paramilitare Salvatore Mancuso, ufficialmente smobilitato, e diversi ufficiali dell’esercito, compreso il generale in pensione Jaime Humberto Uscátegui, sono stati implicati nelle uccisioni.

Il sistema di giustizia militare ha continuato a rivendicare la giurisdizione sui casi di possibili violazioni dei diritti umani commesse dai membri delle forze di sicurezza, nonostante la decisione della Corte costituzionale del 1997 che assegnava le indagini su tali casi al sistema di giustizia civile.

*Ad aprile, il sistema di giustizia militare ha assolto 12 soldati dell’esercito dalla responsabilità nell’uccisione di sette agenti di polizia e quattro civili avvenuta nel marzo 2004 nella municipalità di Guaitarilla, dipartimento di Nariño.

Uccisioni a opera delle forze di sicurezza

Sono pervenute ripetute denunce di esecuzioni extragiudiziali perpetrate dalle forze di sicurezza, con cifre che raggiungerebbero almeno un centinaio di casi. Tali uccisioni sono spesso indebitamente descritte come “guerriglieri uccisi in combattimento”. Sebbene il sistema di giustizia militare abbia rivendicato la giurisdizione sulla maggior parte di questi casi, archiviandone in seguito molti di essi, in qualche caso il sistema di giustizia civile è stato in grado di intervenire.

*A luglio la Procura generale ha disposto l’arresto di otto soldati per l’uccisione di Reinel Antonio Escobar Guzmán e dei fratelli Juvenal e Mario Guzmán Sepúlveda avvenuta l’8 maggio nella municipalità di Dabeiba, dipartimento di Antioquia. L’esercito ha dichiarato che si sarebbe trattato di tre guerriglieri delle FARC uccisi in combattimento.

Secondo quanto riferito, civili sono stati uccisi dall’unità antisommossa della polizia (Escuadrón móvil antidisturbios - ESMAD) nel corso di proteste. Gli agenti dell’ESMAD non portavano alcun contrassegno d’identificazione personale.

*Secondo le denunce, il 1° maggio, almeno otto agenti dell’ESMAD hanno picchiato David Nicolás Neira, di 15 anni, durante la marcia del 1° Maggio a Bogotá. Una settimana dopo è deceduto causa delle ferite riportate.

*Il 22 settembre Jhony Silva Aranguren è morto e diversi altri studenti sono rimasti feriti dopo che agenti dell’ESMAD avrebbero sparato durante una protesta all’università di Cali.

Abusi a opera di gruppi di opposizione armata

Il 12 settembre il leader del’ELN, Gerardo Bermúdez, alias Francisco Galán, è stato rilasciato dal carcere per un periodo di tempo limitato, per facilitare la ripresa del processo di pace. Come conseguenza, a Cuba dal 16 al 22 dicembre si sono tenuti colloqui preliminari tra il governo e rappresentanti dell’ELN.

Le FARC e l’ELN hanno continuato a commettere gravi e ripetute violazioni del diritto internazionale umanitario, tra cui la presa di ostaggi e l’uccisione di civili.

*Il 15 agosto l’ELN ha ucciso due preti e altri due civili sulla superstrada Teorema-Convención nel dipartimento Norte de Santander.

*Secondo le denunce, il 23 agosto, le FARC hanno ucciso 14 contadini a Palomas, municipalità di Valdivia, dipartimento di Antioquia.

Le FARC hanno inoltre condotto attacchi sproporzionati e indiscriminati che hanno provocato la morte di numerosi civili.

*Il 20 febbraio tre civili e tre soldati sono morti, e 13 civili e 11 soldati sono rimasti feriti, in seguito all’esplosione di una bomba in un hotel a Puerto Toledo, dipartimento di Meta.

*Il 3 ottobre una bomba ha ucciso tre membri di una comunità indigena, compresi due bambini, nella municipalità di Florida, dipartimento Valle del Cauca.

Violenza sulle donne

Donne e ragazze hanno continuato a essere vittime di uccisioni, torture e sequestri da entrambe le parti in conflitto.

*Il 24 maggio una donna e suo marito sono stati arrestati dall’esercito nella municipalità di Saravena, dipartimento di Arauca. Secondo quanto riferito, la donna è stata consegnata a un paramilitare che l’ha stuprata.

*Secondo quanto denunciato, il 9 agosto una donna indigena è stata stuprata da un soldato a Coconuco, dipartimento del Cauca.

*Il corpo di Angela Diosa Correa Borja è stato ritrovato il 15 settembre a San José de Apartadó, dipartimento di Antioquia. Secondo le denunce, la donna sarebbe stata uccisa dalle FARC dopo essere stata accusata di aver collaborato con la polizia.

Rapimenti

A novembre il governo ha annunciato un piano per istituire una «commissione internazionale» allo scopo di favorire i negoziati per il rilascio degli ostaggi trattenuti dalle FARC. Tuttavia, ripetute speculazioni circa un possibile scambio di prigionieri a fine anno non avevano portato ad alcun risultato. Le FARC e l’ELN hanno continuato a trattenere numerosi ostaggi, compresi politici di alto livello come l’ex candidata presidenziale Ingrid Betancourt, sequestrata dalle FARC nel 2002. Nel corso dell’anno vi sono stati più di 751 rapimenti, contro i 1.402 del 2004, di cui 273 risulterebbero commessi da gruppi di opposizione armata e 49 da paramilitari. In 208 casi non è stato possibile risalire alle responsabilità.

*Secondo le denunce, il 23 gennaio l’ELN ha sequestrato il leader di comunità Héctor Bastidas nella municipalità di Samaniego, dipartimento di Nariño. A fine anno non era stato ancora rilasciato.

*Il 31 marzo le FARC hanno sequestrato cinque attivisti dei diritti umani che lavoravano con le comunità afroamericane di Jiguamiandó e Curvaradó nel dipartimento di Chocó. Sono stati rilasciati l’8 aprile.

*Il 30 agosto paramilitari hanno rapito almeno 11 bambini e 13 adulti nella municipalità di El Carmen, dipartimento Norte de Santander, durante un attacco in cui sono rimaste uccise tre persone e secondo le denunce una donna sarebbe stata oggetto di abusi sessuali. I 24 sono stati successivamente rilasciati. Le unità paramilitari operative in questa zona risultavano essere state smobilitate alla fine del 2004.

Attacchi a civili

I civili hanno continuato a sostenere il peso del conflitto, con sindacalisti, difensori dei diritti umani e attivisti di comunità, come pure indigeni, comunità afroamericane e sfollati, e coloro che abitavano in zone di aspro conflitto, particolarmente esposti a gravi rischi. Almeno 70 sindacalisti e sette difensori dei diritti umani sono stati uccisi nel corso dell'anno, mentre sono stati almeno 1.050 i civili uccisi o "scomparsi" in situazioni non conflittuali nei primi sei mesi dell'anno.

Più di 310.000 civili sono stati sfollati durante l’anno, paragonati ai 287.000 del 2004. Blocchi economici imposti dai combattenti e scontri tra le parti in conflitto hanno creato gravi crisi umanitarie in diverse parti del Paese.

*Circa 1.300 membri della comunità indigena awa sono stati costretti a lasciare le loro case a giugno a causa degli scontri tra l’esercito e le FARC nel dipartimento di Nariño.

La Comunità di Pace di San José de Apartadó, dipartimento di Antioquia, che si batte per affermare il diritto dei civili a non essere trascinati nel conflitto, è stata nuovamente attaccata. Dal 1997 più di 150 suoi appartenenti sono “scomparsi” o sono stati uccisi, la maggior parte a opera dei paramilitari e delle forze di sicurezza, ma anche delle FARC. Il 21 febbraio otto membri della comunità, compreso il leader della stessa, Luis Eduardo Guerra, sono stati uccisi da uomini che alcuni testimoni hanno riconosciuto quali membri dell’esercito. La comunità è stata sovente etichettata come sovversiva dall’esercito e dai paramilitari, e accusata dalle FARC di parteggiare per i suoi nemici. Il 20 marzo il presidente Uribe ha pubblicamente accusato alcuni leader della comunità di essere ausiliari delle FARC.

Anche i membri delle comunità afroamericane di Jiguamiandó e Curvaradó hanno continuato a essere oggetto di minacce da parte delle forze di sicurezza e dei paramilitari.

*Il 24 ottobre, il corpo dell’attivista afroamericano Orlando Valencia è stato ritrovato nella municipalità di Chirigorodó, dipartimento di Antioquia. Era stato sequestrato da presunti paramilitari il 15 ottobre, dopo essere stato fermato per alcune ore dalla polizia che lo accusava di essere un membro delle FARC.

Scontri avvenuti a seguito di attacchi delle FARC il 14 e 17 aprile contro unità delle forze di sicurezza nella comunità indigena di Toribío, dipartimento del Cauca, hanno provocato la morte di Yanson Trochez Pavi, di 10 anni, e il ferimento di 19 civili. Secondo quanto riferito, nel corso degli attacchi le FARC hanno usato bombe a cilindro di gas, mentre, secondo le denunce, le forze di sicurezza avrebbero risposto con mitragliamenti aerei a bassa quota.

Libertà di espressione

La libertà di espressione è stata messa a repentaglio da continue minacce, sequestri e uccisioni di giornalisti.

*L’11 gennaio il giornalista Julio Palacios Sánchez è stato ucciso da ignoti a Cúcuta, dipartimento Norte de Santander.

*Il 20 febbraio le FARC hanno fatto esplodere un’autobomba davanti alla sede della stazione radiotelevisiva RCN di Cali, ferendo due persone.

*Il 16 maggio i giornalisti Hollman Morris, Carlos Lozano e Daniel Coronell, i quali, secondo quanto riferito, avevano ripetutamente denunciato violazioni dei diritti umani da parte dei paramilitari, hanno ricevuto minacce di morte nella forma di corone funerarie.

Aiuti militari degli Stati Uniti

Nel 2005 gli aiuti degli Stati Uniti alla Colombia hanno ammontato a circa 781 milioni di dollari americani, l’80% dei quali in aiuti militari. Il Congresso degli Stati Uniti ha nuovamente richiesto al Segretario di Stato di certificare i progressi in specifiche aree dei diritti umani prima del trasferimento dell’ultima quota del 25%. Considerata la mancanza di progresso in diverse categorie dei diritti umani, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, prima di concederla, ha negato la certificazione per diversi mesi. L’assistenza finanziaria degli Stati Uniti al processo di smobilitazione paramilitare è stata approvata, seppur a determinate condizioni in materia di diritti umani. Ad agosto il Dipartimento di Stato ha annunciato che avrebbe interrotto l’assistenza destinata alla sicurezza della XVII Brigata dell’esercito colombiano, in seguito alle accuse di violazioni dei diritti umani, comprese le uccisioni di febbraio a San José de Apartadó. L’assistenza non sarebbe stata rinnovata finché le accuse non fossero state «affrontate in maniera credibile».

Organizzazioni intergovernative

La Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani ha espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, riconoscendo la responsabilità dei gruppi di opposizione armata, paramilitari e forze di sicurezza. Ha deplorato le denunce di esecuzioni extragiudiziali attribuite ai membri delle forze di sicurezza e altri dipendenti pubblici e le denunce di arresti e perquisizioni di massa effettuati senza le opportune basi legali. Ha inoltre espresso preoccupazione per la collusione di agenti statali con i paramilitari. Ha condannato la violenza sulle donne compiuta da tutte le parti in conflitto e l’impunità prevalente nel Paese.

 

Guatemala

Repubblica del Guatemala

Capo di Stato e di governo: Óscar Berger Perdomo
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne e relative Protocollo opzionale: ratificati

Le uccisioni di donne hanno raggiunto cifre da record; la risposta del governo ha continuato a essere inefficace e inadeguata e ben pochi casi giudiziari si sono conclusi con la condanna dei responsabili. Difensori dei diritti umani hanno dovuto affrontare ripetute minacce e intimidazioni, in special modo contestualmente a proteste a livello nazionale contro le politiche economiche del governo. Centinaia di casi di dispute fra comunità rurali e proprietari terrieri sono rimasti irrisolti. Responsabili di passate violazioni dei diritti umani, compresi casi di genocidio, commessi durante il conflitto armato interno, non sono stati assicurati alla giustizia.

Contesto

A marzo, il Congresso ha ratificato un accordo di libero scambio (noto come CAFTA) con gli Stati Uniti, la Repubblica Dominicana e altri Stati dell’America Centrale. Questo fatto, unitamente ad altre politiche economiche, come l’espansione delle attività minerarie da parte di società estere e la proposta privatizzazione di parti del settore pubblico, ha causato notevoli proteste a livello nazionale. Almeno due dimostranti sono stati uccisi, si ritiene da parte di membri delle forze di sicurezza, e molti sono stati feriti nel corso di diverse manifestazioni.

Il governo ha presentato scuse ufficiali in quattro casi relativi a violazioni dei diritti umani commesse durante il conflitto armato interno. In un caso, quello relativo al massacro avvenuto nel 1982 a Plan de Sánchez dove oltre 250 contadini indigeni furono uccisi da forze dello Stato, le scuse ufficiali erano state imposte dalla Corte interamericana dei diritti umani.

A settembre è stato aperto l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Più di 650 persone sono morte in Guatemala a causa dell’uragano Stan, che in ottobre ha causato vasti danni e molti morti in America Centrale.

Gli sforzi per fare approvare una proposta, sostenuta dalle Nazioni Unite, per stabilire una commissione volta a indagare sulle attività di organizzazioni illegali e di gruppi clandestini sono stati del tutto vani, nonostante le precedenti assicurazioni da parte del governo in tal senso. La proposta era già stata respinta dal Congresso nel 2004.

Violenza sulle donne

Secondo quanto riportato da fonti di polizia, in Guatemala sono state uccise 665 donne, in aumento rispetto alle 527 uccise nel 2004. Le aggressioni sono state in molti casi accompagnate da violenza sessuale ed estrema brutalità. Ben pochi progressi sono stati fatti per consegnare i responsabili alla giustizia. A gennaio i casi sono stati trasferiti a una nuova agenzia investigativa dotata di maggiori risorse, ma ciò non ha portato a procedimenti giudiziari che si siano conclusi con una condanna.

È rimasta in vigore una legge che ascrive a reato le relazioni sessuali con una minorenne soltanto se costei è “onesta”. È stata invece sospesa a dicembre dalla Corte Costituzionale, la più alta corte di giustizia, una legge che permetteva agli stupratori, in taluni casi, di eludere l’incriminazione nel caso sposassero la loro vittima.

*Il corpo della diciannovenne Claudina Velázquez è stato ritrovato il 13 agosto con un colpo di arma da fuoco alla testa. La giovane aveva bruciature su una guancia e su un ginocchio e sono state trovate tracce si sperma. Sono sorti forti dubbi circa l’efficacia delle indagini. Ad esempio, non erano stati effettuati test sui principali sospetti per accertare se avessero sparato con un’arma da fuoco e il pubblico ministero aveva cercato di restituire i vestiti alla famiglia, che insisteva fossero trattenuti come potenziale fonte di prove.

Diritti economici, sociali e culturali

Sono stati riferiti 22 escomi di comunità rurali effettuati durante l’anno. Nel dare esecuzione agli escomi le autorità si sono dimostrate indebitamente parziali nei confronti di alcuni soggetti, solitamente ricchi proprietari terrieri. Gli escomi sono stati caratterizzati da distruzione di case e uso eccessivo della forza, che in taluni casi ha causato feriti.

Minacce e intimidazioni

Sono stati riportati 224 casi di aggressione nei confronti di attivisti e organizzazioni per i diritti umani. Tempistica e natura di molti di questi attacchi hanno indicato il coinvolgimento di gruppi illegali clandestini.

Il Relatore per il Guatemala della Commissione interamericana dei diritti umani ha visitato il Paese a giugno e ha osservato la difficile situazione dei difensori dei diritti umani. Nel commentare la dichiarazione ufficiale del governo a sostegno dei difensori, il Relatore ha concluso che l’impunità era un problema strutturale e che erano stati fatti pochi passi avanti nell’indagare le passate e attuali violazioni dei diritti umani nei confronti degli attivisti.

*A gennaio è stata aggredita Makrina Gudiel, un’attivista impegnata in una campagna contro la corruzione e figlia di un importante difensore dei diritti umani assassinato nel dicembre 2004. La sua auto è stata cosparsa di benzina nel tentativo di bruciarla viva. Scampata all’attentato, Makrina Gudiel è rimasta nascosta per gran parte dell’anno.

*A maggio l’ufficio di un’organizzazione nazionale dei lavoratori rurali è stato oggetto di un raid, nel corso del quale sono stati asportati computer contenenti importanti informazioni sul lavoro dell’organizzazione e sui suoi membri, mentre molti altri oggetti di valore sono stati tralasciati. L’organizzazione era attivamente impegnata contro il CAFTA e gli escomi forzati delle comunità rurali.

Impunità

Non sono stati compiuti progressi nelle azioni penali contro i passati casi di genocidio o crimini contro l’umanità in Guatemala.

A febbraio, la Corte Costituzionale, sostenendo la violazione della corretta procedura, ha bloccato il processo relativo al massacro di Dos Erres del 1982, nel corso del quale oltre 200 persone furono uccise dall’esercito guatemalteco. A fine anno il caso era ancora aperto.

*Nel mese di settembre la Corte Costituzionale spagnola ha emesso una sentenza in base alla quale potrà proseguire in Spagna il caso che vede imputato per genocidio il generale guatemalteco Rios Montt, leader della giunta militare in Guatemala nel periodo 1981-1982 e di altri ufficiali.

Pena di morte

Ad aprile il presidente Berger ha annunciato l’intenzione di abolire la pena di morte. La proposta di legge è stata presentata al Congresso a maggio e a fine anno era ancora all’esame.

In due casi separati, a giugno e settembre, la Corte interamericana dei diritti umani ha decretato che gli articoli del codice penale relativi all’applicazione della pena di morte per omicidio e rapimento erano poco chiari e non potevano quindi essere applicati. La Corte ha ordinato il riesame per due prigionieri che avevano presentato appello e per altri 18 condannati a morte per rapimento. Se applicato, tale decreto ridurrebbe da 29 a 9 gli attuali prigionieri nel braccio della morte.

Nessuna esecuzione ha avuto luogo nel corso dell’anno.

 

 

Iraq

Repubblica dell’Iraq

Capo di Stato: Jalal Talabani (subentrato a Shaikh Ghazi al-Yawar ad aprile)
Capo del governo ad interim: Ibrahim al-Ja’fari (subentrato a Iyad ‘Allawi ad aprile)
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato

Sia la Forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America (MNF) e le forze di sicurezza irachene hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui torture e maltrattamenti, detenzioni arbitrarie senza accusa né processo, e uso eccessivo della forza che ha determinato la morte di civili. Gruppi armati combattenti contro la MNF e il governo iracheno si sono resi responsabili di gravi abusi dei diritti umani, tra cui l’uccisione deliberata di migliaia di civili in attacchi dinamitardi e di altro tipo, cattura di ostaggi e tortura. Decine di persone sono state condannate a morte da corti penali e almeno tre condanne sono state eseguite. L’ex presidente Saddam Hussein e altri sette imputati sono stati portati in giudizio. Donne e ragazze hanno continuato a essere molestate e hanno vissuto nella paura come risultato della continua mancanza di sicurezza.

Contesto

Le elezioni per l’Assemblea Nazionale di Transizione (TNA), il Parlamento iracheno ad interim, tenutesi il 30 gennaio, hanno visto una larga partecipazione nel sud e nel Kurdistan iracheno. Ciononostante, la maggior parte dei sunniti ha boicottato le elezioni, apparentemente dando ascolto alle richieste di religiosi sunniti e figure politiche che si opponevano allo svolgimento delle elezioni finché la MNF fosse rimasta in Iraq; altri non hanno votato a causa delle temute rappresaglie da parte di gruppi armati. Un’alleanza degli sciiti ha ottenuto la maggioranza dei voti guadagnando 140 su 275 seggi nell’assemblea. Un’alleanza curda ha ottenuto 75 seggi e una coalizione guidata dal Primo ministro uscente Iyad ‘Allawi ne ha ottenuti 40.

Dopo settimane di stallo, un accordo tra le alleanze sciita e curda ha portato a maggio alla formazione di un nuovo governo, presieduto da Ibrahim al-Ja’fari, membro del partito al-Da’wa e dell’alleanza sciita, e tra i cui componenti figurano diversi sunniti. Jalal Talabani, leader dell’Unione patriottica del Kurdistan (PUK) è stato nominato presidente.

Si sono tenuti ulteriori e protratti negoziati prima che il Comitato per la stesura della Costituzione trovasse un accordo su una nuova bozza di Costituzione alla fine di agosto, due settimane dopo la scadenza stabilita dalla legge amministrativa di transizione. Il 15 ottobre, la nuova Costituzione è stata oggetto di un referendum nazionale e approvata complessivamente con una percentuale complessiva di tre a uno, sebbene sia stata respinta con una percentuale di due a uno in due province con popolazione a maggioranza sunnita, al-Anbar e Salahuddin. È stato concordato che il nuovo Parlamento avrebbe istituito un comitato per considerare possibili emendamenti.

Le elezioni per il nuovo Consiglio dei rappresentanti, un Parlamento di 275 seggi con mandato quadriennale, si sono tenute il 15 dicembre e hanno visto la partecipazione di partiti sunniti, sciiti e curdi. C’è stata una notevole affluenza al voto, ufficialmente stimata al 70%, con la maggior parte dei voti espressi su base etnica e religiosa. A fine anno il nuovo governo doveva ancora essere formato. In seguito a questo vuoto di potere, gruppi armati, la MFN e le forze di sicurezza irachene hanno commesso gravi abusi, compresi crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Abusi commessi da gruppi armati

Gruppi armati combattenti contro la MNF e le forze di sicurezza irachene si sono resi responsabili di gravi abusi dei diritti umani. Secondo quanto riferito, centinaia di civili iracheni sono stati uccisi o feriti in attacchi da parte di gruppi armati. Alcuni, compresi traduttori, autisti e altri impiegati dalla MNF, sarebbero stati attaccati perché considerati “collaborazionisti”; altri, tra cui impiegati statali, funzionari governativi, giudici e giornalisti sono finiti nel mirino a causa dei loro legami con l’amministrazione irachena. Molti altri sono stati colpiti perché appartenenti a determinati gruppi religiosi ed etnici. Civili sono stati anche uccisi e feriti in esplosioni di autobomba e attacchi suicidi indiscriminati compiuti da gruppi armati miranti a colpire la polizia irachena e le forze governative, nonché convogli militari e basi della MNF.

Gruppi armati si sono anche resi responsabili del rapimento di decine di iracheni e stranieri, trattenuti in ostaggio. Molti degli ostaggi sono stati uccisi, in maggioranza si trattava di civili.

*Il 25 gennaio, il giudice Qais Hashem al-Shamari, segretario del Consiglio iracheno dei giudici, è stato ucciso insieme a suo figlio in un’imboscata compiuta da uomini armati a bordo di un’auto. Il giudice e suo figlio erano appena usciti di casa e si trovavano nella parte orientale di Baghdad. Il gruppo armato Ansar al-Sunna ha rivendicato la responsabilità delle uccisioni.

*Il 28 febbraio almeno 118 persone sono state uccise e 132 ferite in un attacco suicida con un’autobomba vicino a una stazione di polizia e un mercato affollato ad al-Hilla, a sud di Baghdad. Le vittime comprendevano persone in fila davanti a una clinica per ritirare certificati medici che avrebbero permesso loro di presentare domanda di lavoro presso l’esercito e la polizia. Molte altre vittime si trovavano nel mercato dall’altra parte della strada. In una dichiarazione apparsa su Internet un gruppo chiamato Organizzazione della Jihad di al-Qaeda nella Terra dei due fiumi ha rivendicato la responsabilità dell’attacco.

*Il 14 settembre un attentatore suicida ha attirato decine di persone presso il suo furgone con la promessa di lavoro e poi ha detonato una bomba nella piazza al-‘Uruba ad al-Kadhimiya, un quartiere di Baghdad a predominanza sciita. Almeno 114 civili, compresi bambini, sono stati uccisi e decine feriti.

*Il 26 novembre quattro difensori dei diritti umani, membri del Gruppo di pacificatori cristiani, Tom Fox, Norman Kember, James Loney e Harmeet Singh Sooden, sono stati rapiti a Baghdad. Un gruppo armato, Spade della verità, ne ha rivendicato la responsabilità e ha domandato il rilascio di quattro prigionieri iracheni. A fine anno i quattro uomini erano ancora in ostaggio.

Detenzione senza accusa né processo

Migliaia di persone sono state trattenute dalla MNF senza accusa né processo. Per la maggior parte si trattava di sunniti arrestati nel cosiddetto triangolo sunnita dove gruppi armati che si oppongono alla MNF e al governo iracheno erano particolarmente attivi. Alla maggior parte è stato negato l’accesso ad avvocati e alle famiglie durante i primi due mesi di detenzione.

Le forze militari statunitensi hanno continuato a controllare quattro principali centri di detenzione: la prigione di Abu Ghraib a Baghdad; Camp Bucca a Um Qasr, vicino a Bassora, nel sud del Paese; Camp Cropper vicino all’aeroporto internazionale di Baghdad e Fort Suse, vicino a Suleimaniya, nel nord del Paese. Alla fine di novembre più di 14.000 detenuti si trovavano in questi centri di detenzione; più di 1.400 da oltre un anno. Tra i detenuti vi erano anche nove donne a Camp Cropper.

*‘Ali ‘Omar Ibrahim al-Mashhadani, un cameraman di 36 anni, è stato arrestato dalle forze statunitensi l’8 agosto dopo una perquisizione nella sua abitazione di al-Ramadi a seguito di una sparatoria nella città. Suo fratello, che è stato arrestato assieme a lui e poi rilasciato, ha affermato che i soldati li avevano arrestati dopo aver visionato del materiale filmato da ‘Ali ‘Omar Ibrahim al-Mashhadani. A fine anno ‘Ali ‘Omar Ibrahim al-Mashhadani era ancora detenuto senza accusa né processo a Camp Bucca.

Migliaia di detenuti sono stati rilasciati, compresi circa 500 detenuti per ragioni di sicurezza rilasciati dalla MNF a ottobre, pochi giorni prima dell’inizio del mese santo del Ramadan.

*Due studenti palestinesi, Jayab Mahmood Hassan Humeidat e Ahmad Badran Faris, entrambi di 22 anni, sono ritornati a casa in Cisgiordania dopo essere stati rilasciati alla fine di agosto. Essi erano stati detenuti per 28 mesi senza accusa né processo a Camp Bucca.

Tortura e maltrattamenti

Sono state comprovate diffuse torture e maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza irachene. I metodi di tortura comprendevano la sospensione per le braccia, le bruciature di sigaretta, le percosse, l’applicazione di scosse elettriche in diverse parti del corpo, lo strangolamento, la frattura degli arti e gli abusi sessuali. Sono state riferite torture e maltrattamenti in centri di detenzione segreta, stazioni di polizia e in centri di detenzione in diverse parti del Paese così come in edifici di Baghdad sotto il controllo del ministero dell’Interno.

*A febbraio tre presunti membri dell’Organizzazione Badr sono deceduti in custodia dopo essere stati arrestati dalla polizia irachena a un posto di blocco. I corpi dei tre uomini, Majbal ‘Adnan Latif, suo fratello ‘Ali ‘Adnan Latif, e ‘Aidi Mahassin Lifteh, sono stati trovati tre giorni dopo, con segni di percosse e scosse elettriche.

*Sempre a febbraio una casalinga di 46 anni di Mosul, Khalida Zakiya, è stata mostrata durante il programma della TV irachena “Terrorismo nella morsa della giustizia” in cui si asseriva che aveva offerto sostegno a un gruppo armato. Tuttavia, più tardi la donna ha affermato di essere stata costretta a rendere una falsa confessione e ha riferito che durante la sua detenzione da parte delle forze di sicurezza del ministero dell’Interno era stata frustata con un cavo e minacciata di abuso sessuale.

*A luglio, 12 uomini sono stati arrestati dalla polizia irachena nel quartiere al-‘Amirya di Baghdad. Nove dei 12 sono morti soffocati mentre erano rinchiusi in un furgone della polizia. Le autorità irachene hanno lasciato intendere che i 12 erano membri di un gruppo armato che aveva avuto uno scontro a fuoco con le forze irachene o statunitensi. Tuttavia, secondo altre fonti si trattava di un gruppo di muratori arrestati in quanto presunti insorti e poi torturati da unità di polizia prima di essere rinchiusi in un furgone della stessa con temperature estremamente elevate per almeno 14 ore. Il personale medico dell’ospedale Yarmouk di Baghdad, dove i corpi dei morti sono stati portati l’11 luglio, avrebbe confermato che alcuni avevano segni di tortura, comprese scosse elettriche.

*A novembre le forze statunitensi hanno annunciato di aver trovato 173 detenuti segregati in un edificio controllato dal ministero dell’Interno. Molti erano stati torturati, maltrattati ed erano malnutriti. Poco dopo, il governo iracheno ha avviato un’indagine in merito a queste e ad altre denunce di tortura.

Sono state anche riferite torture e maltrattamenti da parte della MNF.


*A settembre vari membri del 184° reggimento di fanteria della Guardia nazionale statunitense sono stati condannati a pene detentive per tortura o maltrattamento di iracheni. Secondo quanto riferito, i detenuti erano stati arrestati a marzo in seguito a un attacco a una centrale elettrica vicino a Baghdad. Secondo resoconti dei media, erano state usate armi che impartiscono scariche elettriche su detenuti ammanettati e bendati.

Pena di morte

Decine di persone sono state condannate a morte da corti penali iracheni durante l’anno. Le prime esecuzioni da quando l’Iraq ha reintrodotto la pena di morte nell’agosto 2004 hanno avuto luogo a settembre. A fine anno il braccio della morte contava decine di persone.

*Ahmad al-Jaf, Jasim ‘Abbas e ‘Uday Dawud al-Dulaimi, ritenuti appartenenti al gruppo armato Ansar al-Sunna, sono stati condannati a morte a maggio da una corte penale nella città di al-Kut, circa 170 km a sud di Baghdad. I tre uomini sono stati giudicati colpevoli di rapimento, stupro e omicidio. Le loro condanne a morte sono state eseguite a settembre per impiccagione.

Attacchi illegali

Le forze della MNF sono ricorse a un uso eccessivo della forza che ha causato vittime civili. Secondo quanto riferito, non erano state adottate le necessarie precauzioni per minimizzare i rischi per i civili.

*Ad agosto truppe statunitensi hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco Walid Khaled, un ingegnere del suono iracheno che lavorava per l’agenzia di stampa Reuters, e ferito il suo collega Haidar Kadhem. I soldati hanno sparato all’auto su cui stavano viaggiando i due uomini diretti verso il luogo di un precedente attacco di insorti a un convoglio della polizia irachena nel quartiere di al-‘Adel a Baghdad. Un ufficiale statunitense ha in seguito sostenuto che i soldati statunitensi aveva condotto «un’azione appropriata» secondo le loro regole di ingaggio.

*Il 16 ottobre, circa 70 persone sono state uccise vicino ad al-Ramadi, in un raid aereo statunitense. La locale polizia irachena ha affermato che circa 20 degli uccisi erano civili, compresi bambini che si erano riuniti attorno ai rottami di un veicolo militare. Ufficiali dell’esercito statunitense aveva affermato inizialmente che gli uccisi erano «terroristi». Tuttavia, stando alle fonti, due giorni dopo hanno affermato che avrebbero indagato sulle accuse secondo cui i civili erano stati uccisi.

Processo a Saddam Hussein e ad altri ex funzionari

L’ex presidente Saddam Hussein è stato portato in giudizio il 19 ottobre insieme ad altri sette, tra cui l’ex vice presidente Taha Yassin Ramadhan e Barzan Ibrahim al-Tikriti, ex capo dei servizi di intelligence (Mukhabarat). Essi sono comparsi di fronte alla Suprema Corte penale irachena (SICT), già Tribunale speciale iracheno e accusati in relazione all’esecuzione di 148 persone di al-Dujail, un villaggio a prevalenza sciita, in seguito a un attentato a Saddam Hussein durante una sua visita nel villaggio nel 1982.

Il processo si è celebrato nell’ultra fortificata Green Zone di Baghdad, con preoccupazione per coloro che vi partecipavano ed è stato caratterizzato da irregolarità procedurali. Ad esempio, i nomi dei testimoni dell’accusa non sono stati riferiti alla difesa e il nome e le procedure della Corte sono stati emendati immediatamente prima dell’inizio del procedimento. Gli imputati, i quali, se condannati potrebbero rischiare la pena di morte, hanno respinto le accuse e contestato la legittimità della Corte.

Il 20 ottobre l’avvocato della difesa Sa’dun al-Janabi è stato prelevato dal suo ufficio di Baghdad da uomini armati e ucciso. Un secondo avvocato difensore, ‘Adil al-Zubeidi, è stato ucciso a novembre quando uomini armati hanno aperto il fuoco contro l’auto su cui viaggiava. A fine anno il processo era ancora in corso.

Violenza sulle donne

Donne e ragazze hanno continuato a incorrere in minacce, attacchi e molestie. Le loro libertà sono risultate fortemente limitate a causa della mancanza di sicurezza nelle strade. Molte donne e ragazze hanno subito pressioni per indossare lo hijab o velo islamico e cambiare il loro comportamento. Donne sono state uccise e rapite da gruppi armati.

*Il 20 febbraio, Ra’ida Mohammad al-Wazzan, di 35 anni, giornalista e presentatrice di telegiornale per al-‘Iraqiya, il canale televisivo di Stato iracheno, è stata rapita da uomini armati assieme a suo figlio di 10 anni. Il ragazzo è stato rilasciato tre giorni dopo, ma il corpo di Ra’ida Mohammad al-Wazzan è stato trovato in una strada di Mosul il 25 febbraio e riportava ferite d’arma da fuoco alla testa. La giornalista era stata precedentemente minacciata da uomini armati che le avevano chiesto di lasciare il suo lavoro.

Iraq settentrionale

Abusi dei diritti umani sono stati riferiti anche in zone dell’Iraq settentrionale controllate dal 1991 dal partito democratico del Kurdistan (KDP) e dall’Unione patriottica del Kurdistan (PUK).

*Il 7 settembre, forze di sicurezza di Kalar, una cittadina della zona controllata dal PUK, hanno ucciso una persona ferendone un’altra trentina quando hanno sparato su una folla che manifestava davanti all’ufficio del governatore contro la carenza di carburante e servizi pubblici scadenti.

*Kamal Sayid Qadir, uno scrittore curdo con cittadinanza austriaca, è stato arrestato a ottobre ad Arbil da membri del Parastin, il servizio di intelligence del KDP. A dicembre è stato condannato a 30 anni di carcere per diffamazione al termine di un processo iniquo. Egli aveva pubblicato articoli su Internet in cui si criticavano i dirigenti del KDP.

 

 

Italia

Repubblica italiana

Capo di Stato: Carlo Azeglio Ciampi
Capo del governo: Silvio Berlusconi
Pena di morte: abolizionista per i tutti i reati
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: ratificato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne e relativo Protocollo opzionale: ratificati

I diritti dei rifugiati sono stati minacciati dall’applicazione di una nuova legge sull’immigrazione, dalla mancanza di una legislazione specifica per tutelare i richiedenti asilo e dall’intenzione manifestata dall’Italia di costruire in Libia centri di detenzione per migranti. Nel corso dell’anno, a dispetto del diritto internazionale sui rifugiati, più di 1.425 migranti sono stati espulsi verso la Libia. Sono state comminate condanne detentive con sospensione condizionale della pena nei confronti di funzionari pubblici e personale civile per aggressione e maltrattamenti razzisti avvenuti in un centro di detenzione per migranti. Sono proseguiti i processi a carico di agenti di polizia accusati di aggressione e altri reati compiuti nel 2001 durante manifestazioni svoltesi a Napoli e, in occasione del Summit G8, a Genova. L’Italia non ha adottato misure per risolvere il problema dell’impunità all’interno delle forze dell’ordine, quali la creazione di un organismo indipendente per le denunce contro la polizia, l’inserimento del reato di tortura nel codice penale e l’obbligo per gli agenti di indossare chiaramente un qualche segno di identificazione.

Minaccia ai diritti dei rifugiati

Nonostante sia Stato parte della Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, l’Italia non si è ancora dotata di una legge specifica e completa sul diritto di asilo. Nella pratica, l’asilo è disciplinato dalla legge sull’immigrazione del 1990, così come emendata nel 2002 dalla c.d. legge Bossi-Fini, il cui regolamento di attuazione è entrato in vigore il 21 aprile 2005. La legge ha istituito centri di identificazione per la detenzione dei richiedenti asilo e una procedura veloce per la determinazione del diritto di asilo per i richiedenti detenuti, generando preoccupazione per l’accesso alle procedure di asilo, per la detenzione dei richiedenti asilo in violazione degli standard previsti dalla normativa internazionale e per la violazione del principio del non-refoulement (non respingimento) che vieta di rimpatriare o espellere forzatamente i richiedenti asilo verso Paesi in cui potrebbero essere a rischio di gravi abusi dei diritti umani.

È stato espresso il timore che molti delle migliaia di migranti e richiedenti asilo giunti in Italia via mare, principalmente dalla Libia, siano stati forzatamente respinti verso Paesi in cui erano a rischio di violazioni dei diritti umani. Tra gennaio e ottobre almeno 1.425 persone sono state deportate in Libia.

*Tra il 13 e il 21 marzo, sull’isola di Lampedusa sono arrivati 1.235 cittadini stranieri. Il 14 marzo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) ha chiesto di poter accedere al centro di detenzione dell’isola, ma la richiesta è stata respinta per ragioni di sicurezza. Il 16 marzo il ministro dell’Interno ha riferito al Parlamento che nel centro erano stati ammessi funzionari libici, per identificare i trafficanti di esseri umani. Secondo quanto riferito, il giorno seguente sono state espulse 180 persone, scortate in volo da agenti delle forze dell’ordine italiane fino alla capitale libica Tripoli. Il 18 marzo l’ACNUR ha sottolineato che, se al momento delle visite dei funzionari libici nel centro fossero stati presenti richiedenti asilo libici, tali visite avrebbero contravvenuto i principi basilari della tutela dei rifugiati. Il 14 aprile il Parlamento Europeo ha espresso preoccupazione per le espulsioni dei migranti da Lampedusa attuate tra l’ottobre 2004 e il marzo 2005. Il 10 maggio la Corte Europea dei diritti umani ha ordinato alle autorità italiane di sospendere la prevista espulsione di 11 migranti che erano giunti a Lampedusa a marzo.

Nei Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) sono stati detenuti migliaia di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, mentre da alcuni di tali centri sono state segnalate aggressioni verso detenuti da parte di agenti delle forze dell’ordine e personale di sorveglianza. Sono state anche segnalate condizioni di sovraffollamento e mancanza di igiene; assistenza medica inadeguata unita a somministrazione eccessiva e illegale di sedativi; e difficoltà per i detenuti a ottenere assistenza legale e accesso alle procedure di asilo. Condizioni analoghe sono state riferite nei Centri di identificazione, di nuova creazione, dove sono stati trattenuti centinaia di richiedenti asilo.

Aggiornamenti

Nel mese di luglio il tribunale di Lecce ha condannato 16 persone accusate di aggressione e maltrattamenti razzisti avvenuti nel novembre 2002 ai danni di detenuti nel CPTA Regina Pacis, in Puglia. Il direttore del centro, un prete cattolico, e due dei carabinieri addetti alla sicurezza sono stati condannati a 16 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena. Gli altri imputati, sei dipendenti amministrativi, due medici e altri cinque carabinieri, hanno ricevuto condanne dai 9 ai 16 mesi di reclusione, anch’esse con sospensione della pena.

Detenzione per procura

Nel corso dell’anno fonti non ufficiali hanno riferito della decisione dell’Italia di costruire tre strutture di detenzione in Libia, nelle località di Gharyan, vicino a Tripoli, di Sheba, nel deserto, e di Kufra, vicino al confine con Egitto, Sudan e Ciad. Sono stati espressi timori che i diritti umani dei migranti potessero essere seriamente messi a rischio. La Libia non ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, né il suo Protocollo, e non riconosce la presenza di rifugiati e richiedenti asilo sul suo territorio, né lo status ufficiale dell’ACNUR.

Brutalità della polizia

L’Italia ha continuato a non voler introdurre nel proprio codice penale il reato di tortura così come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Inoltre, non ha adottato alcuna misura per creare un istituto nazionale indipendente per la tutela dei diritti umani o un organo indipendente che accolga le denunce contro la polizia e ne individui le responsabilità. Le operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico non sono risultate in linea con il Codice europeo di etica per la polizia che, ad esempio, richiede agli agenti di indossare in modo ben visibile qualche segno di identificazione, come il numero di matricola, per far sì che possano essere individuati e chiamati a rispondere delle proprie azioni.

Aggiornamenti: operazioni di polizia durante manifestazioni del 2001

Sono proseguiti i processi nei confronti di agenti di polizia impegnati nelle operazioni di controllo dell’ordine pubblico durante le manifestazioni di Napoli del marzo 2001, e del Summit G8 di Genova nel luglio 2001.

*È proseguito il processo, avviato nel dicembre 2004, contro 31 agenti di polizia imputati per reati commessi durante la manifestazione di Napoli, che andavano dal sequestro di persona alle lesioni personali e alla violenza privata.

*Nel mese di marzo la Procura della Repubblica di Genova ha presentato prove di maltrattamenti verbali e fisici ai danni delle persone trattenute nella struttura detentiva temporanea di Bolzaneto in cui, durante il Summit G8, furono condotti più di 200 arrestati. I detenuti avevano denunciato di essere stati colpiti con schiaffi, calci, pugni e sputi; sottoposti a minacce, anche di stupro, e insulti, anche di natura sessuale e oscena; e privati di cibo, acqua e sonno per lunghi periodi. Il 16 aprile sono stati decisi 45 rinvii a giudizio per imputazioni varie nei confronti di agenti di polizia, carabinieri, agenti di custodia e personale sanitario. Il processo è iniziato l’11 ottobre.

*Il 6 aprile è iniziato il processo a carico di 28 agenti di polizia, tra cui alcuni funzionari di grado superiore, coinvolti in una irruzione notturna in una scuola di Genova durante le manifestazioni del 2001. Nel corso del raid quasi 100 persone vennero ferite e tre di esse entrarono in coma. Gli agenti sono stati accusati di vari reati, tra cui lesioni gravi e percosse, falsificazione e occultamento di prove e abuso d’ufficio. Nessuno è stato sospeso dal servizio. Decine di altri agenti delle forze dell’ordine ritenuti coinvolti in aggressioni fisiche, a quanto pare non hanno potuto essere identificati.

Maltrattamenti nelle carceri

Negli istituti di pena non è mutata la situazione di sovraffollamento cronico e insufficienza di personale, unita a un’alta incidenza di suicidi e atti di autolesionismo. Sono pervenute molte segnalazioni di condizioni sanitarie carenti e di assistenza medica inadeguata e non è diminuita l’incidenza di malattie infettive e problemi di salute mentale.

Nel corso dell’anno sono proseguiti procedimenti penali nei confronti di un gran numero di membri del personale carcerario, relativi a maltrattamenti di singoli detenuti o, talvolta, di gruppi di reclusi. Alcuni processi si sono contraddistinti per gli eccessivi ritardi. Le accuse si riferivano a presunti abusi psicologici e fisici ai danni di detenuti, in alcuni casi condotti in maniera sistematica e talvolta equivalenti a tortura.

Monitoraggio internazionale

A gennaio il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne ha reputato inadeguate le misure adottate dall’Italia per risolvere il problema della bassa partecipazione delle donne alla vita pubblica. Il Comitato ha raccomandato che nella legislazione pertinente sia inclusa una definizione di discriminazione contro le donne, per allineare l’Italia alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne.

Il 28 ottobre il Comitato diritti umani delle Nazioni Unite, in risposta al rapporto presentato dall’Italia sull’applicazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ha raccomandato la creazione di un organismo nazionale indipendente per la tutela dei diritti umani. Il Comitato ha sollecitato maggiori sforzi sia per garantire che i presunti maltrattamenti compiuti da agenti dello Stato siano oggetto di indagine immediata e imparziale, sia per eliminare la violenza domestica. Il Comitato ha anche espresso preoccupazione riguardo al diritto di asilo e ha richiesto informazioni dettagliate in merito agli accordi di riammissione conclusi con altri Paesi, compresa la Libia. Inoltre ha sollecitato l’Italia a garantire l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo e ha evidenziato le proprie preoccupazioni per il sovraffollamento delle carceri.

Corte penale internazionale

Nonostante l’importante ruolo svolto dall’Italia nella redazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e la ratifica del medesimo, già avvenuta nel 1999, a fine anno le autorità non avevano ancora promulgato norme attuative che consentirebbero di indagare e processare presso i tribunali nazionali reati inseriti nel diritto internazionale o di cooperare con la Corte penale internazionale nel corso delle sue inchieste.

 

 

Regno Unito

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord

Capo di Stato: regina Elisabetta II
Capo del governo: Tony Blair
Pena di morte: abolizionista per tutti i reati
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: ratificato
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificato

Il governo ha continuato a intaccare i diritti umani fondamentali, lo Stato di diritto e l’indipendenza della magistratura, anche persistendo nel tentativo di erodere il divieto di tortura sia all’interno del Paese, sia all’estero, e promulgando e cercando di promulgare leggi contrarie al diritto interno e internazionale sulla tutela dei diritti umani. Ciononostante, ha perso la battaglia legale che mirava a rendere ammissibili come prove durante i processi informazioni ottenute tramite tortura. A luglio, 52 persone sono morte e centinaia sono rimaste ferite in seguito ad attentati al sistema di trasporto pubblico di Londra. Misure che pretendevano di contrastare il terrorismo hanno provocato gravi violazioni dei diritti umani e hanno sollevato diffuse preoccupazioni per il loro impatto sulla comunità musulmana e su altre comunità minoritarie. Sono state avviate inchieste giudiziarie pubbliche per casi di presunta collusione dello Stato in omicidi avvenuti in passato nell’Irlanda del Nord, ma il governo ha continuato a non voler aprire un’inchiesta sulla morte di Patrick Finucane. Gravi motivi di preoccupazione sono stati espressi per la proposta di norme destinate ad avere un effetto sulle passate violazioni dei diritti umani nell’Irlanda del Nord.

Misure anti-terrorismo

Si sono verificate continue gravi violazioni dei diritti umani, compresa la persecuzione di uomini etichettati dal governo come «sospetti terroristi internazionali» sulla base di rapporti dei servizi segreti. Le misure proposte e messe in atto hanno comportato la punizione di persone che le autorità ritenevano una minaccia, ma contro le quali affermavano di non avere prove sufficienti per rinviarle a giudizio in tribunale.

All’indomani della sentenza emessa nel dicembre 2004 dal Comitato d’appello della Camera dei Lord (i cosiddetti Law Lords, che rivestono la funzione di Suprema corte d’appello), che stabiliva che la detenzione a tempo indeterminato era incompatibile con il diritto alla libertà e con la proibizione della discriminazione, il governo non ha fornito alle vittime alcun sollecito risarcimento. Al contrario, ha atteso fino a marzo, mese in cui scadeva la norma di legge in base alla quale erano state incarcerate. Contemporaneamente, il governo ha approvato una nuova legge sulla prevenzione del terrorismo (Prevention of Terrorism Act 2005 – PTA), che si è rivelata contraria allo spirito stesso della sentenza dei Law Lords e che consente la violazione di un’ampia gamma di diritti umani. La nuova legge ha concesso a un ministro del governo il potere senza precedenti di emanare «ordini di controllo» per la restrizione di libertà, movimento e attività di persone che sono state fatte apparire come legate al terrorismo, sempre in base a informazioni fornite dai servizi segreti. L’imposizione di «ordini di controllo» si è tradotta nella possibilità da parte del potere esecutivo di «incriminare», «processare» e «condannare» una persona al di fuori delle garanzie di equità processuale richieste dalla procedura penale.

Nel mese di marzo il governo ha emanato «ordini di controllo» nei confronti di persone internate in base alla precedente legislazione, sottoponendole così a gravi restrizioni e violando i loro diritti umani. In seguito sono stati emessi «ordini di controllo» anche per altre persone, tra cui almeno un cittadino britannico.

A giugno il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura (CPT) ha pubblicato un rapporto sulla visita compiuta in Gran Bretagna nel marzo 2004. Il Comitato ha rilevato che la detenzione stabilita dalla precedente legge anti-terrorismo (Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001- ACTSA) aveva provocato disordini psichici alla maggior parte delle persone internate, e che la loro salute era risultata ancor più deteriorata dal carattere indefinito della detenzione e dal non essere a conoscenza delle prove a loro carico. Il CPT ha ritenuto che le condizioni di alcuni internati al momento della visita erano assimilabili a trattamento inumano e degradante.

Sempre nel mese di giugno il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha reso pubblico il rapporto di una visita compiuta nel novembre 2004, in cui esprimeva preoccupazione per la PTA, per l’ammissione come prova nei processi di informazioni estorte con la tortura, per le condizioni carcerarie, per il trattamento dei richiedenti asilo, per l’età minima per la responsabilità penale, per la discriminazione e per la necessità di istituire inchieste pubbliche in grado di stabilire tutte le circostanze della presunta collusione dello Stato in casi di omicidio nell’Irlanda del Nord.

Ad agosto il Primo ministro ha proposto nuove misure per contrastare il terrorismo. La maggior parte di esse erano contrarie agli obblighi del Regno Unito secondo il diritto interno e internazionale in materia di tutela dei diritti umani e molte prendevano di mira i cittadini stranieri.

Il governo ha sottoscritto protocolli d’intesa con la Giordania, la Libia e il Libano, affermando che si poteva fare affidamento sulle «assicurazioni diplomatiche» contenute in tali protocollli per sollevare il Regno Unito dai propri obblighi interni e internazionali che proibiscono di trasferire un soggetto in un Paese in cui potrebbe essere a rischio di tortura o altri maltrattamenti.

Nel mese di agosto la maggior parte degli ex internati sono stati nuovamente arrestati e, insieme ad altri nuovi arrestati, sono stati imprigionati, per ragioni di sicurezza nazionale, ai sensi della legge sull’immigrazione in attesa di essere espulsi. Il governo ha sostenuto di poter trasferire forzatamente gli uomini arrestati grazie ai protocolli d’intesa. Gli arrestati sono stati rinchiusi in carceri lontano dalle famiglie, dagli avvocati e dai medici. Alcuni di essi erano stati recentemente prosciolti da un tribunale britannico da accuse collegate al terrorismo. A ottobre, in parte a causa delle loro condizioni fisiche e mentali gravemente deteriorate, alcuni degli ex internati sono stati rilasciati su cauzione e costretti agli arresti domiciliari.

Sempre a ottobre è stato reso noto un disegno di legge sul terrorismo le cui norme erano così ampie e imprecise che, nel caso in cui fossero entrate in vigore, avrebbero intaccato il diritto alle libertà di espressione, di associazione, di libertà personale e il diritto a un equo processo. A novembre il Parlamento ha respinto la proposta, contenuta nel disegno di legge, di estendere il periodo massimo di fermo di polizia senza accusa da 14 a 90 giorni, ma ha accettato di estenderlo a 28 giorni. In seguito, il disegno di legge è stato sottoposto a ulteriore esame da parte del Parlamento.

A dicembre il governo ha dovuto affrontare crescenti accuse secondo le quali le autorità avrebbero concesso agli Stati Uniti d’America di utilizzare il territorio britannico nell’ambito dei trasferimenti segreti di soggetti al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria (le cosiddette “consegne”) verso Paesi in cui, stando alle fonti, erano stati torturati e verso centri di detenzione statunitensi in varie parti del mondo.

Sparatorie della polizia

*A luglio, dopo che a Londra la polizia aveva ucciso il brasiliano Jean Charles de Menezes, un uomo disarmato che si stava recando al lavoro, l’avvio di un’indagine indipendente sull’episodio ha subito cruciali ritardi. Sono emerse prove che hanno fatto sorgere il sospetto dell’iniziale tentativo della polizia di insabbiare l’accaduto.

*A ottobre, la pubblica accusa ha deciso di non incriminare gli agenti di polizia coinvolti nell’omicidio di Harry Stanley, un uomo disarmato ucciso nel 1999 mentre camminava per una strada di Londra.

“Prove” estorte sotto tortura

Nel mese di dicembre, i sette Law Lords hanno confermato all’unanimità l’inammissibilità come prova agli atti processuali di informazioni estorte sotto tortura. Essi hanno anche stabilito che vi era l’obbligo di indagare se la tortura avesse avuto luogo e di estromettere qualsiasi prova nel caso in cui, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, si giungesse alla conclusione che questa fosse stata ottenuta ricorrendo alla tortura. AI ha coordinato una coalizione di 14 organizzazioni che sono intervenute congiuntamente sul caso.

Il caso era stato sollevato da 10 cittadini stranieri che le autorità britanniche avevano etichettato come «sospetti terroristi internazionali». In conseguenza del verdetto, i loro casi sono stati rimessi alla corte di prima istanza perché ne riconsiderasse le “prove”.

Guantánamo Bay

A gennaio sono stati rilasciati gli ultimi quattro cittadini britannici detenuti dagli Stati Uniti a Guantánamo Bay, Cuba. Tuttavia, almeno altri sette residenti nel Regno Unito hanno continuato a essere rinchiusi nella base americana, compresi Bisher al-Rawi, un cittadino iracheno regolarmente residente in Gran Bretagna, e Jamil Al-Banna, di nazionalità giordana e titolare dello status di rifugiato nel Regno Unito. Le autorità britanniche erano implicate nella loro illegittima consegna alla custodia degli Stati Uniti e hanno continuato a rifiutarsi di contestare alle autorità statunitensi la loro detenzione.

*Nel mese di dicembre un tribunale britannico ha stabilito che David Hicks, un cittadino australiano detenuto a Guantánamo Bay, aveva il diritto di essere registrato come cittadino britannico e, pertanto, di ricevere assistenza dalle autorità del Regno Unito.

Forze armate britanniche in Iraq

Per il ruolo svolto nell’internamento senza accusa di almeno 10.000 persone in Iraq, il Regno Unito ha violato la normativa internazionale e interna sulla tutela dei diritti umani. Funzionari britannici, insieme a loro pari statunitensi e iracheni, hanno fatto parte del Consiglio congiunto per la revisione della detenzione, che ha esaminato i casi di tutte le persone internate da membri della forza multinazionale in Iraq (in larga parte da truppe statunitensi). A fine ottobre, le stesse truppe britanniche detenevano in Iraq senza accusa né processo 33 «internati per motivi di sicurezza».

*Hilal Abdul-Razzaq Ali Al-Jedda, dalla doppia cittadinanza irachena e britannica, arrestato nell’ottobre 2004, ha continuato a essere detenuto senza accusa in Iraq dalle forze britanniche.

*Nel mese di dicembre la Corte d’Appello per l’Inghilterra e il Galles, in merito al caso di Al-Skeini, ha sentenziato che, in linea di principio, la legge sui diritti umani del 1998 aveva effetto anche al di fuori del territorio del Regno Unito e che il sistema per indagare sui decessi di persone detenute dalle forze armate britanniche era gravemente deficitario, in particolare per la sua mancanza di indipendenza dall’ufficiale di comando.

Rifugiati e richiedenti asilo

È proseguita in Parlamento la discussione del nuovo disegno di legge su immigrazione, asilo e cittadinanza. Se promulgate, le norme previste dal disegno di legge indebolirebbero uno degli scopi fondamentali della Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, ovvero quello di garantire protezione alle persone che cercano asilo per sfuggire a persecuzioni politiche.

Un sempre maggior numero di persone che cercavano asilo nel Regno Unito sono state detenute ai sensi delle norme previste dalla legge sull’immigrazione all’inizio o al termine del processo di richiesta di asilo. Tra i detenuti vi erano famiglie con bambini, persone sopravvissute alla tortura e altre persone vulnerabili. Sono stati rinchiusi in pessime strutture simili a prigioni e alcuni hanno lamentato di essere stati oggetto di insulti razzisti e di altra natura durante la detenzione.

Per tale tipo di detenzione non era prevista una durata massima e nemmeno un esame automatico e regolare da parte di un tribunale o analogo organo competente sulla legittimità della decisione di detenere tali persone. Nella maggioranza dei casi la detenzione è stata arbitraria mentre sarebbero state sufficienti altre misure diverse dalla detenzione.

Carceri

Martin Narey, direttore generale uscente del servizio degli istituti di pena e di libertà vigilata, ha criticato l’aumento senza precedenti della popolazione carceraria, che ha provocato un grave sovraffollamento. Egli ha anche definito «disgustoso» il fatto che circa 16.000 detenuti fossero costretti a usare il gabinetto nella stessa cella in cui consumavano i pasti. Il numero di suicidi ha continuato a essere elevato.

Legge sulle inchieste

Nel mese di giugno è entrata in vigore la legge sulle inchieste (Inquiries Act 2005), che ha indebolito lo Stato di diritto, l’indipendenza della magistratura e la tutela dei diritti umani. La sua adozione non è riuscita a garantire lo svolgimento di inchieste giudiziarie pubbliche efficaci, indipendenti, imparziali o esaurienti in merito a gravi violazioni dei diritti umani. AI ne ha chiesto l’abrogazione.

Irlanda del Nord

Per tutto l’anno è proseguito il governo diretto delle autorità centrali. A dicembre la pubblica accusa ha ritirato tutte le imputazioni nel processo penale che, nell’ottobre 2002, aveva accelerato lo scioglimento dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord e riportato la conduzione diretta del Paese sotto il governo centrale britannico. Poco tempo dopo, una delle persone che aveva beneficiato del ritiro delle accuse, un esponente di spicco del partito Sinn Féin, ha pubblicamente confessato di essere un agente britannico.

Collusione e omicidi politici

Ai sensi della legislazione sull’Irlanda del Nord, durante l’anno sono state avviate tre diverse inchieste giudiziarie pubbliche sulle denunce di collusione dello Stato negli omicidi di Robert Hamill, Billy Wright e Rosemary Nelson. Tuttavia, nel mese di novembre il Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord ha declassato l’inchiesta sul caso di Billy Wright sottoponendola alle norme della nuova legge sulle inchieste (e non più alla legislazione sull’Irlanda del Nord), una mossa alla quale AI si è opposta.

Il governo ha affermato di essere in procinto di avviare, ai sensi della legge sulle inchieste, un’inchiesta sull’omicidio del noto avvocato e attivista per i diritti umani Patrick Finucane, avvenuto nel 1989. Inoltre ha aggiunto che era probabile che gran parte delle prove sarebbero state esaminate privatamente poiché riguardavano temi che erano «al cuore delle infrastrutture della sicurezza nazionale in Irlanda del Nord». AI ha denunciato come una mistificazione la prospettiva di un’inchiesta sul caso Finucane condotta secondo la nuova legge sulle inchieste.

Eredità del passato

Il governo ha intrapreso due iniziative illustrate come misure volte ad affrontare l’eredità degli abusi dei diritti umani commessi in passato. Nel mese di aprile è stato istituito un Gruppo di inchiesta storica (Historical Enquiry Team – HET) allo scopo di affidare al servizio di polizia dell’Irlanda del Nord l’incarico di indagare su casi irrisolti di decessi motivati dal conflitto nordirlandese, scelta che ha sollevato preoccupazione in merito alla mancanza di indipendenza nelle indagini. A novembre è stato presentato in Parlamento un disegno di legge per i reati in Irlanda del Nord che, qualora entrasse in vigore, sancirebbe l’impunità per gli abusi dei diritti umani commessi in passato da agenti statali e forze paramilitari, e priverebbe le vittime della possibilità di effettivo risarcimento. Alla luce di tale disegno di legge, sono stati espressi timori sull’utilità del Gruppo di inchiesta storica.

Abusi commessi da attori non statali

Non sono cessati gli abusi commessi da organizzazioni paramilitari, comprese uccisioni, sparatorie e percosse. Sette omicidi sono stati attribuiti a membri di gruppi lealisti, due a gruppi repubblicani e uno ha fatto pensare al coinvolgimento di lealisti.

*Nel mese di gennaio è stato ucciso il cattolico Robert McCartney e un altro uomo è stato gravemente ferito durante la stessa aggressione. Secondo la polizia, l’aggressione è stata compiuta da esponenti dell’Esercito repubblicano irlandese provvisorio (Provisional Irish Republican Army), sebbene l’organizzazione non abbia rivendicato l’episodio. Nel tentativo di ottenere giustizia, la famiglia McCartney e i suoi sostenitori hanno ricevuto intimidazioni e minacce. A giugno due persone sono state incriminate per l’aggressione.

*Nel mese di marzo Stephen Nelson è morto a causa delle ferite riportate in un’aggressione avvenuta nel settembre 2004. La Commissione indipendente di controllo ha attribuito la sua morte a membri dell’organizzazione paramilitare lealista Associazione per la difesa dell’Ulster (Ulster Defence Association).

Violenza sulle donne

Un sondaggio d’opinione commissionato dalla sezione britannica di AI sugli atteggiamenti verso la violenza sessuale contro le donne ha rivelato quanto siano diffusi nel Regno Unito modi di pensare discriminatori e stereotipati. In media due donne alla settimana vengono uccise dall’attuale o dall’ex compagno. Il Regno Unito ha continuato a presentare percentuali di condanna molto basse per il reato di stupro, poiché soltanto il 5,6% degli stupri denunciati alla polizia hanno comportato la condanna del responsabile.

 

 

Stati Uniti d'America

Stati Uniti d’America

Capo di Stato e di governo: George W. Bush
Pena di morte: mantenitore
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: firmato, tuttavia senza intenzione di ratifica
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmata
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato

Migliaia di detenuti hanno continuato a essere trattenuti sotto la custodia degli Stati Uniti senza accusa né processo in Iraq, Afghanistan e nella base navale di Guantánamo Bay a Cuba. Sono giunte notizie riguardanti centri di detenzione segreti gestiti dal governo statunitense situati in località sconosciute dove i reclusi sarebbero stati arrestati in circostanze simili a quelle che caratterizzano le “sparizioni”. Decine di detenuti di Guantánamo hanno intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro il duro trattamento ricevuto e la mancanza di accesso a tribunali indipendenti; secondo quanto riportato, alcuni di loro versavano in gravi condizioni di salute. Sono giunte notizie di decessi durante la detenzione, torture e maltrattamenti perpetrati dalle forze statunitensi in Iraq, in Afghanistan e a Guantánamo. Nonostante l'esistenza di prove secondo cui il governo aveva avallato tecniche di interrogatorio assimilabili a tortura o maltrattamenti e “sparizioni”, nessun funzionario o militare ai più alti livelli è stato chiamato a risponderne, anche nel caso di possibili responsabili di crimini di guerra o crimini contro l’umanità. Sono stati celebrati diversi processi a carico di soldati di basso rango accusati di abusi, ma nella maggior parte dei casi le pene comminate sono state miti. Sono stati registrati casi di brutalità e uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia negli Stati Uniti. Sessantuno persone hanno perso la vita dopo essere state colpite da scariche di taser in uso alle forze dell’ordine, segnando un notevole incremento rispetto agli anni passati. Sessanta persone sono state messe a morte portando il numero complessivo delle esecuzioni a oltre 1.000 da quando queste furono ripristinate nel 1977.

Guantánamo Bay

A fine anno, circa 500 prigionieri provenienti da 35 Paesi continuavano a essere detenuti senza accusa né processo nella base navale statunitense a Guantánamo Bay, Cuba. La maggioranza dei reclusi erano stati catturati durante l’intervento militare internazionale in Afghanistan nel 2001 e trattenuti in quanto sospettati di avere legami con al-Qaeda o il deposto governo talebano. Almeno due delle persone imprigionate avevano meno di 16 anni al momento della cattura.

La legislazione approvata a dicembre (legge sul trattamento dei detenuti del 2005) ha revocato il diritto dei detenuti di Guantánamo di presentare istanze di habeas corpus presso corti federali statunitensi contro la loro detenzione o trattamento, permettendo soltanto limitati appelli contro le decisioni dei Tribunali di revisione dello status di combattente (vedi oltre) e delle commissioni militari. La legislazione ha messo in discussione il futuro di circa 200 casi in corso in cui i detenuti avevano presentato ricorso contro la loro detenzione in seguito a una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2004 che aveva decretato il loro diritto a presentare tali ricorsi.

A marzo, i Tribunali di revisione dello status di combattente (CSRT), commissioni amministrative istituite dal governo nel 2004, hanno reso noto che il 93% dei 554 detenuti esaminati erano da considerarsi a tutti gli effetti “combattenti nemici”. I detenuti non avevano un rappresentante legale e molti di loro hanno rinunciato a partecipare alle udienze dei CSRT, che potevano avvalersi di prove segrete e di testimonianze estorte sotto tortura.

Nel mese di agosto, un imprecisato numero di reclusi ha ripreso lo sciopero della fame già iniziato a giugno per protestare contro la perdurante mancanza di accesso a una corte indipendente e contro le dure condizioni di detenzione, che sarebbero state caratterizzate anche da violenze e pestaggi. Più di 200 detenuti avrebbero partecipato almeno a una fase della protesta, sebbene il Dipartimento della difesa abbia dichiarato che il loro numero era di gran lunga inferiore. Diversi detenuti hanno denunciato di essere stati vittime di aggressioni fisiche e verbali mentre venivano alimentati a forza. Alcuni hanno riportato lesioni causate dall’inserimento brutale di cannule e tubi nel naso. Il governo ha negato qualsiasi maltrattamento. A fine anno lo sciopero della fame era ancora in corso.

A novembre tre esperti in diritti umani delle Nazioni Unite hanno declinato l’offerta di visitare la base di Guantánamo presentata dal governo degli Stati Uniti, poiché quest’ultimo aveva posto restrizioni contrastanti con quanto normalmente stabilito dagli standard internazionali in materia di ispezioni di questo tipo.

Commissioni militari

A novembre la Corte Suprema degli Stati Uniti si è pronunciata riguardo al caso di Salim Ahmed Hamdan, accettando di prendere una decisione riguardo alla legalità delle commissioni militari, istituite con un ordine presidenziale allo scopo di processare i sospetti terroristi provenienti da altri Paesi. Tuttavia, altri cinque detenuti di Guantánamo sono stati destinati a essere processati dalle commissioni, che sono organi esecutivi e non corti imparziali e indipendenti, portando così a nove il numero dei detenuti designati a essere giudicati dalle commissioni militari. Il governo ha fissato udienze preliminari per due degli imputati. Uno di loro è Omar Khadr, il quale aveva solo 15 anni al momento dell’arresto e le cui condizioni psicologiche e fisiche, a causa dei presunti maltrattamenti, hanno continuato a essere motivo di preoccupazione.

Detenzioni in Iraq e Afghanistan

Nel corso dell’anno migliaia di “internati di sicurezza” sono stati trattenuti dalle forze statunitensi in Iraq senza accusa né processo. Sono state approvate normative che prevedono il rilascio dei reclusi o il loro trasferimento al sistema giudiziario iracheno entro 18 mesi dall’arresto, ma che consentono alle autorità militari statunitensi il diritto di continuare a trattenere a tempo indefinito i sospetti qualora vengano riscontrate “perduranti e imperanti esigenze di sicurezza”. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha visitato i detenuti nei campi di internamento e nelle carceri, ma non quelli custoditi subito dopo la cattura nelle strutture detentive gestite da divisioni o brigate militari statunitensi.

In Afghanistan, centinaia di detenuti sono rimasti trattenuti nella base aerea statunitense di Bagram senza accusa né processo e senza poter accedere a familiari o legali, alcuni da oltre un anno. Sebbene l’ICRC abbia potuto accedere ai detenuti di Bagram, non è stato invece possibile visitare i detenuti in un imprecisato numero di basi operative statunitensi. Sono stati riferiti maltrattamenti in tali strutture, con detenuti che venivano denudati durante gli interrogatori e altri privati del cibo e del sonno.

Detenzioni in località sconosciute

Sono pervenute continue notizie riguardanti l’esistenza di una rete di strutture segrete di detenzione gestite dalla Central Intelligence Agency (CIA) in vari Paesi. Secondo le denunce, tali strutture tratterrebbero persone in incommunicado, al di fuori della tutela di legge, in circostanze assimilabili alla pratica delle “sparizioni”. Tre detenuti yemeniti hanno raccontato ad AI di essere stati tenuti in isolamento tra 16 e 18 mesi in tre diverse strutture detentive apparentemente gestite dagli Stati Uniti in località sconosciute. I loro racconti hanno suggerito che tali detenzioni non fossero limitate a un ristretto numero di detenuti “di rilievo” come ritenuto in precedenza. Nel mese di novembre il Consiglio d’Europa ha aperto un’inchiesta sulla rete di prigioni segrete gestite dagli Stati Uniti, comprese quelle che si troverebbero nell’Europa Orientale. Le autorità degli Stati Uniti si sono rifiutate di negare o confermare le accuse.

Si sono moltiplicate le denunce riguardanti il coinvolgimento degli Stati Uniti nei trasferimenti illegali segreti di detenuti tra differenti Paesi, pratica che li espone al rischio di subire torture e maltrattamenti.

Tortura e maltrattamenti al di fuori degli Stati Uniti

Sono emerse nuove prove di torture e maltrattamenti ai danni dei detenuti a Guantánamo, in Afghanistan e in Iraq, abusi perpetrati sia prima sia dopo lo scandalo della prigione di Abu Ghraib, venuto alla luce nell’aprile 2004. Sono state pubblicate nuove informazioni riguardanti le tecniche di interrogatorio ufficialmente approvate dal governo in diversi periodi della “guerra al terrore”, tra cui il ricorso ai cani per suscitare paura, l’assumere posizioni da sforzo, l’esposizione a temperature estremamente calde o fredde, la privazione del sonno e l’isolamento.

I vertici della catena di comando hanno continuato a non essere chiamati a rispondere degli abusi. Nel rapporto finale redatto dall’Ispettore generale della Marina, viceammiraglio Church, sulle procedure di interrogatorio adottate dal Dipartimento della difesa in tutto il mondo, il cui sunto è stato reso noto a marzo, non è stato riscontrato «alcun legame tra le tecniche di interrogatorio approvate e gli abusi ai danni dei detenuti». L’inchiesta Church è stata stilata senza che un solo detenuto o ex recluso fosse sentito e senza interpellare in materia il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Nessuna inchiesta è stata aperta sull’operato della CIA, le cui attività hanno continuato a essere avvolte nella segretezza.

Nel mese di marzo, l’esercito degli Stati Uniti ha reso noto che 27 decessi in custodia, avvenuti durante operazioni di sicurezza, catture o nel corso della detenzione, erano stati catalogati come omicidi, confermati o sospetti. Alcuni di questi casi erano ancora sotto inchiesta, mentre altri sono stati trasferiti ad altri organi governativi o predisposti per il rinvio a giudizio.

Secondo altre fonti, come i verbali delle indagini, le trascrizioni dei procedimenti giudiziari e i referti delle autopsie hanno fatto emergere con forza come alcuni dei detenuti fossero deceduti in seguito alle torture subite durante gli interrogatori. Sono state riscontrate prove di come ritardi e lacune nelle indagini abbiano ostacolato il perseguimento dei responsabili degli abusi.

A marzo, l’Unione americana per le libertà civili (ACLU) e l’associazione Human Rights First hanno presentato una causa in sede federale per conto di otto uomini che erano stati torturati e maltrattati all’interno di strutture di detenzioni statunitensi in Iraq e Afghanistan. La richiesta di procedimento, ancora in corso a fine anno, chiamava in causa direttamente il segretario Rumsfeld per violazione delle leggi statunitensi e internazionali e richiedeva anche il risarcimento dei danni subiti dalle vittime.

Nel corso dell’anno, sono stati celebrati diversi processi nei confronti di militari statunitensi accusati di abusi sui prigionieri, nella maggioranza dei casi gli imputati erano soldati di grado inferiore. Molti hanno ricevuto condanne che non rispecchiavano la gravità dei reati.

A marzo, il governo ha revocato un documento del Gruppo di lavoro del Pentagono sugli interrogatori dei detenuti del 2003, nel quale si affermava, tra le altre cose, che il presidente aveva l’autorità di ignorare i divieti internazionali contro la tortura nel corso di operazioni militari. A novembre il Pentagono ha approvato una nuova direttiva sugli interrogatori che avrebbe consentito alle forze armate di pubblicare una lungamente attesa revisione del manuale operativo. La direttiva stabilisce che «gli atti di tortura fisica o mentale sono proibiti», ma richiede solo genericamente che i detenuti siano trattati umanamente «in conformità con le leggi e le politiche applicabili». A dicembre l’Esercito ha annunciato che avrebbe stilato un nuovo elenco classificato delle tecniche di interrogatorio ammesse che sarebbe stato allegato al nuovo Manuale operativo dell’Esercito. Nonostante nel manuale siano espressamente vietati durante li interrogatori il ricorso a cani, la privazione del sonno, il denudamento, la costrizione a posizioni da stress per lunghi periodi, permane il timore che nell’elenco classificato siano ancora incluse tecniche equiparabili ad abusi.

A dicembre il Congresso ha approvato una legge che proibisce ogni forma di trattamento crudele, inumano o degradante nei confronti di persone in custodia o sotto il controllo del governo degli Stati Uniti in ogni parte del mondo. Tuttavia, il presidente Bush, nel controfirmare la legge, ha allegato una nota che di fatto conferisce all’esecutivo il diritto di ignorare quanto stabilito dalla legge stessa per motivi di sicurezza nazionale.

*Ad agosto e settembre sono stati celebrati i processi davanti a una corte marziale a carico di soldati statunitensi accusati degli abusi nei confronti di due detenuti afghani, Dilawar e Habibullah, che morirono in seguito alle ferite multiple riportate mentre venivano interrogati in celle d’isolamento nella base aerea di Bagram nel dicembre 2002. Alla data di dicembre, sette militari di grado inferiore erano stati condannati a pene variabili dai cinque mesi di carcere alla degradazione, la perdita della paga e il rimprovero. Nessuno di loro è stato ritenuto responsabile di reati gravi come tortura o altri crimini di guerra.

Detenzione di “combattenti nemici” negli Stati Uniti

*Nel mese di novembre Jose Padilla, un cittadino statunitense detenuto in una prigione militare da oltre tre anni senza accusa, è stato formalmente incriminato da un tribunale federale assieme ad altre quattro persone di cospirazione finalizzata all’omicidio di cittadini statunitensi all’estero e di sostegno al terrorismo. I reati contestati non includevano il tentativo di far esplodere una “bomba nucleare sporca” in una città degli Stati Uniti, accusa per la quale era stato originariamente arrestato. Il Dipartimento di giustizia ha chiesto alla Corte d’appello federale l’autorizzazione di trasferire Padilla in una prigione federale, ma la Corte si è espressa in modo contrario e ha emesso un’ordinanza con cui richiedeva al governo e alla difesa di presentare i propri pareri sull’eventuale annullamento di una precedente sentenza della stessa corte che garantiva la facoltà al presidente degli Stati Uniti di detenere indefinitamente Padilla in quanto “combattente nemico”. A fine anno la questione non era ancora stata risolta.

*Ali Saleh Kahlah al-Marri, cittadino del Qatar ha continuato a rimanere in un carcere militare senza accusa né processo perché ritenuto un “combattente nemico”. Ad agosto era stata presentata un’istanza a suo favore in cui si lamentavano i suoi gravi problemi psicofisici causati dal trattamento subito che comprendeva la privazione del sonno e degli stimoli sensoriali, l’incatenamento punitivo, l’esposizione al freddo e l’assistere al vilipendio del Corano.

Prigionieri di coscienza

*A luglio, Kevin Benderman, un sergente dell’esercito degli Stati Uniti, è stato condannato a 15 mesi di reclusione per essersi rifiutato di ritornare in Iraq a causa della sua obiezione di coscienza maturata durante un primo periodo di servizio nel Paese. La sua richiesta di riconoscimento dello status di obiettore di coscienza era stata rifiutata in quanto la sua obiezione non riguardava la guerra in generale, ma una in particolare.

*Camilo Mejia Castillo, Abdullah Webster e Pablo Paredes, tre ex militari imprigionati per obiezione di coscienza al servizio in Iraq, sono stati rilasciati nel corso dell’anno.

Processo a carico di Ahmed Omar Abu Ali

Nel mese di novembre, Ahmed Omar Abu Ali, un cittadino statunitense, è stato riconosciuto colpevole di cospirazione finalizzata a compiere atti di terrorismo. La correttezza del processo è stata inficiata dal fatto che la giuria si era rifiutata di esaminare prove a sostegno delle denunce presentate da Ahmed Abu Ali secondo cui la sua confessione filmata, la principale prova a carico presentata dall’accusa, era stata estorta sotto tortura in Arabia Saudita. Secondo quanto affermato dallo stesso Ahmed Abu Ali, membri dei servizi segreti del ministero degli Interni saudita (al-Mabahith al-Amma) lo avevano frustato e minacciato di morte mentre era trattenuto in incommunicado in Arabia Saudita nel 2003. Nel corso del procedimento, l’accusa si è avvalsa di dichiarazioni riguardanti il trattamento dei detenuti rilasciate da funzionari sauditi allo scopo di confutare le denunce di Ahmed Abu Ali, mentre gli avvocati difensori non hanno potuto presentare alcuna documentazione sul rispetto dei diritti umani e sul ricorso alla tortura in Arabia Saudita.

Maltrattamenti e uso eccessivo della forza

Sono pervenute continue segnalazioni di maltrattamenti e decessi in custodia legati all’utilizzo di taser, dispositivi che impartiscono scosse elettriche in dotazione a oltre 7.000 tra dipartimenti di polizia e istituti di detenzione.

Sessantuno persone sono morte dopo essere state colpite con taser dalla polizia, portando a 142 il numero totale di decessi di questo tipo dal 2001. I medici legali hanno riscontrato che i taser avrebbero direttamente portato o avrebbero contribuito alla morte di almeno 10 persone nel corso dell’anno, facendo così accrescere i timori riguardo alla sicurezza di tali armi.

Secondo quanto riferito, la maggior parte delle vittime erano disarmate e non sembravano porre serie minacce nel momento in cui sono state colpite dalla scossa del taser. In molti casi le scosse impartite sono state multiple o prolungate, atti potenzialmente nocivi come sottolineato anche da uno studio preliminare diffuso nel mese di aprile dal Dipartimento della difesa.

Diversi dipartimenti di polizia hanno sospeso l’uso di taser e altri ne hanno limitato le possibilità di utilizzo. Tuttavia la maggioranza dei reparti delle forze dell’ordine continuano a ricorrere ai taser in un’ampia varietà di circostanze, come ad esempio quando una persona disarmata oppone resistenza all’arresto o si rifiuta di obbedire agli ordini degli agenti. Anche persone con problemi mentali o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, minorenni e anziani sono stati colpiti dalle scosse elettriche di taser.

AI ha rinnovato la richiesta alle autorità degli Stati Uniti di sospendere l’utilizzo e la vendita di taser e di altre armi a scossa elettrica in attesa che venga condotta un’inchiesta indipendente sul loro utilizzo e sui loro effetti.

*A febbraio, in Florida, la polizia ha colpito con un taser una ragazza tredicenne che era venuta alle mani con la propria madre. La ragazzina era ammanettata sui sedili posteriori dell’auto degli agenti quando è stata colpita dalla scarica elettrica.

*Sempre a febbraio, un ragazzo disabile mentale di 14 anni ha avuto un arresto cardiaco dopo essere stato colpito da un taser a Chicago, in Illinois. Il ragazzo era seduto su un divano in una casa di cura e, secondo i poliziotti, avrebbe tentato di alzarsi in piedi «con un atteggiamento aggressivo». I medici che lo hanno soccorso, hanno affermato che le scosse avevano causato una grave alterazione del ritmo cardiaco che avrebbe condotto il ragazzo alla morte se non fosse stato rianimato immediatamente sul posto.

*Il diciassettenne Kevin Omar è entrato in coma dopo essere stato colpito per tre volte con un taser dalla polizia di Waco, in Texas. Il giovane è deceduto due giorni dopo. Gli agenti erano intervenuti poiché il ragazzo, sotto l’effetto di droghe, si stava comportando in maniera bizzarra. Il medico legale ha affermato di ritenere che il taser avesse contribuito al decesso della vittima.

Abusi ai danni di lesbiche, gay, bisessuali e transgender

Nel mese di settembre la sezione statunitense di AI ha pubblicato un rapporto intitolato Stonewalled: police abuse and misconduct against lesbian, gay, bisexual and transgender people in the United States. Il documento sottolinea come, nonostante vi sia un completo riconoscimento dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT), molti di loro sono vittime di trattamenti discriminatori e aggressioni fisiche e verbali da parte della polizia. All’interno della comunità LGBT, transgender, persone di colore, giovani, immigrati, senzatetto e lavoratori del mercato del sesso sono tra le persone maggiormente esposte al rischio di abusi. Il rapporto mette in luce anche il fatto che spesso gli agenti non intervengono adeguatamente nei casi di reati motivati dall’odio o di violenza domestica ai danni di lesbiche, gay, bisessuali e transgender.

Pena di morte

Nel corso dell’anno, sono state messe a morte 60 persone, portando il numero complessivo delle esecuzioni a 1.005 da quando queste furono ripristinate nel 1977, al termine di un periodo di moratoria. Due reclusi sono stati rilasciati dal braccio della morte dopo essere stati riconosciuti innocenti. Dal 1973, sono stati 122 gli innocenti liberati dal braccio della morte.

Il 1° marzo, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha vietato le esecuzioni dei condannati che avevano meno di 18 anni al momento del reato, portando gli Stati Uniti in linea con gli standard internazionali in materia. Dal 1977 erano stati messi a morte 22 minorenni al momento del reato.

Sono continuate le esecuzioni di persone affette da malattie e disturbi mentali, di prigionieri a cui era stata negata un’adeguata rappresentanza legale e di persone nei cui casi era stata contestata la regolarità delle prove a carico.

*Troy Kunkle è stato messo a morte il 25 gennaio in Texas, nonostante soffrisse di gravi disturbi mentali, compresa la schizofrenia, i cui relativi referti non erano stati presentati alla giuria che aveva emesso la sentenza di morte. Kunkle aveva da poco compiuto 18 anni all’epoca del reato e nell’infanzia aveva sofferto di abusi e privazioni.

*Frances Newton è stata messa a morte in Texas il 14 settembre nonostante persistessero diversi dubbi sulla fondatezza della sua condanna. La donna era stata riconosciuta colpevole sulla base di prove indiziarie e si era sempre proclamata innocente.

L’uragano Katrina

Nel mese di agosto, l’uragano Katrina ha devastato la Louisiana uccidendo più di 1.000 persone e lasciandone altre centinaia di migliaia senza casa, accampate in luoghi di fortuna senza cibo, acqua pulita e cure mediche. Il disastro umanitario ha suscitato ira nell’opinione pubblica per l’operato del governo federale, accusato di aver risposto all’emergenza in modo lento.

Secondo le denunce, decine di detenuti della prigione municipale di New Orleans sono stati abbandonati dalle guardie dopo l’uragano. Secondo quanto riportato, i prigionieri sono rimasti rinchiusi nelle celle per giorni senza cibo né acqua, mentre il livello dell’inondazione stava crescendo. Secondo alcune notizie, negate dalle autorità della Louisiana, alcuni reclusi sarebbero affogati. AI ha sollecitato l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto e sulle denunce riguardanti possibili maltrattamenti avvenuti nel corso dell’evacuazione dei detenuti, richiedendo alle autorità di rendere conto di ogni prigioniero.

Altre preoccupazioni

Nel mese di ottobre AI e Human Rights Watch hanno pubblicato uno studio congiunto intitolato The Rest of Their Lives: Life without Parole for Child Offenders in the United States nel quale viene messo in luce come negli Stati Uniti almeno 2.225 minorenni al momento del reato stiano scontando condanne all’ergastolo senza possibilità di essere scarcerati sulla parola. Condanne di questo tipo riguardanti minorenni sono vietate dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia, firmata, ma non ratificata dagli Stati Uniti. Nei casi esaminati nel rapporto, il 16% degli imputati aveva un’età compresa tra 13 e 15 anni al momento del reato e per il 59% si trattava della prima condanna. Molti sono stati condannati per aver preso parte a un crimine conclusosi con un omicidio, ma in assenza di prove dirette del loro coinvolgimento nello stesso. Il rapporto ha sollecitato le autorità statunitensi a impedire le sentenze a vita senza libertà sulla parola per i minorenni e a consentire ai minorenni che stanno scontando pene di questo genere l’accesso immediato alle procedure legali per ottenere il rilascio sulla parola.

Nel mese di luglio Daniel Strauss e Shanti Sellz, due volontari dell’associazione No More Deaths, sono stati fermati da una pattuglia della guardia di confine mentre stavano prestando aiuto nel deserto dell’Arizona a tre migranti messicani che necessitavano di cure mediche urgenti. Gli attivisti sono stati accusati di reati collegati all’immigrazione clandestina passibili fino a 15 ani di carcere. Ogni anno centinaia di migranti irregolari o privi di documenti perdono la vita nel deserto cercando di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti, soprattutto a causa delle elevate temperature che in Arizona arrivano ai massimi livelli proprio nel mese di luglio. AI ha chiesto che le accuse fossero archiviate in quanto i volontari non stavano aiutando gli immigrati a eludere i controlli, ma cercavano unicamente di salvare loro la vita.