Cuba, il
talento generazionale
nei guantoni
Da Stevenson a Savon fino ai giovani
campioni di oggi,
la migliore scuola della boxe
dilettantistica
M.Perisse 29 marzo 2006
«Ammiro i pugili cubani perché sanno di
combattere per un paese sotto embargo - ha detto una volta l'ex-campione del
mondo dei massimi versione Wbo Michael Bentt - e quando salgono sul ring è un
modo per dire: siamo bravi come voi, pur senza tutte le vostre risorse». Prima
di passare al professionismo, il britannico Bentt fu sconfitto un paio di volte
nel giro di poche settimane dall'erede di Teofilo Stevenson, lo statuario Felix
Savon. Stevenson consegnò il testimone al più giovane pugile ai campionati del
mondo del 1986, quando Savon, a 19 anni, vinse il primo dei suoi titoli mondiali
nella categoria dei massimi (ripetuto nell'89, '91, '93, '95 e '97), mentre
Teofilo si coronava, in quel torneo, campione dei supermassimi. Stevenson stesso
ha raccontato a Roma i suoi allenamenti (e le «bacchettate»: ovvero knock down)
che fu costretto ad infliggere al neopupillo del leggendario Alcides Sagarra per
tenere a bada la foga del suo successore, al quale veniva passata - da una
generazione all'altra - la bandiera della scuola di boxe più talentuosa del
mondo. Savon ha calcato le orme del suo maestro Teofilo: come lui ha vinto 3
titoli olimpici (un'impresa riuscita solo a tre pugili nella storia: oltre ai
due cubani, al grande ungherese Làszlo Papp) a Barcellona, Atlanta e Sidney;
come Teofilo avrebbe potuto vincerne di più, sicuramente l'oro di Seul '88 -
dove sarebbe sbarcato superfavorito: era campione del mondo in carica - al quale
non partecipò per il boicottaggio di Cuba, come del resto era capitato a Teofilo
in occasione delle Olimpiadi di Los Angeles; e come il grande Stevenson, anche
Savon rifiutò sempre le sirene del professionismo. Fra i pesi massimi da lui
sconfitti che sono divenuti professionisti figurano nomi di tutto rispetto:
Shannon Briggs, David Tua e soprattutto il polacco Andrzej Golota, al quale solo
verdetti casalinghi negli Usa hanno negato la soddisfazione e il merito di
diventare campione del mondo pro della categoria. Del resto Savon ha chiuso la
sua carriera con un curriculum di 358 vittorie contro 17 sconfitte malgrado una
pretesa «mascella fragile»; pugile altamente tecnico, ha perfettamente
impersonato la continuità di una grandissima scuola: gancio, jab, velocità,
potenza. E determinazione. Per dirla con Bentt, che fu sconfitto da Savon ai
Giochi Panamericani del '97, «sul ring i cubani mettono paura, sono
psicologicamente molto forti e in questo sport rimanere intimiditi
dall'avversario significa già essere in suo potere ». Talento, tecnica, scuola e
organizzazione di primissimo livello, motivazione. Un mix che ha portato Cuba a
dominare la scena mondiale della boxe non professionistica degli ultimi 30 anni.
Senza scontare alcuna flessione tecnico-competitiva nel corso delle diverse
stagioni di embargo economico che si susseguite fino ad oggi. Conservando
orgogliosamente l'idea che lo sport è un bene sociale, il piccolo paese dei
Caraibi ha mantenuto una straordinaria continuità della sua eccellenza sul
quadrato trasferendola di generazione in generazione per consacrarsi come il
modello vincente del pugilato dilettantistico. E' dunque notevole e
assolutamente felice la scelta della Federazione Pugilistica Italiana di aver
promosso la serie di stages per tecnici, maestri e pugili italiani in corso dal
15 marzo e fino al 1 aprile con la selezione cubana juniores nelle città di
Milano, Firenze, Roma e Napoli: e tra i sei ragazzi cubani in Italia - Albert
Portuondo, Yordan Frometa, Adrian Gonzalez, Julio Jglesias, Luis Garcia e Marx
R. Munos - i tecnici Pedro Roque e Jesus Jus Polire possono vantare già ben due
campioni del mondo cadetti a Liverpool 2005: Frometa nella categoria dei 57kg. e
Jglesias in quella dei 69kg.
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