GUANTANAMO
democrazia da elettroshock
Sugli schermi berlinesi il film diretto da Michael Winterbotton e Mat Whitecross, che racconta un caso di «apartheid giuridico», il carcere Usa dove i prigionieri sono senza diritti umani.
R.Silvestri - Berlino - 15 febbraio 2006
La superprigione di Guantanamo, dopo 4 anni di impunità, deve essere immediatamente chiusa. Dalle prime anticipazioni stampa di ieri, queste
L'Onu agli Usa: chiudete Il carcere di Guantanamo andrebbe chiuso, perché è un luogo dove si pratica la tortura, si violano le leggi internazionali e le convenzioni sui diritti umani. Le conclusioni del rapporto delle Nazioni unite sulla prigione dell'isola di Cuba dove da oltre quattro anni il governo statunitense detiene circa 500 sospetti terroristi classificati come «combattenti nemici» sono durissime e hanno suscitato l'immediata reazione dell'Amministrazione Bush. Sean McCormack, portavoce del dipartimento di stato Usa, ha definito come «fondato su chiacchiere»il documento dell'organismo Onu per i diritti umani anticipato dal Los Angeles times. Manfred Novak, incaricato Onu per la tortura, ha ribattuto che «abbiamo preso in considerazione molto attentamente tutte le questioni poste dal governo Usa. Nessuna conclusione è stata tratta in maniera semplicistica. Ma abbiamo concluso che la situazione in diversi ambiti viola il diritto internazionale e le convenzioni sui diritti umani e la tortura». Secondo il rapporto alcuni dei trattamenti praticati ai prigionieri di Guantanamo ricadono nella definizione di tortura stabilita dalla convenzione Onu contro la tortura. Tra questi l'alimentazione forzata - praticata attraverso tubi inseriti nell'esofago -, il regime d'isolamento prolungato, l'esposizione a temperature estreme. Il rapporto critica anche la definizione di «combattenti nemici», status attribuito dal Presidente Usa ai detenuti per privarli dei diritti garantiti ai «prigionieri di guerra» dalle convenzioni internazionali. |
sono le conclusioni del rapporto della commissione d'inchiesta Onu, reso noto proprio in concomitanza con l'anteprima mondiale dell'instant-movie britannico, in concorso, The road to Guantamano (La strada per Guantamano), diretto da Michael Winterbotton e Mat Whitecross, che dettagliatamente racconta, con indignazione ma senza abusare «pornograficamente» delle immagini (forse un po' dei suoni e dei ritmi), utilizzando per metà la forma-intervista e per metà una «messa in scena» piuttosto ben
documentata, come in quel
luogo si maltrattano, umiliano e torturano (ancora adesso) 500 prigionieri. Ecco
un caso di «apartheid giuridico» scandaloso, un «buco nero» per la democrazia,
la catastrofe del «pensiero unico». Il supercarcere più intoccabile e impunito
del mondo ha infatti - spiega il rapporto Onu - ignorato sprezzantemente,
fossero o meno i prigionieri autentici combattenti islamici, la convenzione di
Ginevra e la carta dei diritti umani. Come possono, d'altra parte, dei nemici
giurati e fanatici della «più bella e libera democrazia del mondo» essere
considerati degli esseri umani? E poi, dopo il 9/11 non sarà il caso di mandare
in pensione la signora Roosevelt, il suo idealismo demodé e tutti i pavidi
traditori dell'occidente cristiano, dapii fedeli della signora Fallaci?
Nel film, altamente «veritiero», perché sceneggiato dai protagonisti stessi di
questa odissea tragica, si decostruisce infatti proprio la degradazione
scientifica del nemico «a subumano» - un numero, un cappuccio in testa, una
gabbia da gallina dove stare accucciato se no botte da orbi, degno solo del
dileggio danese o dell'urina sul Corano - attraverso la storia, raccontata dal
punto di vista delle vittime innocenti, di tre ragazzi rappettari di origine
pakistana residenti a Tipton, Birmingham. Recatisi in Pakistan poco prima
dell'invasione dell'Afghanistan, per un matrimonio di confine, fissato ahimé
nella data sbagliata, i «tre di Tipton» si sono visti piovere addosso micidiali
ordigni di guerra (un quarto ragazzo, il loro amico Munir Alì, risulta tuttora
disperso), poi, in fuga dai bombardieri, sono stati catturati, malmenati e
mitragliati dagli uomini della coalizione del generale Dostrum, e, quasi in fin
di vita, passati ai marines che, in base a ridicole rassomiglianze video e
fotografiche, li hanno scambiati per alti dirigenti di al Qaeda, visto anche il
loro inglese era fluente e dunque più che sospetto. Infine, trasferiti a
Guantanamo per tre anni, alla mercé di un potere totale e incontrollabile, solo
nel 2004, Rhuel Ahmed, Asif Iqbal e Shafiq Rasul (fossero pure stati agnostici,
una certa gran voglia di diventare islamici gli sarà pure venuta: non successe
lo stesso a Malcolm X?) sono stati liberati senza incriminazioni (i servizi
segreti inglesi sono stati costretti a intervenire perché nel 2000 Rasul & C.
non potevano essere stati ripresi dal video nel famigerato campo di
addestramento al-Faruqh: lavorava al Birmigham Currys) e trasferiti nel loro
paese, senza che Blair, il neosocialista, avesse fatto troppo per porre fine
all'ingiustizia (come non muove dita per gli altri 8 cittadini del Regno Unito
ancora a Guantanamo). Ma, proprio come avviene nel calcio, e come la Thatcher
spiegò anche ai sassi, ci sono cittadini di serie A e cittadini della «seconda
divisione», diritti umani di serie A e diritti umani per i quali mr. Galliani
non pagherebbe nemmeno una lira.
Ora, dopo 18 mesi di lavoro, i 5 (coraggiosi, e speriamo che sopravvivano)
commissari Onu hanno provato gli abusi e le ripetute violazioni delle leggi
internazionali nei confronti dei prigionieri del carcere «clandestino»
americano, situato, per ironia della sorte, proprio nella baia, tuttora
colonizzata, di Cuba, l'isola vetero socialista. E per arrivare a queste
conclusioni i 5 dell'Onu selvaggio hanno fatto lo stesso lavoraccio dei due
cineasti, intervistando gli altri sopravvissuti (oltre ai «tre di Tipton» sono
38 le «belve feroci» rilasciate perché innocenti, e 250 quelle liberate perché
«non rappresentano alcun pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti
d'America»), e poi medici, avvocati e membri della Croce Rossa, focalizzando
l'attenzione soprattutto sulla repressione inumana dei recenti scioperi della
fame. Intanto il Pentagono e la Casa Bianca smentiscono: piccolo Bush e il suo
fido compagno d'affari Rumsfield, che definirono i detenuti «i peggiori dei
peggiori» nemici della libertà e della democrazia, fanno rilasciare
dichiarazioni nelle quali si assicura che «tutti i prigionieri sono stati sempre
trattati umanamente e hanno usufruito di eccellenti cure mediche». Già, quel che
si fa nelle carceri di tutto il mondo per coprire i segni di massacri e
torture... Quel che conta è che i crimini di questo governo Usa non vengano
giudicati da nessuna corte al mondo, e inquisite da nessun arcaico apparato Onu.
Almeno, in questi giorni di Berlinale, la giuria del pubblico potrà invece
giudicare i crimini che la democrazia occidentale sta commettendo contro se
stessa.