16 novembre 2006 -  www.radiocittaperta.it

 

 

GUANTANAMO

Il racconto di un cittadino britannico

 

 

Il cittadino britannico Ruhal Ahmed non aveva ancora compiuto venti anni quando, mentre si trovava in Afghanistan, fu consegnato alle forze USA da un signore della guerra collaboratore dell'Alleanza del nord e imprigionato in una base americana nel Paese.


Nel gennaio 2002 venne caricato su un aereo con destinazione Guantanamo Bay, Cuba. Vi rimase per 26 mesi, durante i quali fu pestato, torturato e interrogato sotto la minaccia dei cani. Oggi Ahmed é di nuovo un uomo libero e ha raccontato la sua storia in occasione del lancio della nuova campagna della sezione italiana di Amnesty International 'Più diritti e sicurezza', per "denunciare e fermare le violazioni dei diritti umani nella cosiddetta guerra al terrore scatenata dall'amministrazione Bush all'indomani degli attacchi dell'11 settembre", come ha spiegato Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty Italia ad apertura della conferenza.


In una sala stampa estera gremita di giornalisti di radio, tv e testate nazionali e internazionali, Ahmed ha raccontato per quasi un'ora la storia della sua prigionia, dai mesi passati in un campo vicino a Kandahar al trasferimento a Guantanamo, dove é stato detenuto per due anni senza accuse. Ahmed é uno dei cosiddetti 'Tipton Three', i tre giovani cittadini britannici, tutti originari di Tipton, cittadina delle West Midlands, la cui vicenda ha ispirato il film di Michael Winterbottom 'The road to Guantanamo'.


L'odissea di Ahmed inizia mentre si trova in vacanza in Afghanistan con tre amici, prima di recarsi in Pakistan per assistere a un matrimonio. Il caso volle che il giorno del suo arrivo coincidesse con l'inizio dei bombardamenti degli Stati Uniti per abbattere il regime dei Talebani.


"Era il 7 ottobre 2001", ha raccontato Ahmed, "e ci siamo trovati in mezzo alla guerra. Abbiamo chiesto di poter lasciare il Paese, ma l'esercito aveva chiuso le frontiere e per un mese siamo rimasti bloccati in Afghanistan, nonostante vari tentativi di fuga, tutti falliti". "A fine ottobre", ha continuato, "un'organizzazione umanitaria pakistana a cui avevamo chiesto assistenza ci suggerì di consegnarci all'Alleanza del nord: era il modo più sicuro per non finire uccisi o rapiti dalle bande criminali. Finimmo insieme ad altri 5 mila in una prigione vicino a Kandahar. Dopo un mese di interrogatori e pestaggi, alcuni di noi furono trasferiti a Guantanamo". "Per il primo mese", ha continuato con voce ferma, "sono stato tenuto in una delle gabbie all'aperto di Camp X-Ray: non c'era tetto, materasso, lavandino, bagno turco. Tutto il giorno dovevamo stare seduti immobili, con lo sguardo fisso e senza potere parlare con nessuno. Il poco cibo che ci davano veniva lanciato come fossimo animali. Al minimo movimento del corpo o dello sguardo le guardie entravano nella gabbia, ci spruzzavano in viso spray urticanti e ci pestavano fino a farci svenire". "Pestaggi e torture", ha ricordato il giovane cittadino britannico, "sono proseguiti anche dopo il trasferimento a Camp Delta, un blocco di 48 celle in cui gli interrogatori avvenivano anche in piena notte e le botte erano all'ordine del giorno. I più sfortunati hanno subito abusi sessuali e sono stati sodomizzati. In cella abbiamo subito violenze di ogni tipo: siamo stati legati mani e piedi e tenuti anche per giorni in posizione di stress, ci interrogavano con i cani che ci abbaiavano a due centimetri dalla faccia, ci buttavano secchi di acqua gelata addosso per poi puntarci contro l'aria condizionata. Alla fine tutti abbiamo confessato qualcosa, di essere talebani o membri di Al Qaeda".


La prigionia di Ahmed finì nel marzo 2004 con il rimpatrio e la successiva liberazione, senza alcuna accusa a suo carico. "Un giorno hanno aperto la porta della cella con in mano un paio di jeans e una maglietta", ha spiegato, "e ci hanno detto: potete andarvene. Sicuramente hanno contato le pressioni fatte dalla mia famiglia, dal governo britannico e da tante associazioni umanitarie come Amnesty".


L'esperienza di Ahmed e dei suoi amici ha spinto alcuni esponenti del governo e del mondo politico britannico a esprimere critiche sempre piu' pressanti nei confronti delle politiche e dei metodi della guerra al terrore, e a chiedere la chiusura di Guantanamo Bay. Ma il giovane ex detenuto di Tipton non crede che le prigioni segrete chiuderanno mai.


"Almeno", ha specificato, "fino a che gente come Bush e come Blair sarà al potere".


Dal momento della liberazione, Ruhal Ahmed e i suoi amici hanno collaborato alla campagna di Amnesty International per ottenere la chiusura della base di Guantanamo e la liberazione, o un giusto processo, di tutti i prigionieri della guerra al terrore.