GUANTANAMO

 

”Il carcere deve chiudere”



| Venerdi 17 Febbraio 2006 - 12:47 | Antonella Vicini |
 

 

Venendo meno a quel ruolo che è stato assegnato loro dalla loro creazione, e che hanno onorato nel corso di questi sessant’anni di vita in più di una occasione, le Nazioni Unite, o meglio una loro emanazione, hanno emesso una sentenza di condanna nei confronti degli Stati Uniti d’America. I cinque esperti in diritti umani dell’Onu, incaricati di compiere un’indagine sul centro di detenzione di Guantanamo, hanno presentato infatti la propria relazione al Palazzo di Vetro in cui compare la richiesta di “chiusura immediata” del Camp X-Ray e la liberazione, o un processo equo, dinanzi ad un tribunale indipendente, per tutti i detenuti ancora rinchiusi nella prigione.
Detenzione arbitraria e tecniche di interrogatorio degradanti, in alcuni casi equiparabili ad atti di tortura; sono le accuse contenute nel documento in cui si esorta il governo americano a “astenersi dal ricorrere a pratiche che equivalgano a tortura o punizioni o trattamenti crudeli, disumani e degradanti”, tra cui l’alimentazione forzata dei detenuti attraverso sonde nasali.
La relazione di Manfred Nowak, Leandro Despouy, Asma Jahangir, Paul Hunt, Leila Zerrougui - rispettivamente ispettori sulla Tortura, sull’Indipendenza dei Giudici, sulla Libertà di religione, sul Diritto alla Salute fisica e Mentale, presidente del gruppo di lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie, giunge dopo alcuni mesi di indagini, frustate tra l’altro dai tentativi statunitensi, andati a buon fine, di impedire il regolare svolgimento delle ispezioni, negando il permesso di visitare e di parlare liberamente con i detenuti o col personale del carcere. Dopo più di un anno di richieste da parte dell’alto commissariato dell’Onu per i diritti umani, infatti, il governo statunitense aveva permesso agli ispettori la sola autorizzazione per una sorta di ‘visita guidata’ della prigione, prontamente rigettata dall’equipe delle Nazioni Unite. Nowak e gli altri avevano rifiutato allora la ‘concessione’ di Washington, annunciando che la relazione sarebbe stata stilata comunque, sulla base delle testimonianze raccolte. E ora che il testo è stato pubblicato, puntuali arrivano le polemiche.
La strategia difensiva del Dipartimento di Stato che, rispondendo alle anticipazioni del rapporto rese note negli scorsi giorni, ha contestato agli ispettori delle Nazioni Unite l’attendibilità della loro relazione, si fonda propria sulla controversia delle ispezioni mai effettuate all’interno del carcere. Obiettando che non è stato compiuto alcun sopralluogo a Guantanamo, il consigliere legale del Dipartimento di Stato, John Bellinger, ha liquidato il rapporto della Commissione diritti umani dell’Onu definendolo “costellato da imprecisioni e minato alla base da modalità di lavoro che lo rendono privo di credibilità”.
“Un rapporto che si presenta come ‘equilibrato’ - ha detto il responsabile legale del Dipartimento di Stato - si basa solo sulle dichiarazioni di membri di Al Qaida e dei talibani che hanno lasciato Guantanamo e su quelle dei loro avvocati che non hanno visto niente di prima mano”.
Sulle accuse che il nutrimento forzato dei detenuti in sciopero della fame avvenga con metodi che equivalgono a torture, ha replicato poi che si tratterebbe di “una pratica eseguita da medici con alto addestramento, servendosi di un sondino del diametro di 4 millimetri che è esattamente lo stesso che utilizziamo nei nostri ospedali. Vengono usati i più elevati standard etici che vengono applicati dai medici negli Usa”.
“Se gli ispettori dell’Onu - ha concluso Bellinger - si fossero presi almeno il disturbo di andare a Guantanamo, il loro rapporto sarebbe stato assai più bilanciato”.
I limiti inaccettabili imposti dagli Usa nei mesi scorsi si sono rivelati, dunque, ora in tutta la loro essenza: una strategia diplomatica per rendere vani, ancora una volta, i tentativi messi in atto a livello internazionale per dimostrare irrefutabilmente la barbarie quotidiana di Camp X-Ray; una tattica per far brillare la bomba depotenziandone l’effetto dirompente.
A questo hanno contribuito anche le reazioni del segretario generale dell’Onu Kofi Annan e dell’alto commissario per i diritti umani Louise Arbour che, evidentemente, non si aspettavano una tale netta presa di posizione.
Stando ben attenti a non contribuire ad urtare la sensibilità statunitense, i due funzionari hanno infatti preso le distanze dalle scomode conclusioni, delegittimando di fatto l’operato del gruppo, gettando ancora una volta alle ortiche una buona occasione per dimostrare una insperata autonomia dai padroni di casa atlantici.