Pinar Del Rio — Sono approssimativamente le otto del mattino
di
lunedì 25 dicembre, quando combattenti delle Truppe della
guardia frontiera, di servizio nell'insenatura di Los Cocos, a
circa 10 chilometri da Cabo Frances, scorgono un'imbarcazione
che naviga da est ad ovest.
E' in evidente difficoltà, per questo comunicano quanto
osservato al comando superiore e si dispone a prestare aiuto in
tutto il possibile. La lancia, di circa sei metri di lunghezza
per due di larghezza, con 11 uomini a bordo, s'infila
direttamente verso il faraglione in mezzo ad una gran ondosità.
Alcuni dell'equipaggio chiedono il luogo più appropriato per
sbarcare ma questo posto lì non esiste. Tentano di approfittare
di un'alta onda che li porti su fino ad una specie di scalino,
dove potrebbero calarsi sulla roccia ma solo uno ci riesce.
Gli altri cadono in acqua dopo che la malconcia imbarcazione si
é rovesciata ed é affondata. Da terra, i combattenti iniziano il
lavoro di salvataggio coi mezzi a disposizione. Tirano quanto
possa servire per mantenersi a galla e danno loro orientazioni
per la sopravvivenza.
Ma il mare é agitato, vari dei naufragi sono trascinati dalle
correnti e dispersi per l'area. Arriva una lancia dei Guardia
frontiere e più tardi un elicottero delle Forze Armate
Rivoluzionarie che, anche in condizioni difficili, completano il
riscatto di nove uomini. I due restanti saranno dati per
despersi dopo ore di infruttuosa ricerca.
Vittime di una strampalata avventura
Ventiquattro ore dopo, nell'Unità Provinciale Operativa del
Ministero dell'Interno, conosciamo il bilancio preliminare
dell'investigazione in atto. Dei nove redenti, sei sono di Città
di L'Avana e tre della Provincia di L'Avana.
Uno degli scomparsi è conosciuto per Adalberto, "el guajiro", di
Camagüey e dell'altro si sa solo che si chiamava Alexei e
risiedeva nella capitale.
Secondo le testimonianze disponibili, tutti ricevettero, in
distinti modi, l'indicazione di situarsi in determinati posti,
dove li avrebbero raccolti per intraprendere un'uscita illegale
dal paese, che finalmente si materializzò giovedì 21, all'alba.
Così furono trasportati fino ad un punto situato tra la Playa
Cajío e Batabanó, al sud della provincia di L'Avana, dove, dopo
aver pagoat il prezzo pattuito, salirono su una lancia costruita
con materiale plastico, equipaggiata con un motore Lombardini,
simile a quelli che si usano in lavori di irrigazione.
Il proposito del gruppo era arrivare in territorio messicano e
da lì negli Stati Uniti, approfittando delle bontà della
chiamata Ley de Ajuste Cubano (Legge di Accomodamento Cubano).
Una pazzia
Jorge
Luis Valdés Cardentey, di 29 anni, lavoratore per conto proprio,
ed uno dei falliti emigranti illegali, afferma che nessuno aveva
conoscenze di navigazione. Si alternavano al timone e
consumavano alimenti ed acqua che gli avevano consegnato insieme
all'estemporanea imbarcazione.
Egli ricevette le indicazioni mediante una chiamata telefonica
dagli Stati Uniti e pagò 2500 dollari per il viaggio. Dice
essere al suo primo tentativo e ultimo, perché quanto vissuto
durante quattro giorni e notti è stato sufficiente.
"È una vera pazzia, solo chi non si è visto di notte nel mare,
sprovvisto di sicurezza, può fare quello che abbiamo fatto. Nel
momento che ci dirigemmo verso la costa, regnava la
disperazione, perché l'acqua scarseggiava e le onde erano molto
grandi. L'unica cosa che volevamo in quello momento era toccare
terra ferma".
Ed aggiunge: "Arrivando stavano già lì i guarda frontiera,
alcuni dei quali rischiarono perfino le loro vite per salvarci.
Io stavo per svenire quando mi tirarono una tanica di plastica
che mi permise di mantenermi a galla fino a che si presentò la
lancia a riscattarmi. Vicino a me vidi affondare Alexei e
pensavo che i morti fossero molti di più".
Secondo Jorge Luis, gente che era passata per avventure simili
l'avevano avvertito, ma nessuno riflette su quanto si dice. "Uno
pensa a quelli che arrivarono senza problema e non tiene conto
di quelli che non arrivarono".
Reinaldo Rabeiro Almesana, per esempio, non si mostra pentito.
Dice di avere negli Stati Uniti una parte della famiglia e
confessa che se gli fossi data un'opportunità più sicura di
andare là tenterebbe nuovamente.
E perché non emigrano in forma legale?
In questo i pareri di entrambi coincidono: "È per gusto, la
Sezione di Interessi mette ogni tipo di intoppi per viaggiare;
si spende molto denaro nelle pratiche ed alla fine non si
ottiene niente".
Mentre c'é la tentazione di una legge, stabilita unicamente per
i cubani, che offre ogni tipo di vantaggio se arrivano in
territorio statunitense. Tutto un invito ad avventure come
quella che abbiamo appena narrato, che costano vite, e non sono
di più solo per l'alto senso di responsabilità e la gran quota
di umanesimo di chi controlla le nostre coste.
I membri di questo gruppo sanno ora, e solo ora, perché è stata
battezzata come la Legge Assassina.