GUANTANAMO
L'Onu: «Chiudete Guantanamo»
Un rapporto dell'Onu chiede agli Usa
di processare i detenuti di Camp Delta o di rilasciarli e di porre fine alla
pratica della tortura. Washington: «sono comunque terroristi»
| Venerdi 17 Febbraio 2006 |
FRANCO PANTARELLI New York |
Chiudete Guantanamo: il
«grido» che ormai da anni si leva un pò da ogni luogo in cui la decenza abbia
ancora qualche peso, da ieri è la posizione ufficiale delle Nazioni Unite.
Quella prigione, dice un rapporto dell'Onu, deve essere chiusa «senza ulteriore
ritardo» e le circa 500 persone che vi si trovano devono essere «o rilasciate o
sottoposte a un processo equo». Poi, in una specie di botta di realismo i cinque
compilatori del rapporto chiedono che almeno una cosa Washington dovrebbe fare
immediatamente: «astenersi da ogni partica caratterizzabile come tortura,
trattamento crudele, inumano o degradante dei prigionieri; dalle discriminazioni
su basi religiose e dalle violazioni del diritto dei prigionieri alla salute».
Il che, specifica il rapporto, vuol dire che «le tecniche autorizzate dal
dipartimento della Difesa per gli interrogatori speciali devono essere
revocate». La risposta americana è venuta in varie forme, tutte con la loro
brava componente tragica nel contenuto (quella gente che da oltre quattro anni è
lì senza ancora neanche sapere perché) e comica nella forma. Per esempio il
poverno Scott McClellan, il portavoce della Casa Bianca che nel suo briefing
quotidiano non ha proprio potuto evitare di parlare del rapporto dell'Onu,
ha detto fingendosi stupito di tutto questo interesse per i prigionieri: «Sono
pericolosi terroristi! Noi sappiamo che sono addestrati a disseminare false
accuse». L'ambasciatore americano alla sezione dell'Onu di Ginevra, Kevin Moley,
in un «allegato» che ha ottenuto di porre in calce al rapporto dice che i cinque
esperti hanno «selettivamente usato solo le asserzioni che servivano a sostenere
le loro conclusioni, ignorando quelle che invece le avrebbero contraddette», che
è la descrizione perfetta di come si è comportata l'amministrazione Bush quando
si è trattato di «vendere» l'invasione dell'Iraq.
L'ambasciatore se la prende anche con il fatto che i cinque esperti non siano
andati a Guantanamo a vedere come «davvero»
stanno le cose, facendo finta di non sapere, 1) che la loro richiesta di
visitare Guantanamo risale addirittura al 2002;
2) che il «sì» americano è venuto sono nell'ottobre scorso; 3) che comunque agli
esperti dell'Onu non sarebbe stato permesso di parlare con i prigionieri, cosa
che li ha indotti a rinunciare alla visita-farsa che era stata preparata per
loro. Tempo fa gli Stati Uniti - forse proprio in vista di ciò che si preparava
- avevano lanciato attacchi alla commissione dei diritti umani perché ne
facevano parte Paesi i cui «record» su questo piano non erano certo cristallini.
Avevano ragione, ma avevano anche accuratamente risparmiato, nei loro attacchi,
proprio questi cinque e sperti - Leila Zerrougui, Leandro Despouy, Manfred Novak,
Asma Jahangir e Paul Hunt - riconoscendo l'ottimo lavoro svolto nelle indagini
da loro compiute in Sudan e nello Zimbabwe. Ora, il portavoce del dipartimento
di Stato, Sean McCormack, spalmandosi sulla faccia tutto il bronzo che è
riuscito a trovare ha commentato: «Gli Stati Uniti hanno cercato di lavorare con
questi esperti, visto il buon lavoro che avevano fatto in altri Paesi. Mi
dispiace dirlo, ma in questo caso non è andata così». Vista l'impossibilità di
parlare con i detenuti di Guantanamo, spiegano
nel loro rapporto i cinque, il loro lavoro lo hanno basato su colloqui con ex
prigionieri in Gran Bretagna, Francia e Spagna (cioè quelli che gli americani
hanno liberato) e con gli avvocati che rappresentano quei pochi detenuti che
sono riusciti a ottenere un rappresentante legale; sulle notizie di stampa che
loro hanno provveduto a controllare; sui rapporti redatti da organizzazioni
umanitarie non governative e sulle risposte che lo stesso governo americano ha
dato a un questionario che loro gli avevano sottoposto. E' per questo che il
loro rapporto è una sorta di compendio di tutte le cose uscite fuori
frammentariamente da Guantanamo in questi anni,
compreso l'uso dei medici come «consulenti» per individuare il «punto di
rottura» degli interrogati. La conclusione dei cinque esperti è che «la branca
esecutiva del governo americano è allo stesso tempo il giudice, l'accusatore e
il difensore dei detenuti a Guantanamo Bay» e
che ciò costituisce «un seria violazione delle garanzie che rendono un processo
equo». E l'altra conclusione che «preoccupa al massimo» è «il tentativo del
governo degli Stati Uniti di ridefinire il concetto di tortura per consentire
l'uso di tecniche di interrogatorio che nella definizione internazionalmente
accettata non sarebbero permesse». Per tutto ciò - e questa è probabilmente la
cosa che più ha «indignato» la Casa Bianca - «le persone che hanno ordinato o
autorizzato gli abusi, fino al più alto livello militare e politico, dovrebbero
risponderne davanti a una Corte di Giustizia».