Il
cittadino britannico Ruhal Ahmed non aveva ancora compiuto venti anni quando,
mentre si trovava in Afghanistan, fu consegnato alle forze USA da un signore
della guerra collaboratore dell'Alleanza del nord e imprigionato in una base
americana nel Paese.
Nel gennaio 2002 venne caricato su un aereo con destinazione Guantanamo Bay,
Cuba. Vi rimase per 26 mesi, durante i quali fu pestato, torturato e interrogato
sotto la minaccia dei cani. Oggi Ahmed é di nuovo un uomo libero e ha raccontato
la sua storia in occasione del lancio della nuova campagna della sezione
italiana di Amnesty International 'Più diritti e sicurezza', per "denunciare e
fermare le violazioni dei diritti umani nella cosiddetta guerra al terrore
scatenata dall'amministrazione Bush all'indomani degli attacchi dell'11
settembre", come ha spiegato Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty Italia ad
apertura della conferenza.
In una sala stampa estera gremita di giornalisti di radio, tv e testate
nazionali e internazionali, Ahmed ha raccontato per quasi un'ora la storia della
sua prigionia, dai mesi passati in un campo vicino a Kandahar al trasferimento a
Guantanamo, dove é stato detenuto per due anni senza accuse. Ahmed é uno dei
cosiddetti 'Tipton Three', i tre giovani cittadini britannici, tutti originari
di Tipton, cittadina delle West Midlands, la cui vicenda ha ispirato il film di
Michael Winterbottom 'The road to Guantanamo'.
L'odissea di Ahmed inizia mentre si trova in vacanza in Afghanistan con tre
amici, prima di recarsi in Pakistan per assistere a un matrimonio. Il caso volle
che il giorno del suo arrivo coincidesse con l'inizio dei bombardamenti degli
Stati Uniti per abbattere il regime dei Talebani.
"Era il 7 ottobre 2001", ha raccontato Ahmed, "e ci siamo trovati in mezzo alla
guerra. Abbiamo chiesto di poter lasciare il Paese, ma l'esercito aveva chiuso
le frontiere e per un mese siamo rimasti bloccati in Afghanistan, nonostante
vari tentativi di fuga, tutti falliti". "A fine ottobre", ha continuato,
"un'organizzazione umanitaria pakistana a cui avevamo chiesto assistenza ci
suggerì di consegnarci all'Alleanza del nord: era il modo più sicuro per non
finire uccisi o rapiti dalle bande criminali. Finimmo insieme ad altri 5 mila in
una prigione vicino a Kandahar. Dopo un mese di interrogatori e pestaggi, alcuni
di noi furono trasferiti a Guantanamo". "Per il primo mese", ha continuato con
voce ferma, "sono stato tenuto in una delle gabbie all'aperto di Camp X-Ray: non
c'era tetto, materasso, lavandino, bagno turco. Tutto il giorno dovevamo stare
seduti immobili, con lo sguardo fisso e senza potere parlare con nessuno. Il
poco cibo che ci davano veniva lanciato come fossimo animali. Al minimo
movimento del corpo o dello sguardo le guardie entravano nella gabbia, ci
spruzzavano in viso spray urticanti e ci pestavano fino a farci svenire".
"Pestaggi e torture", ha ricordato il giovane cittadino britannico, "sono
proseguiti anche dopo il trasferimento a Camp Delta, un blocco di 48 celle in
cui gli interrogatori avvenivano anche in piena notte e le botte erano
all'ordine del giorno. I più sfortunati hanno subito abusi sessuali e sono stati
sodomizzati. In cella abbiamo subito violenze di ogni tipo: siamo stati legati
mani e piedi e tenuti anche per giorni in posizione di stress, ci interrogavano
con i cani che ci abbaiavano a due centimetri dalla faccia, ci buttavano secchi
di acqua gelata addosso per poi puntarci contro l'aria condizionata. Alla fine
tutti abbiamo confessato qualcosa, di essere talebani o membri di Al Qaeda".
La prigionia di Ahmed finì nel marzo 2004 con il rimpatrio e la successiva
liberazione, senza alcuna accusa a suo carico. "Un giorno hanno aperto la porta
della cella con in mano un paio di jeans e una maglietta", ha spiegato, "e ci
hanno detto: potete andarvene. Sicuramente hanno contato le pressioni fatte
dalla mia famiglia, dal governo britannico e da tante associazioni umanitarie
come Amnesty".
L'esperienza di Ahmed e dei suoi amici ha spinto alcuni esponenti del governo e
del mondo politico britannico a esprimere critiche sempre piu' pressanti nei
confronti delle politiche e dei metodi della guerra al terrore, e a chiedere la
chiusura di Guantanamo Bay. Ma il giovane ex detenuto di Tipton non crede che le
prigioni segrete chiuderanno mai.
"Almeno", ha specificato, "fino a che gente come Bush e come Blair sarà al
potere".
Dal momento della liberazione, Ruhal Ahmed e i suoi amici hanno collaborato alla
campagna di Amnesty International per ottenere la chiusura della base di
Guantanamo e la liberazione, o un giusto processo, di tutti i prigionieri della
guerra al terrore.
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