Di ritorno da
Baghdad, George Bush si è presentato ieri nel Giardino delle rose
della Casa bianca per continuare a «cogliere il momento» della morte
di al Zarqawi in funzione elettorale. Poche ore prima il suo stratega
Karl Rove, fresco di «assoluzione» nell'inchiesta del Cia-gate, era
nel New Hampshire per dare la linea ai galoppini repubblicani del
luogo. L'argomento principale da lui suggerito: sarebbero stati capaci
i democratici di trovare la volontà di uccidere Mr. Zarqawi? Bush
sperava di fare altrettanto e infatti sia nel pistolotto iniziale, sia
rispondendo poi alle domande dei giornalisti, si è profuso in grandi
elogi per il governo iracheno finalmente completato, ha annunciato
l'operazione forward together, avanti insieme, destinata a
ripulire le zone di Baghdad controllate dagli insurgent e ha
cercato di fare apparire il pantano iracheno un po' meno melmoso. La
tecnica sempre la stessa: una frasetta per precisare che «non siamo
ancora al punto di svolta, ci aspettano ancora giorni difficili» e
tante parole per dare la sensazione esattamente opposta.
Poi però qualcosa è successo. Da zone lontane dal Giardino delle rose
hanno cominciato ad arrivare notizie dalle quali si deduceva che il
resto del mondo era molto meno impressionato di Bush dalla «svolta
positiva» celebrata dal suo viaggio semi-clandestino in Iraq. Da
Ginevra, gli esperti dell'Onu che già avevano chiesto la chiusura di
Guantanamo erano tornati sull'argomento alla luce del suicidio dei tre
detenuti, dicendo che «era in buona parte prevedibile date le dure e
prolungate condizioni di detenzione» e rinnovando la richiesta della
«chiusura urgente» di quel carcere; il presidente della Commissione
europea Barroso, commentando il voto unanime dell'altro ieri a
Strasburgo contro Guantanamo se n'è detto «fiero» e anche Massimo D'Alema,
alla vigilia del suo viaggio a Washington, ha annunciato che farà
presente la «preoccupazione europea» per ciò che accade a Guantanamo.
Insomma gli Usa, lungi dall'essere quelli che «portano la democrazia
in Iraq e nel Medio Oriente» ormai sono soprattutto «quelli di
Guantanamo».
Bush non si tira indietro e impapocchia una risposta. «Anch'io - dice
- voglio chiudere Guantanamo» perché «non c'è dubbio, Guantanamo
manda, come dire, un segnale ad alcuni dei nostri amici... fornisce
loro una scusa, per esempio, di dire: gli Stati Uniti non rispettano i
valori ai quali vogliono fare aderire altri paesi». Una scusa?, si
guardano l'un l'altro i presenti. Ma prima che qualcuno possa
interloquire Bush va avanti: «La mia risposta è... è che noi siamo una
nazione di leggi», un po' azzardata grammaticalmente ma efficace per
quelli che stanno seguendo la conferenza stampa alla tv. Il problema,
prosegue Bush, è che fra i detenuti di Guantanamo «ci sono persone che
sono dannatamente pericolose», senza spiegare chi siano, di cosa siano
accusate, perché in tre anni non siano state distinte da quelle che
pericolose non sono, per non parlare del fatto che la stragrande
maggioranza di quei detenuti - il 95%, stando ai documenti dello
stesso Pentagono - non sono stati «catturati» in Afghanistan ma sono
stati «comprati», nel senso che sono stati consegnati dai cacciatori
delle generose taglie che gli americani, nei giorni seguenti il loro
arrivo in Afghanistan, offrivano.
Per arrivare a un processo «stiamo aspettanto una sentenza della Corte
Suprema», spiega ancora Bush.
In realtà quello che la Corte Suprema sta esaminando (la sua
conclusione è prevista entro luglio) è il caso di Salid Ahmed Hamdan,
indicato come un ex autista di Osama bin Laden e uno dei dieci
detenuti (su 490) a essere stato rinviato al giudizio di un tribunale.
Non un tribunale normale, però, ma militare. I suoi avvocati hanno
contestato la cosa e la Corte deve appunto decidere fra tribunale
militare e civile (ma c'è anche la possibilità che si dichiari
incompetente). E' chiaro comunque che se la Corte Suprema dovesse
decidere che il tribunale giusto è quello civile, per l'intera
popolazione carceraria di Guantanamo cambierebbe tutto perché
l'accusa, cioè il governo, non potrebbe più nascondersi dietro la
«sicurezza nazionale» per evitare di produrre le «prove» della
colpevolezza degli accusati.
Intanto, ieri, l'unica notizia proveniente da Guantanamo è stata che
ai giornalisti arrivati lì dopo i tre suicidi è stato intimato di
partire immediatamente, su un aereo appositamente organizzato.
L'ordine è arrivato direttamente dall'ufficio di Donald Rumsfeld.