GUANTANAMO
per Bush è l'ora del fallimento
Nel quarto anniversario del carcere «anti-al Qaeda» un prigioniero boicotta il tribunale militare. Amnesty pubblica nuove denunce di torture. Tanti i prigionieri verso il rimpatrio
12 gennaio 2005 M.Cocco
Lo yemenita accusato
d'aver fatto da guardia del corpo a bin Laden è entrato in aula senza catene e
con un foglio stretto in una mano. Ali Hamza al Bahlul ha rifiutato l'avvocato
militare assegnatogli d'ufficio e ha chiesto di difendersi da solo dalle
imputazioni di crimini di guerra. Poi ha mostrato alla corte il suo messaggio:
«Boicottaggio» aveva scritto in arabo sul pezzo di carta. «Boicotterò tutte le
udienze, anche se sarò costretto a parteciparvi», ha sfidato i suoi inquisitori
statunitensi. «Siamo prigionieri di guerra e combattenti in base alla nostra
religione e alle nostre leggi» ha aggiunto. Qualche ora più tardi davanti ai
giudici in uniforme s'è seduto Omar Khadr, un 19enne canadese che al momento
della sua cattura in Afghanistan aveva 15 anni e da allora è rinchiuso a
Guantanamo, per aver ucciso in combattimento un medico militare americano. Con
l'apparizione di al Bahlul e di Khadr davanti a un tribunale militare nella base
di Camp delta l'amministrazione Usa ha celebrato ieri il quarto anniversario
della prigione Guantanamo. Era infatti l'11 gennaio 2002 quando il governo
repubblicano guidato da George W. Bush trasferì i primi «combattenti nemici»
(prigionieri della guerra al terrorismo privati dei diritti che le convenzioni
di Ginevra garantiscono ai catturati in guerra) in un carcere nella parte
orientale dell'isola di Cuba
che quattro anni fa era costituito da file gabbie senza copertura e che si
chiamava X Ray Camp. Ma non c'è stato granché da festeggiare, perché nel giorno
in cui Amnesty international ha pubblicato nuove terribili testimonianze su
torture d'ogni genere, il sistema di segregazione studiato per ottenere
«informazioni preziose per la sicurezza nazionale» è apparso sempre più
scricchiolante.
Al Bahlul, come Khadr, rischia l'ergastolo, ma durante l'udienza di ieri è stato
lo stesso maggiore Tom Fleener, avvocato del 31enne yemenita, a definire «un
imbroglio» i tribunali militari che dovrebbero giudicare i 500 dannati di
Guantanamo e i cui procedimenti istruiti finora si contano sulle dita d'una
mano. «Le regole dei processi sono state elaborate per danneggiare gli
accusati», ha denunciato Fleener, aggiungendo di non ritenere giusto difendere
l'imputato contro la sua volontà. Al giudice militare Peter Brownbach non è
rimasto che imporglielo e aggiornare l'udienza al 15 maggio. Nel frattempo a
Washington la Corte suprema dovrà decidere (il giudizio è atteso per la
primavera) se il presidente avesse l'autorità per istituire i tribunali di
Guantanamo, corti che si avvalgono di giudici e avvocati militari, in cui si
esaminano prove tenute nascoste agli imputati e informazioni ottenute sotto
tortura. Nove persone incriminate formalmente su centinaia di reclusi e la
previsione ottimistica di poterne processare una cinquantina su 500; un piano
per trasferire quasi tutti i prigionieri afghani (che a Camp delta sono la
maggioranza) nel penitenziario di Pol-e-Charki, nel paese che fu dei taleban;
l'idea di giudicare, negli Usa, solo i prigionieri «pericolosi» e rispedire
tutti gli altri negli stati d'origine. Il progetto Usa destinato ad allentare la
tensione su un'amministrazione finita nel mirino delle organizzazioni umanitarie
è anche l'ammissione implicita d'un fallimento: molti dei «sospetti terroristi»
catturati non sono membri di al Qaeda e agli americani non servono a nulla.
Proprio ieri Amnesty ha pubblicato nuove denunce di torture. La testimonianza
più dettagliata arriva da Jumah al-Dossari, 32enne cittadino del Bahrain
catturato in Afghanistan alla fine del 2001 e trasferito a Guantanamo pochi mesi
dopo. In un promemoria fatto avere dai suoi avvocati al-Dossari racconta di aver
subìto oltre seicento interrogatori. «Mi hanno minacciato di morte, di
torturarmi e di farmi passare il resto della mia vita a Guantanamo. Hanno detto
che avrebbero rapito mia figlia Nura e che mi avrebbero assassinato dopo avermi
rilasciato» racconta al-Dossari. «Hanno rovesciato una gran quantità di
detersivo molto forte nella stanza degli interrogatori, attorno a me, fino a
farmi quasi soffocare».
E poi ancora - nella memoria scritta del prigioniero - musica a volume
assordante per ora, il suo corpo nudo esposto al freddo estremo per ore. Un
capitolo della testimonianza di al-Dossari è dedicato alle sevizie a sfondo
sessuale, particolarmente odiose per un islamico. I suoi carcerieri avrebbero
fatto sesso davanti al detenuto, oltre ad avergli «mostrato riviste e film
pornografici. «Alcuni carcerati - continua al-Dossari - sono stati stuprati
dagli addetti agli interrogatori e dai secondini». Un inferno carcerario al
quale non mancano le profanazioni del Corano, il libro sacro dei musulmani. «Un
addetto agli interrogatori mi ha fatto legare con le bandiere americana e
israeliana - racconta ancora il prigioniero - poi ha gettato a terra il Corano e
l'ha calpestato. Poi ci ha urinato sopra».